Naturalmente si può pensarla nei modi più diversi, anche opposti, su “Comandante”, il film di Edoardo De Angelis con Pierfrancesco Favino che ha inaugurato stasera la Mostra di Venezia (è anche in concorso). Ma non ha proprio senso, secondo me, considerarlo un film solo retorico, storicamente inattendibile e moralmente ambiguo, che glorifica e idealizza “gli italiani brava gente” contro ogni evidenza, pure “fascistoide” ho sentito dire, insomma perfetto sul piano del tempismo per compiacere i nuovi governanti di destra estrema. Sciocchezze. E se anche il ministro Gennaro Sangiuliano molto apprezzasse, be’ chi se ne frega?
A me sembra semmai un film irrisolto, eccentrico e troppo ambizioso, sia pure con momenti di forte intensità, ma non la metterei sul piano ideologico/politico, non fosse altro perché è stato scritto dal regista napoletano insieme a Sandro Veronesi, lo scrittore di “Caos calmo”. E fu proprio lui a proporre a Roberto Saviano di “mettere i nostri corpi sulle navi delle Ong che salvano i migranti in mare”, per uscire dalla chiacchiera e impegnarsi in prima persona (poi non se ne fece nulla).
A evitare ulteriori equivoci: la canzone “Un’ora sola ti vorrei”, intonata con toni marziali dai marinai del sommergibile Cappellini in quel 29 settembre del 1940 mentre stanno per imbarcarsi, non è un stranezza antistorica, essendo stata incisa la prima volta nel 1938 da Nuccia Natali con l’orchestra di Pippo Barzizza e subito diventò un successo popolare, benché il fascismo annusasse odore di fronda in quel testo. Quindi ci sta.
Non pensate a film come “Uomini sul fondo” (1941) o “U-Boat-96” (1981), De Angelis rifugge il realismo estremo pur nella ricostruzione fastosa/puntigliosa da 16 milioni di euro, e anzi allestisce una drammaturgia quasi di impianto teatrale, anche nella dizione stentorea degli attori, in una dimensione stilizzata, sospesa, non da classico film di guerra. Tutto ciò spiazza e un po’ depista, soprattutto nell’incipit non capisci bene dove la faccenda voglia andare a parare.
Salvatore Bruno Tòdaro, 1908-1942, fu capitano di corvetta pluridecorato, prima nella Regia Marina e poi nella Flottiglia X Mas. Il tutto prima dell’8 settembre. Non risulta che fosse mussoliniano, infatti una delle prime battute del film recita “Il fascismo è dolore”, ma certo combatté con ardimento, diciamo dalla parte sbagliata, accanto ai tedeschi contro gli Alleati.
Il film sin dall’inizio ce lo mostra sofferente, costretto a indossare un busto per via di una lesione alla schiena risalente al 1933, pure dedito alla morfina per lenire i dolori. Personaggio vagamente dannunziano, dalla prosa immaginifica, sessualmente attratto dalla bella moglie Rina, esperto di yoga, considerato dai suoi marinai “un mago”, “un fachiro”, di sicuro valoroso condottiero.
Alla guida del sommergibile “Cappellini”, uno dei migliori italiani sul piano tecnologico e dell’armamento, il comandante salpa da La Spezia alla volta dell’Oceano per affondare cargo avversari. Nella notte del 15 ottobre s’imbatte nella nave “Kabalo”: battente bandiera belga e formalmente neutrale, in realtà trasporta pezzi di ricambio per la Raf, quindi va abbattuta. E così accade.
A quel punto, però, invece di lasciare i 26 naufraghi al loro destino di morte tra i flutti, Tòdaro ordina ai suoi di salvare i sopravvissuti. Addirittura, dopo aver rimorchiato la scialuppa, li prenderà tutti a bordo. Ma il “Cappellini” non può inabissarsi con tutte quelle persone, quindi, molto rischiando in caso di attacco aereo, deciderà di navigare per tre giorni in superficie, fino alle Azzorre per sbarcare lì i belgi. “Noi affondiamo il ferro nemico, ma l’uomo lo salviamo” teorizza, nella sorpresa dello stesso capitano belga che mai si sarebbe comportato così a ruoli rovesciati.
Il film è visionario e stentoreo, a tratti astratto e divagante, punteggiato di rumori sordi e minacciosi un po’ alla Nolan, assai elaborato nella messa in scena, a partire dalla colonna sonora di Robert Del Naja, uno dei Massive Attack, e non tutto torna nella successione degli eventi (troppi tagli per portarlo a due ore?). Un cartello iniziale si riferisce al conflitto russo-ucraino, e certo De Angelis vuole dirci che anche nella guerra più brutale non si dovrebbe perdere un senso di umanità. Ma per nulla sottotraccia ci sono riferimenti all’oggi, alla “legge del mare”, ai migranti lasciati affogare per colpa di norme disumane. Una frase dice: “In mare siamo tutti alla stessa distanza da Dio. La differenza la fa la mano che ti salva la vita”. Più chiaro di così?
De Angelis ricostruisce i fatti inzeppando di suggestioni estetiche il suo racconto: un omaggio alla Cavani del “Portiere di notte”, riferimenti in greco antico alle genealogie omeriche, “Cavalleria rusticana” di Mascagni insieme ai blues di Billie Holiday e al classico napoletano “O surdato ‘nnammurato”, con tanto di mandolino a vista (effettivamente troppo).
Per la cronaca: al ritorno dalla missione, Tòdaro fu duramente redarguito dall’alto comando nazista per quel suo comportamento considerato flebile, poco bellicoso, “umanitario”. Lui avrebbe commentato: “Un comandante tedesco non ha, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”. Due anni dopo, il 14 dicembre 1942, sarebbe morto ucciso da una scheggia, durante un mitragliamento aereo britannico al largo della Tunisia.
Qualche ironia ha suscitato il lungo elenco di cibi italiani che risuona prima in una scena e poi sui titoli di coda. Ed è vero che “Comandante” propone un’immagine sin troppo cordiale e malinconica di quei sommergibilisti che saranno sopraffatti dalle forze avversarie, anche da una guerra insensata. Temo che i difetti del film finiranno con l’occultare i momenti riusciti, anche perché stavolta il noto camaleontismo di Pierfrancesco Favino sembra cristallizzarsi in una prova d’attore (accento, movenze, toni, sguardi, carisma) all’insegna di un virtuosismo che lascia perplessi. Peraltro il vero Tòdaro era messinese: perché farlo parlare in un curioso veneto?
Prodotto da Indigo e Rai Cinema, il film sarà nelle sale il 1° novembre.