Polemiche – Io, mammt e tu
La storia di Aboubakar Soumahoro è una di quelle rarissime, miracolose congiunzioni astrali in cui tutti riescono a dare il peggio di sé e nessuno ha nemmeno un pezzetto di ragione. In neanche un mese da deputato Soumahoro è passato dagli stivali infangati alle proteste sulle navi di migranti alle lacrime in diretta social all’autosospensione dal suo gruppo parlamentare, il tutto in mezzo ai commenti razzisti che vengono da destra e all’imbarazzo malcelato di quelli da sinistra. Alla fine di tutto, restano domande: possibile che nessuno, in fase di compilazione delle liste elettorali, abbia pensato di dare un’occhiata allo stato di salute e legalità delle cooperative della compagna e della suocera di un futuro deputato? E che nessuno abbia immaginato i danni che una storia del genere avrebbe portato al sacrosanto dibattitto sull’accoglienza e sul trattamento dei migranti ?
Altre polemiche – Malan di stagione
Non c’è niente di più rassicurante dell’idea di un senatore della Repubblica che nella sua attività legislativa si fa guidare dalla saggezza senza tempo contenuta nel Levitico. Con l’erudizione che lo contraddistingue sin dall’inizio della sua carriera parlamente, Malan ha spiegato che l’omosessualità è un abominio, citando l’esatto versetto della Bibbia. C’è da chiedersi se il senatore di FdI prenderà ispirazione dallo stesso versetto quando si tratterà di proporre una legge che provi a liberare la società da questo abominio: la Bibbia suggerisce che «se un uomo giace con un maschio come fa con una donna, hanno commesso tutti e due un abominio: saranno messi a morte entrambiModa – Baalenciaga
Con la sua ultima campagna social, Balenciaga ha scatenato l’ennesima polemica, che questa volta ha però presto assunto dei toni sinistri. Al marchio guidato da Demna Gvasalia è stata infatti rimproverata la scelta di aver messo dei bambini nel servizio fotografico realizzato per promuovere su Instagram l’ultima collezione (quella che aveva sfilato nel fango), in cui c’erano, tra le altre cose, orsacchiotti “BDSM”. La campagna è stata giudicata inquietante e su Twitter è partita la caccia al dettaglio macabro, dai riferimenti a Cremaster di Matthew Barney agli “accenni” di satanismo (Baalenciaga, appunto), dai dipinti di Michaël Borremans fino ai documenti in cui si citava un caso di pedopornografia. Sono arrivate le scuse, sia del marchio che dei creativi coinvolti, così come lo scaricabarile e la cancellazione del profilo Instagram di Balenciaga, ma la domanda è legittima: una campagna pubblicitaria può essere sbagliata, ma siamo sicuri che dare adito ai redpillati di Internet sia la cosa giusta
Ancora moda – House of Gucci
Tom Ford che vende il marchio che porta il suo nome, Raf Simons che decide di chiudere i battenti della sua linea, che lo aveva reso uno dei designer più influenti della moda contemporanea, e infine Alessandro Michele, che lo scorso mercoledì ha annunciato il suo addio a Gucci, in cui era entrato nel 2002 e che con la direzione creativa degli ultimi sette anni aveva riportato al centro della conversazione della moda e della cultura pop. Gli addii di questa settimana la dicono lunga sullo stato dell’industria: se è vero che questo è un settore che per sua natura si nutre del continuo cambiamento, è impossibile non chiedersi fino a dove si possa spingere la richiesta di una crescita a dismisura dei brand, tanto più dopo le solenni promesse e inviti a “rallentare” fatti nel periodo immediatamente successivo al Covid. Non ci aveva creduto nessuno, ma vedere succedere l’esatto contrario fa comunque impressione
Social – Meme Manara
Il 21 novembre Milo Manara ha annunciato su Facebook la sua intenzione di fare causa a Elon Musk per aver usato un suo disegno (conosciuto da anni come il meme “me trying to live a normal productive life”) per commentare la decisione di riammettere l’ex Presidente Donald Trump sulla piattaforma. «Che ne dite se gli faccio causa, chiedendogli 44 miliardi di dollari di risarcimento? Così potrei ricomprare Twitter e ridarlo in gestione a qualcun altro!», ha scritto il fumettista, allegando a questa dichiarazione una versione rivista e corretta del meme postato il 18 novembre da Musk: questa volta il frate che prega a mani giunte, occhi chiusi, volto al cielo chiedendo la forza di resistere alla tentazione davanti a lui, è l’immagine dell’avvocato di Manara e la ragazza discinta che lo invita a lasciarsi andare agli istinti della carne sta per «i doppi biliardi di Dogecoin di Elon Musk», che secondo la fantasia di Manara meriterebbe anche una punizione fisica, ovvero essere costretto a scrivere mille volte «Non userò mai più i disegni di Milo Manara senza permesso
Questo articolo è tratto dal numero 52 di Rivista Studio, “Ripensare tutto“. Questo è anche il titolo dell’undicesima edizione del nostro Festival in Triennale, in programma sabato 26 novembre. Nel Salone d’onore di Triennale ci ritroveremo per una serie di conversazioni sul futuro e i mutamenti che stanno stravolgendo il nostro mondo. Una di queste conversazioni sarà dedicata al Rinascimento psichedelico, una rinnovata scuola di pensiero che vede nelle sostanze psichedeliche uno strumento di cura della mente e avanzamento della persona. A moderare il panel sarà Davide Coppo (autore di questo pezzo), che dialogherà con Edoardo Camurri, scrittore, giornalista e conduttore Rai, Laura Tonini, autrice tv, e Agnese Codignola, giornalista e divulgatrice scientifica, autrice di Lsd. Da Albert Hofmann a Steve Jobs, da Timothy Leary a Robin Carhart-Harris: storia di una sostanza stupefacente (Utet Libri)Me lo ricordo il primo vero trip di Lsd, in ogni minimo particolare: ero in Germania, erano i primi giorni di ottobre, già ci voleva il maglione di lana a stare lì sul Baltico, il mio era rosso. Mi sono svegliato alle 8 di mattina e ho preso l’acido quasi subito, poco dopo la doccia e il caffè, digiuno. Sono andato a fare una passeggiata verso un ruscello vicino – ero in piena campagna, non lontano dalla Polonia – con l’amico che mi accompagnava e il suo cane. L’effetto è iniziato dopo 45 minuti. Le gambe non mi reggevano più, mi sono dovuto sdraiare supino. La luce azzurrina dello schermo mi dava fastidio, ma lo stesso sono riuscito a selezionare dalla playlist “Astral Traveling” di Pharoah Sanders. Non tanto quello che successivamente ho visto, o non soltanto, ma soprattutto quello che ho provato, e il come l’ho provato, hanno fatto sì che nella mia vita quella giornata sia diventata uno spartiacque: c’è un prima-Lsd e un dopo-Lsd. Naturalmente, come accade sempre in questi casi, le parole non riescono a esprimere in modo efficace il perché, e suonano sceme, vuote o pretenziose. Avendo letto decine di “trip report” di diverse epoche, ho scoperto che questa cesura è vera praticamente per ogni persona che abbia sperimentato una certa dose di dietilamide dell’acido lisergico.Il 2006 fu l’anno decisivo per la riscoperta degli psichedelici: l’inizio di quello che, ormai da diversi anni a questa parte, è stato battezzato “Rinascimento psichedelico”. Il 2006 fu una data importante per due motivi in particolare, entrambi significativi ma di segno molto diverso. Si tenne, quell’anno, una grande festa per il centenario della nascita di Albert Hofmann, lo scopritore, nel 1943, della molecola dell’Lsd. La celebrazione venne organizzata al Centro Congressi di Basilea, e il chimico svizzero «curvo e secco come un ramo, a malapena un metro e cinquanta», così lo descrive Michael Pollan in Come cambiare la tua mente, era presente e in ottima salute. Durante i tre giorni di cerimonia si ritrovarono in Svizzera psiconauti amatori, appassionati sciamani, accoliti di quella che si può anche definire come una vera filosofia di vita, ma anche scienziati, ricercatori, psichiatri. Già da alcuni anni, negli Stati Uniti e proprio in Svizzera, si stavano conducendo diversi esperimenti per studiare gli effetti degli psichedelici sul cervello umano: era, per queste sostanze, un “riveder le stelle”, almeno nell’ambito scientifico, dopo decenni di proibizionismo. Il secondo motivo riguarda gli Stati Uniti, e una decisione della Corte Suprema. Diceva, la decisione, che una piccola setta religiosa chiamata União do Vegetal (Udv), che nella sua liturgia prevedeva l’ingestione di ayahuasca, poteva liberamente importare la sostanza nel Paese, nonostante fosse altrimenti proibita e considerata una “droga pesante”, e cioè appartenente alla famosa Tabella 1, quella destinata a cocaina ed eroina. Si parla di Rinascimento, a indicare il momento che stiamo vivendo in rapporto alle sostanze psicotrope e psichedeliche, perché ci siamo arrivati dopo un lungo Medioevo, inteso come “età oscura”. Ovviamente il confine tra luce e ombra non è mai netto, e questi anni – questi decenni – sono fatti di sfumature a volte più luminose, a volte meno. Il Medioevo sarebbe quindi stato il proibizionismo, l’equiparazione degli psichedelici ad altre droghe completamente diverse nella composizione chimica e negli effetti sulla mente e sul corpo umano: fu colpa di una psicosi fatta – come ogni psicosi, più o meno – di paranoie, falsità e dell’odio governativo verso quel demone di Timothy Leary, «una cometa folgorante e irriverente» che sfidò apertamente, e fino alle estreme conseguenze, tutte le autorità statunitensi (la definizione tra virgolette è di Federico di Vita, dal libro La scommessa psichedelica, Quodlibet 2020).L’Lsd fu inserita nella Tabella 1 dagli Stati Uniti nel 1968, e le decine di programmi di ricerca scientifica vennero fatti chiudere quasi immediatamente. Dagli anni Settanta, in più o meno tutto l’Occidente, le sostanze psichedeliche vennero rese illegali. Ma in cosa consisteva la ricerca scientifica, allora? In breve, in formidabili scoperte nella cura della depressione, delle dipendenze, dell’ansia, della “sofferenza esistenziale” dei pazienti oncologici, che vennero portate avanti tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta in diverse università degli Stati Uniti e del Canada. La Sandoz, l’azienda per cui lavorava Hofmann, iniziò a produrre Lsd come uno psicomimetico, e cioè una sostanza capace di indurre temporanei stati di psicosi. Utilizzata in psicoanalisi o psicoterapia, si rivelò straordinariamente efficace nell’ottenere risultati più durevoli e più veloci di ogni altro metodo. E senza effetti collaterali: gli psichedelici, dopotutto, non danno dipendenza psicologica né fisica, non lasciano segni nel cervello né nel corpo. Leggendo i “trip report” di quei primi anni pionieristici, in cui i terapeuti e gli psichiatri stessi sperimentavano su di loro diversi quantitativi di acido, a colpire sono soprattutto, un po’ a sorpresa, i momenti profondamente spirituali, le illuminazioni, le estasi vere e proprie. Alcune frasi raccolte da Come cambiare la tua mente di Michael Pollan sono: «Rivissi l’esperienza di una nascita molto dolorosa, che aveva determinato quasi tutti gli aspetti della mia personalità. Però sperimentai l’armonia del genere umano, e la realtà di Dio» (Myron Stolaroff, ingegnere, poi ricercatore psichedelico); «Quello che passò attraverso la porta chiusa fu la comprensione… la consapevolezza diretta e totale, dall’interno, per così dire, dell’Amore come il fatto cosmico primario e fondamentale» (Aldous Huxley, scrittore); «I problemi e gli impedimenti, le preoccupazioni e le frustrazioni della vita quotidiana erano svaniti; al loro posto, c’era una quiete celestiale, illuminata, grandiosa. Mi sembrava di essere finalmente arrivato alla contemplazione della verità eterna» (Sidney Cohen, psichiatra).
La rivoluzione che le sostanze psichedeliche hanno in dote, in potenza e non ancora in atto, non è soltanto medica: è sociologica, culturale, spirituale, e potenzialmente politica
Oggi le ricerche sono ripartite: il primo studio del Rinascimento viene accordato legalmente a Peter Gasser, uno psichiatra svizzero, nel 2007. Sono passati ormai 30 anni dall’inizio del proibizionismo ma è un felice ritorno nella terra in cui la molecola venne battezzata, nel 1938. È anche un’ultima gioia per Albert Hofmann, che morirà pochi mesi dopo, a 102 anni, forse rasserenato da quel nuovo e positivo interesse verso il suo «bambino difficile», come aveva definito l’Lsd nel 1979. Negli anni che seguono la ricerca esplode di nuovo, e con ancora più convinzione e mezzi rispetto agli anni Cinquanta: università come l’Imperial College di Londra, la Johns Hopkins di Baltimora, quella di Berkeley in California inaugurano centri di ricerca sui benefici degli psichedelici; diverse città o Stati, negli Stati Uniti, legalizzano o depenalizzano la psilocibina (un alcaloide presente nei famosi funghi, molto simile all’Lsd), e in alcuni casi anche la ayahuasca e la mescalina. Le prospettive della psicoterapia psichedelica sono definite da molti psichiatri estremamente luminose, e prevedono l’uso di ketamina, Mdma, psilocibina e Lsd.
Tutto bene, quindi? Quasi. La rivoluzione che le sostanze psichedeliche hanno in dote, in potenza e non ancora in atto, non è soltanto medica: è sociologica, culturale, spirituale, e potenzialmente politica. La psichedelia porta allo sviluppo di un pensiero olistico, all’allentamento delle gabbie dell’ego, a volte alla loro dissoluzione, a un ritrovato senso della meraviglia. Questo perché, tecnicamente, Lsd e psilocibina resettano il cosiddetto Dmn, Default mode network, una specie di meccanismo di “compressione” delle tonnellate di impulsi e informazioni che i nostri occhi ogni secondo – semplicemente vedendo – buttano dentro al cervello. Il Dmn ci permette di funzionare attivamente mentre tutto il resto scorre, per così dire, “in background”, mentre con gli psichedelici questo meccanismo si interrompe: le immagini tornano a essere viste come se fosse una specie di prima volta; le emozioni non sono più compresse, ma esplodono in tutta la loro potenza. Io ogni volta che prendo l’Lsd piango. È una reazione comune: si piange di gioia, anzi, si piange di bellezza per il mondo che ci circonda, per un semplice albero, per il volo di un falco solitario in campagna, per il volto di un’amica seduta vicino a te. Per un intangibile, impossibile da spiegare senso di appartenenza al cosmo, a un pulsare costante di energia universale. Se suonano come frasi da fricchettone è perché lo sono: gli psichedelici ti insegnano anche che non c’è niente di male, nell’essere fricchettone. «Il misticismo è l’antidoto al fondamentalismo», diceva a proposito Rick Doblin, psichiatra e fondatore del Maps (Multidisciplinary association for psychedelic studies) nel 1986. E come scrive Michael Pollan, sempre lui, nel suo ultimo libro Piante che cambiano la mente (Adelphi, 2022), le sentenze depenalizzanti di cui ho parlato poco sopra fanno riferimento agli psichedelici con il nome di piante enteogene: «”Enteogeno”, che deriva dal greco e significa “manifestare il dio [il divino] al proprio interno”, è un termine alternativo per indicare gli psichedelici, coniato nel 1979 da un gruppo di studiosi delle religioni, nella speranza di lavare la macchia della controcultura da questa classe di droghe e sottolineare l’uso spirituale che se ne è fatto per migliaia di anni». Chiamo Vanni Santoni, uno scrittore che si occupa da anni di psichedelici, autore di diversi articoli, introduzioni, curatele sul tema. Dice: «Non è detto che la società desideri quello che gli psichedelici offrono: se curi lo stress post traumatico di un soldato è un conto, ma se convinci una persona a lasciare il suo lavoro e cercare di vivere facendo meno soldi e in modo più sostenibile? Non è sicuro che una società improntata alla crescita costante ritenga questa una prospettiva desiderabile».
Quindi c’è una crepa che si è aperta, negli ultimi dieci anni – e soprattutto negli ultimi due – nel muro di certezze che chiamiamo normalità. Gli psichedelici, in questa crepa, possono scavare ancora di più
In fondo bisognerebbe prima di tutto fare chiarezza su cosa consideriamo una malattia e cosa no, in questa società, e su quali possono essere, nel primo caso, le cause e le cure. La pandemia da Coronavirus ha scombussolato tutto, in questo senso, e messo le certezze che avevamo in un frullatore. Sempre più persone stanno iniziando a non accettare passivamente lo stress come una conseguenza endemica della vita, ma lo vedono (finalmente) come il frutto contaminato, e quindi da correggere quando non evitare, di un mondo del lavoro spesso tossico. A pensare il burnout come un avvelenamento. A collegare un certo modo di lavorare alla depressione. C’era questo slogan, nei primi giorni di pandemia, prima dei lockdown, che veniva scritto sui muri di tutto il mondo, e diceva: «We won’t get back to normal because normal was the problem». È importante allora vedere gli psichedelici come un potenziale alleato in questo cambiamento, anche se non sarà facile. Ancora Santoni mi dice: «È complesso, perché il paradigma psicoanalitico ha trionfato su quello sociologico. C’è stata un’individualizzazione, o un’ideologizzazione dell’individualismo, che ha fatto sì che il rapporto della sostanza sia sempre con il singolo. E si è smesso di guardare alle cose in modo più olistico, con una direzione sociale». Quindi c’è una crepa che si è aperta, negli ultimi dieci anni – e soprattutto negli ultimi due – nel muro di certezze che chiamiamo normalità. L’ondata di dimissioni che in Occidente abbiamo battezzato Great Resignation è parte di questa crepa, o della sabbia che dalla crepa cade per terra; anche il lavoro agile e da remoto, quando viene mantenuto oppure difeso a oltranza dai dipendenti, è un pezzetto, così come l’attenzione sempre più marcata al benessere mentale e alla felicità individuale come condizione fondamentale per lavorare e quindi vivere bene. Gli psichedelici, in questa crepa, possono scavare ancora di più. Possono ampliarla. Fino a farla detonare? Forse. C’è bisogno, però, di una certa diffusione, di una certa consapevolezza, e dell’espansione, anche inizialmente illegale, per forza di cose, del cosiddetto underground. È positivo, insomma, seguire questi iniziali sviluppi esclusivamente medici che riguardano l’Lsd, la psilocibina, l’Mdma, e così via, e tifare per loro: l’applicazione scientifica è fondamentale per chi potrà beneficiare degli effetti benefici delle sostanze in gioco e della psicoterapia sviluppata con il loro supporto; in più, camminare sulla strada aperta dalla medicina – Santoni parla di «paradigma salutistico» – ha già portato a progressi con la considerazione anche ricreativa di alcune droghe leggere, in diversi Paesi. Ma una vera rivoluzione psichedelica sarà completa soltanto quando ci convinceremo che è giusto far stare bene chi sta già bene, e pure permettere, a chi vuole, di viaggiare dentro profondità personali o universali per il puro piacere della scoperta, per slancio spirituale o divertimento. Per fortuna, o purtroppo per i rallentamenti impliciti in un’operazione del genere, è una cosa più connessa di quanto pensiamo a un cambio di paradigma che riguarda tutta la società. O forse: l’umanità.
I segnali c’erano da mesi, ma un fondo di scetticismo rimaneva: davvero Alessandro Michele, artefice di uno dei più grandi successi della moda contemporanea, avrebbe lasciato Gucci? I suoi sette anni di direzione creativa sono stati raccontati – anche qui, su Rivista Studio – come un caso di allineamento stellare, quello in cui un bravissimo designer che si è fatto le ossa in un marchio (da Gucci ci è arrivato nel 2002, giovanissimo, e ha lavorato sia con Tom Ford che con Frida Giannini) arriva al posto più ambito al fianco di un amministratore delegato in gamba, e insieme riportano un brand che aveva perso tutto il suo smalto al centro del desiderio collettivo. Insomma, un’operazione di quelle che fanno l’industria della moda, ma che nella miriade di copie e tentativi di cavalcare lo streetwear degli ultimi dieci anni ha assunto sin dall’esordio, nel 2015, un significato particolare. Alessandro Michele, e Gucci così come se l’è immaginato lui, sono entrati nella cultura pop e hanno dimostrato come la moda potesse ancora essere il collante speciale che tiene insieme Donna Haraway e il glamour hollywoodiano, i mocassini con il pelo e i ricordi dell’infanzia, Roma e il mondo, l’esoterismo e l’estetica anni Settanta, riveduta e corretta secondo le passioni, durature e momentanee, del suo demiurgo.
L’addio che si è consumato in questi giorni, con il comunicato ufficiale arrivato in tarda serata di ieri dopo l’articolo di Wwd in cui fonti interne parlavano di un’uscita imminente, sembra ricalcare i tanti sconvolgimenti e cambi di direzione bruschi a cui la moda è abituata, in particolare quando si tratta di Kering e François-Henri Pinault. Non è la prima volta, come ricorda il New York Times, che questi annunci irrompono a ciel sereno: proprio da Gucci era già successo nel 2004 con Tom Ford e Domenico De Sole, quindi nel 2014 con Frida Gianni e Patrizio di Marco, ma lo scorso anno anche l’annuncio del licenziamento di Daniel Lee da Bottega Veneta era arrivato senza troppo preavviso (ma con molte speculazioni), nonostante il designer inglese avesse riacceso l’interesse nei confronti del brand. Le motivazioni sono ovviamente economiche, sebbene nel caso del Gucci di Michele i numeri siano ancora stratosferici: quasi 10 miliardi di dollari in revenue nel 2021, il più forte tra i marchi Kering. Certo, di mezzo c’è stata quella che si chiama “brand fatigue”, che nell’epoca della moda consumata sui social arriva sempre più in fretta, sempre più spietata. L’idea di lavorare su un solo universo estetico, come ha fatto magistralmente proprio Alessandro Michele o Demna Gvasalia da Balenciaga, un universo che fosse grande e malleabile e contraddittorio abbastanza da poter contenere tutte le conversazioni sul contemporaneo, sembra oggi soccombere di nuovo alla stagionalità dei trend, alla pressante richiesta di novità e prodotto che, soprattutto nel bel mezzo della crisi causata dal Covid, la moda aveva spergiurato di voler mettere definitivamente in discussione.
Parlare di stagionalità e trend sembra quasi uno scherzo se non proprio una ingenuità, considerando che oggi una moltitudine di estetiche differenti, ma comunque sempre rimasticate, riesce a coesistere negli stessi spazi digitali, ma è proprio la parcellizzazione infinita delle nicchie di gusto causata dai social media, unita allo sbriciolamento delle classiche suddivisioni di mercato dovuta all’impatto dello streetwear sul lusso, a consegnarci uno scenario in cui le revenue non sono mai abbastanza, il nuovo mai abbastanza nuovo, la moda mai abbastanza di moda. Non che la cosa abbia sorpreso nessuno, ma le proporzioni che il fenomeno assume sono notevolmente differenti dal passato. Solo qualche giorno fa, commentando la chiusura del suo marchio, scrivevo dell’eccezionalità della carriera di Raf Simons, che ha avuto occasioni che a tanti designer suoi coetanei non sono capitate e che nonostante ciò non è riuscito (o non ha voluto) a mantenere il brand che porta il suo nome. Oggi commentiamo l’addio dell’unica vera icona pop della moda contemporanea al marchio che ha rilanciato: se certamente l’industria continuerà a fare l’industria e tra qualche mese si parlerà del nuovo corso, qui si spera anche che Alessandro Michele continuerà sempre a fare, a essere, Alessandro Michele.