Qualche anno fa, una distinta signora riccionese, amante dell’opera e con una passione – per via del padre, credo – per l’arma dei Carabinieri, mi mostrò il suo più arcano tesoro. Un fascio di lettere che testimoniavano il ventennale rapporto epistolare con Licio Gelli, “faccendiere”, “Maestro venerabile” della Loggia P2. Che Licio Gelli frequentasse la riviera romagnola non è un mistero: l’adorata figlia Maria Grazia era la compagna di Gianni Fabbri, notissimo imprenditore riminese della notte – morì in un terribile incidente stradale, nel giugno del 1988, presso Calenzano: alla guida della Mercedes 560Sec c’era proprio Fabbri. “Era una persona squisita, un uomo d’altri tempi”, mi aveva detto, all’epoca, la signora – era una pasionaria, come si dice: ora giace in una casa di cura per anziani. Grosso modo la prima idea che di G. – analogo ma non equivalente di Gelli – si fa Marco Sangiorgi, il giornalista d’inchiesta che guida l’azione dell’ultimo romanzo di Gianluca Barbera, Il segreto del Gran Maestro (Chiarelettere, 2023): “Il Venerabile non era che un vecchio dai modi senili e dall’aspetto apparentemente bonario. Niente di luciferino. Nessun fasto, nessuna bellezza”.
Gelli forse era sinuosamente innamorato della “signorina” – così la chiamava – riccionese: l’aveva invitata a Villa Wanda; spesso, nelle lettere, giocava a fare la vittima. Così, ad esempio, il 23 aprile del 2000: “Ho percorso tutto il calvario come Cristo, flagellato… Le dirò che la Croce di Cristo l’avrei portata volentieri, ma quella ordita da un gruppo di magistrati criminali agli ordini dei comunisti (che non mi perdonano le mie idee e la partecipazione alla guerra spagnola), non mi rassegno a portarla e non avranno la soddisfazione di andare a chiedergli ‘perdono’”. Come spesso succede agli uomini di potere, anche Gelli stemperava la smania con badili di biada lirica. Scriveva poesie, insomma. Tante. Brutte. Spesso pubblicate da Laterza, con titoli irritanti: Riccioli d’oro nel vento, Trucioli di sogno, Lacrime d’oro, Luna a colori… La “signorina” leggeva – i libri, naturalmente, autografati dal sommo G. – e andava in visibilio.
Soltanto Gianluca Barbera avrebbe potuto scrivere – leggo dalla bandella – “il romanzo sulla massoneria e sull’Italia dei poteri occulti” senza degenerare nei cliché del ‘genere’. È vero: il libro si legge, ha le rapide di chi sa tenere per i capelli la fatidica ‘trama’; seguendo la vicenda di G./Gelli – si leggano le parti sulla Repubblica sociale, o quando appaiono Giulio Andreotti, Roberto Calvi e l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera – si scorge, pur in filigrana, la storia esoterica di un Paese al massacro, il nostro. Il precedente di Barbera – Il venerabile, romanzo “con nomi e fatti veri”, che prometteva di svelare “cinquant’anni di misteri e segreti”, pubblicato da Gribaudo & Zarotti nel 1993 – non regge il confronto, se non come mera testimonianza, utile ai fanatici del complotto, dunque del pettegolezzo. In quel libro, Pier Carpi – figura che comunque andrebbe riscoperta: teosofo, scrittore per i fumetti, regista (girò un Povero Cristo con Mino Reitano…) –, iscritto alla P2, racconta le sorti di Gelli magnificandolo, facendone una sorta di eroe dell’anticomunismo. Più che altro, fuori dagli estremi – del romanzo agiografico come da quello ‘giornalistico’ –, Barbera fa il letterato puro: i suoi riferimenti sono Borges, Edgar Allan Poe e Il pendolo di Foucault; nel romanzo cita Seneca e Dostoevskij, sa come giocare con i chiaroscuri che creano il giusto pathos (“Non è facile riconoscere gli angeli. E nemmeno i demoni. Entrambi sono irradiazioni del divino, e di solito percepiamo la loro presenza solo quando se ne sono andati, dall’odore che si sono lasciati alle spalle”). Quando Sangiorgi descrive “il capo della Loggia P2” simile “a un Buddha di porcellana a grandezza naturale”, la nostra mente si sposta sul Tamigi, a bordo della Nellie, su cui siede Marlow ritratto dal suo creatore, il sommo Joseph Conrad, nella posa di “un Buddha predicante in abiti europei, senza il fiore di loto”. In altra direzione, con altro tono, ma con non diverso sguardo, vigile e sonnambulo insieme, anche Barbera ha cercato di sondare il cuore di tenebra di un uomo, di un’epoca.
Intanto: cosa ci dice il tuo romanzo su Gelli che già non sappiamo dai troppi libri su Gelli?
Il mio è innanzitutto un romanzo gotico, anche se si presenta nei panni raziocinanti del romanzo d’inchiesta. Il protagonista, G., è un individuo, ormai in fase terminale, che ha stipulato un “patto col diavolo”. Lo indico con la iniziale G. anche perché non corrisponde in tutto e per tutto a Licio Gelli. È piuttosto un suo alter ego. Si differenzia dal personaggio reale per caratura intellettuale, complessità mentale, capacità di calcare il palcoscenico della storia, leggere gli eventi in controluce. E per altri particolari non secondari. Forse si può ravvisare qualche somiglianza con il vecchio Karamazov. Insomma, mi sono spinto molto più in là.
E poi. Perché un romanzo? Intendo. Ti interessa il romanzo come arma ‘conoscitiva’, che permette di affrontare con più profondità un fenomeno su cui molto si è scritto, oppure ti interessa la Massoneria e la storia di G. come patina pepata per insaporire un romanzo ‘del mistero’? Insomma: sei più con Elias Canetti o con Umberto Eco?
Non è la prima volta, come sai, che prendo un personaggio storico e lo reinvento; che maneggio il magma incandescente della realtà per modellare una storia esemplare, drammaturgicamente compiuta. E poi il saggista ha quasi solo certezze, a me interessa spalancare dubbi. Quello che faccio ogni volta è mettere in scena la comédie humaine da nuove prospettive e angolazioni. Indago l’uomo, non la vicenda in sé, che pure significa molto. Attraverso ciò che racconto provo a mettere ordine in quel caos che è il mondo in cerca delle ragioni più profonde, meno accessibili. Con L’ultima notte di Raul Gardini dello scorso anno, ho inaugurato un nuovo modo di raccontare la storia recente del nostro Paese, non lontano da certi lavori di Sciascia e da precedenti illustri quali Storia della colonna infame di Manzoni.
A tuo parere: qual è il reale ruolo della Loggia P2 nella lotta armata per sopraffare lo Stato, nella puntiforme strategia del caos ordita per conquistare i luoghi chiave della Repubblica?
Per una decina d’anni la P2 ha giocato un ruolo che ambiva a diventare totalizzante, soverchiante, un machiavellico contropotere, uno Stato nello Stato, senza però riuscirvi. Anche ammettendo che sopra Gelli vi fosse un ulteriore livello, un livello politico, nazionale o sovranazionale, come ipotizzato nel romanzo, l’azione della P2 è riuscita ad avvelenare le acque di superficie ma non a produrre quel sovvertimento dell’ordine democratico che si prefiggeva, da raggiungersi mediante il controllo delle istituzioni e dei gangli vitali della società. Ciò non toglie che la P2 sia stata implicata in fatti di sangue gravissimi, nella strategia della tensione, in clamorosi crac finanziari, in tentativi di controllo dell’informazione, della magistratura e delle alte cariche dello Stato, grazie anche alle coperture di cui ha goduto negli ambienti dello spionaggio.
Perché la Massoneria ci affascina così tanto, proprio ora che quel tanto di esoterico pare ormai quasi tutto essoterico?
Per molti la storia dell’uomo non è altro che la lunga trama dei complotti orditi e celati dietro le versioni ufficiali. Io sono tutto fuorché complottista. Mi trovo d’accordo con Popper: il bisogno di credere che qualunque cosa avvenga nella società – guerre, povertà, epidemie – sia il risultato di manovre occulte non è che una forma di nuovo teismo, di ripiegamento nell’irrazionale. Pasolini lo ha detto ancora più chiaramente: il complotto ci libera dal peso di avere a che fare con la verità.
Cosa sono i ‘poteri occulti’? Non è forse vero che ogni potere cerca di occultare la sua reale forza, il proprio operato?
Certo. Anche il patto stretto da Cesare con Crasso e Pompeo si poneva al di fuori delle istituzioni. Era un patto segreto (fino a un certo punto) per la conquista e spartizione del potere. Avveniva allora, e avviene oggi. Il potere aiuta sé stesso, mira all’autoconservazione, a ogni costo. A volte si tratta di una lotta tra poteri contrapposti. Altre volte di poteri che si sostengono a vicenda. Anche le rivoluzioni sono nuovi poteri che si sostituiscono ai vecchi. Mi pare che il collegamento tra massoneria e mafia sia sotto gli occhi di tutti. Registro inoltre la tendenza a etichettare come “massoneria” fenomeni di tipo lobbistico. Spesso difatti l’espressione “massoneria” potrebbe tranquillamente essere sostituita con termini quali “poteri forti”, “cartelli”, “consorterie”, “oligarchie”, “establishment”, “mercati finanziari”.
Cosa ti affascina di G.? Qual è l’aspetto più inatteso che ti pare di aver messo in luce?
Credo di avere pazientemente raccolto le sperdute tessere di un complesso puzzle e di averle ricomposte in un grande e inquietante affresco. Attraverso la parabola di Gelli racconto quasi un secolo di storia italiana, dall’epoca fascista ai giorni nostri, passando per il presunto tesoro della massoneria e la stagione dello stragismo (su tutte la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980). Leggendo il mio romanzo ritengo che il quadro cominci a farsi nitido, se non altro frastagliato. So che viene letto anche da studiosi e protagonisti di quelle vicende.
Bene. Dimmi qualcosa sullo stato del romanzo italiano. Ti frega qualcosa? Vuoi vincere lo Strega?
Non mi piace molto della scena letteraria odierna. L’eccesso di marketing. La facilità con cui si manipolano i lettori. Il fatto che tutti (o quasi) si lancino all’inseguimento di mode e tendenze, parole d’ordine, slogan. Il moralismo sfacciato insito in molti romanzi. E la lingua con la quale sono scritti, più vicina al fumetto, a una sceneggiatura o a un compitino scolastico piuttosto che alla migliore letteratura. Manca l’intento artistico. Le responsabilità sono anche dei lettori, che premiano i linguaggi semplificati, più vicini al loro. Ma, come dici tu, non me ne frega molto, ognuno va per la sua strada.
E ora? Cosa scrivi?
Uscirà tra non molto un romanzo breve che ho scritto tempo addietro, sul mestiere dello scrittore e sulle fatali conseguenze della dedizione assoluta all’arte, ai limiti del patto col diavolo, lungo il crinale della perdizione, a partire dal racconto della parabola esistenziale di Georges Simenon, più immaginario che reale. Ne parleremo più avanti, se vuoi.