Una regia efficace che coccola lo spettatore e lo conquista col gusto gentile di un’ossessione filosofica.
Dottoranda in matematica all’École normale supérieure, la talentuosa Marguerite è talmente a suo agio da girare in pantofole per la facoltà. Il futuro sembra scritto, tra una discussione di tesi con il professor Werner e una carriera davanti per cercare di dimostrare, chissà, la mitologica congettura di Goldbach. Ci vuole il nuovo arrivato Lucas per notare un errore che rimette in discussione la tesi e per estensione la vita stessa di Marguerite, che reagisce mollando tutto e ricalcolando il suo percorso altrove.

Con alle spalle un paio di lungometraggi e alcune regie televisive, Anna Novion dirige in modo efficace se non particolarmente originale una storia tutta incentrata sulla magia della matematica, tema difficile da tradurre al cinema e proprio per questo intrigante.

È un mondo fatto di sogni di gloria senza tempo, a caccia di prove che da secoli ci sfuggono, e di lavagne enormi che sovrastano gli umani e faticano a contenere un fiume di formule. Lavagne che, scorrendo l’una sull’altra, recidono come una ghigliottina le certezze di Marguerite nel primo atto, lasciandola senza parole e senza il coraggio di voltarsi verso una platea di colleghi esterrefatti.

Lavagne che tornano poi più avanti, stavolta prive di binari, fluide e pitturabili su ogni superficie di un appartamento fino a inglobarlo di possibilità e speranze. Sarà una delle sequenze più ispirate in un film che, come la sua protagonista, non sempre trova facile scavalcare i confini prestabiliti della narrazione; al di là dell’ambientazione, Le théorème de Marguerite segue essenzialmente un canovaccio molto standard.

Una volta stabilito che non ci saranno sorprese, si può però godere del ritratto riuscito di una ragazza che si accorge di aver consacrato alle aule universitarie una parte forse troppo grande del suo essere. È buffo che a interpretarla, in tutta la sua guardinga timidezza, ci sia una performer vivace come Ella Rumpf, già vista in Raw di Julia Ducournau (Titane) e in Tokyo vice. Nascosta “alla Clark Kent” una gran parte di umanità dietro agli occhialini, Rumpf procede poi a ritrovarla passo dopo passo, attraverso incontri e re-incontri (il “rivale” Lucas, una nuova coinquilina che non ha paura della sensualità, una madre preoccupata) che la portano alla periferia di Parigi, tra ristoranti cinesi e partite clandestine di Mahjong.

Se la matematica si fonda sulla capacità di immaginare strade nuove verso un obiettivo lontano, il film di Novion offre invece il piacere complementare di un già visto che coccola lo spettatore e si declina al gusto gentile di un’ossessione filosofica, ricordandoci che abbandonarla per un po’ aiuta sempre a rimetterla a fuoco.

IL TEOREMA DI MARGHERITA, ANNA NOVION: «VI MOSTRO LA BELLEZZA DIETRO I NUMERI E LE AMBIZIONI DI UNA DONNA»

Marguerite è una brillante studentessa di Matematica alla Normale di Parigi, ma la sua vita è talmente dedita alla sua passione che ha messo in stand by tutto il resto. La regista e sceneggiatrice Anna Novion la racconta con grande empatia, ma senza fare sconti al suo carattere ossessivo e alle sue fragilità, nel film Il teorema di Margherita, presentato all’ultimo Festival di Cannes come proiezione speciale della Selezione Ufficiale, e grazie al quale l’attrice protagonista Ella Rumpf ha vinto il César come Miglior rivelazione femminile.

Marguerite mostra un grande talento ma anche una grande insicurezza, e inizialmente “molla” quando la situazione si fa complicata.
Ho voluto che il mio film iniziasse mostrando quello che è un problema comune a molte studentesse di matematica: si convincono di non potercela fare perché si muovono in un mondo tutto maschile che le fa sentire parte di una minoranza e dove faticano a trovare il loro posto, a riconoscere a se stesse la legittimità di appartenere a quell’ambiente competitivo. La mia consulente scientifica per il film, Ariane Mézard, è una delle poche matematiche di successo in Francia, e mi ha detto che quattro anni fa all’esame di ammissione non si è presentata nemmeno una candidata.

Marguerite cerca anche fisicamente di adeguarsi a un contesto maschile.
Sì, per entrare in quel mondo si veste da uomo e mostra un comportamento distaccato perché crede di dover tenere a bada i sentimenti e le emozioni, e di dover nascondere la sua femminilità. Indossa una specie di armatura che ritiene possa comunicare all’esterno un’idea di forza, perché per lei non è consentito mostrare la propria vulnerabilità.

Per fortuna però nel film non c’è la solita trasformazione esteriore in cui la protagonista si converte a tacchi e gonne, o a un makeup “femminile”.
No, perché la sua femminilità non risiede nel suo aspetto fisico: è nel suo sguardo, nella sua postura, che a poco a poco da curva e rigida si apre e diventa più accogliente, nel suo modo di camminare non più ingobbita e di impossessarsi gradualmente del suo spazio. Marguerite riconoscerà proprio nelle emozioni il suo potere più grande, smetterà di vergognarsi, e finalmente guarderà gli altri dritto negli occhi. Credo che nei momenti difficili gli artisti abbiano il dovere di essere ottimisti, di mostrare ad esempio che una donna non deve per forza scegliere fra la carriera e l’amore.

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