Negli anni che precedettero la catabasi verso il delirio e poi la completa catatonia, Nietzsche soggiornò in quelle città che sembravano offrire un po’ di conforto alla sua precaria salute già pungolata dai sintomi perniciosi di una malattia che rimane ancora misteriosamente senza nome. In questo terapeutico vagabondaggio egli toccò più volte l’Italia (Genova, Rapallo, Roma, Sorrento, Torino) di cui amava il clima e la cucina e, soprattutto, la Svizzera e la Francia meridionale. Fu proprio qui, a Nizza, sulla Costa Azzurra, che nel 1884, per intercessione della comune amica Malwida von Meysenbug, si presentò a lui Resa von Schirnhofer, una giovane austriaca di ventinove anni, studentessa di filosofia. Tra i due nacque una sincera amicizia che continuò anche in seguito (si rivedranno a Sils-Maria e a Zurigo), fino all’ultima visita a Weimar, nel 1897, in casa di Elisabeth, la sorella del filosofo, quando Nietzsche era ormai ridotto a poco più di un vegetale.
Circa quarant’anni dopo questo incontro, sollecitata dalla fama acquisita da Nietzsche, dall’impressionante influenza esercitata dal suo pensiero e dalle numerose pubblicazioni critiche sulle sue opere, Resa von Schirnhofer decise di riaprire lo stipo della memoria e di mettere su carta il piccolo personale diario degli incontri con il filosofo dello Zarathustra. Ne venne fuori un esile libretto in cui, per lo più, di Nietzsche emerge una gran quantità di dettagli di una personalità generosa, fragile, premurosa, sofferente, che soltanto un certo biografismo osannante e corrotto, negli anni a seguire, ha idealizzato facendola apparire dionisiaca, inarrivabile e ieratica. Insomma, con Resa von Schirnhofer scopriamo che Nietzsche è stato anche un uomo.
Oggi, questo libretto di appena una cinquantina di pagine, è finalmente disponibile in italiano proprio con il titolo Sull’uomo Nietzsche grazie alla traduzione della studiosa Susanna Mati che da anni, con indefettibile cura e infaticabile passione, sta restituendo nella nostra lingua nuove traduzioni dei testi di Nietzsche per i tipi di Feltrinelli (sua, tra l’altro, è anche una inusitata rilettura del pensiero del filosofo tedesco intitolata Friedrich Nietzsche. Tentativo di labirinto) che vanno ad affiancarsi a quelli della storica collana adelphiana curata da Giorgio Colli e Mazzino Montinari.
Ciò che si legge in Sull’uomo Nietzsche, dunque, è la frammentata testimonianza di un incontro in più tappe tra una studentessa, forse anche un po’ troppo ingenua e disattenta, e un vecchio professore malato e mezzo cieco. Gli accenni alla filosofia di Nietzsche qui sono veramente pochi, mentre quelle che in questo taccuino appaiono come sorprese, come eccezioni o rarità, se rapportate allo spirito di eccellente e acclamata superiorità intellettuale che siamo stati abituati a conoscere, sono gli aspetti “umani, troppo umani” del filosofo tedesco. Come se a Nietzsche, il profeta del Superuomo e di Zarathustra, il teorico dell’eterno ritorno e della trasvalutazione di tutti i valori, il ‘dinamitardo’ che filosofava con il martello, non fosse concesso di essere anche uomo, vecchio, triste, debole, malato. Perciò, leggendo i ricordi di Resa von Schirnhofer, adesso fa quasi sorridere sapere che egli avesse qualche insolita e innocua mania, come quella di non uscire mai di casa senza il suo inseparabile ombrello grigio; impressiona che, a distanza di anni, ancora soffrisse per la drammatica rottura dell’amicizia con Wagner; meraviglia che cerchi quasi di scusarsi con la sua giovane amica per quelle espressioni troppo feroci nei confronti delle donne usate nello Zarathustra o che si lasci andare, con lei, in mugolanti e lamentose descrizioni dei suoi perenni malanni. Ma più di tutto, invece, muove a umana compassione la descrizione che Resa fa dell’ultima visita al suo vecchio amico, a Weimar, in casa della sorella Elisabeth che se ne assunse l’accudimento e la riservatezza in un difensivo isolamento:
“Immobile, apatico, sedeva come un automa nella propria separatezza là dove una volontà esterna lo aveva posto. Non mi ricordo nessuna parola di saluto, né di aver superato l’ansiosa rigidità che mi afferrò di fronte a questa persona, un tempo conosciuta, adesso così estranea, ammutolita. […] che recava su di sé il sigillo dell’infermità umana, e nella quale sembrava spenta ogni scintilla di vita spirituale”.
(Sull’uomo Nietzsche, p. 47)
Eppure, ciò che dovrebbe sorprendere e stupire, più dei ricordi di Resa von Schirnhofer che umanizzano e riportano l’intemperante Nietzsche ‘con i piedi per terra’, sono le insolite reazioni di meraviglia di chi non si era ancora reso conto dell’umanità del filosofo della “morte di Dio”. Senza voler per forza ricordare a costoro Il crepuscolo dei filosofi, la vecchia ma ancora urticante raccolta di ritratti di alcuni dei più famosi filosofi scritta, nel 1906, da Giovanni Papini, nella quale Nietzsche è identificato soprattutto con la sua malattia, e il suo pensiero con l’esito patologico di un uomo malato, accasciato e traballante la cui glorificazione “[…] si deve dunque cercare, io credo, nella stessa debolezza e morbosità del filosofo”, vale però la pena rammentare loro che già molti anni fa, con un libro intitolato La catastrofe di Nietzsche a Torino, pubblicato da Einaudi nel 1978 e oggi reperibile con una buona dose di fortuna, l’impavido ricercatore Anacleto Verrecchia, raccogliendo materiali storici, testimonianze e documenti inediti o poco noti, aveva fatto, di suo, un ritratto biografico del filosofo tedesco ben più feroce e impietoso.
Sebbene il suo intento fosse quello di documentare l’ultimo periodo della vita cosciente di Nietzsche, quello torinese, poco prima dell’arcinoto tracollo psichico, Verrecchia coglie l’occasione per riesaminarne le consuetudini alimentari e i gusti artistici, rileggerne la corrispondenza, recuperare tratti delle sue abitudini quotidiane restituendo agli adoranti corifei italiani di allora (e di oggi) “[…] un’occhiata indiscreta alla statua di Nietzsche, dopo averla accuratamente liberata dagli ex voto e dallo strato di cera accumulatovi sopra dai fedeli”.
Leggendo il libro di Verrecchia, per esempio, si apprende che il filosofo, privilegiato amico di Wagner ed estimatore della musica di Bizet (ve ne è una preziosa testimonianza anche tra i ricordi di Resa von Schirnhofer), durante il soggiorno torinese, mentre in città si tenevano le commemorazioni di Giordano Bruno, andò a teatro una sola volta e soltanto per assistere, addirittura, a Levvate ‘a cammesella, una farsa napoletana della compagnia Scognamiglio; che, ancora in fatto di arte e di musica, abbia inviato una copia della partitura della sua Manfred-Meditation, opera che considerava ‘musica dell’avvenire’, al grande direttore d’orchestra Hans von Bülow e ne abbia ricevuto una risposta che avrebbe fatto impallidire e vergognare chiunque per il resto della vita. Vi si può leggere anche che a Torino Nietzsche si rintanava in anonimi caffè frequentati da persone comuni evitando accuratamente quei locali in cui, invece, erano solito ritrovarsi gli intellettuali e la buona società; oppure che, come un qualsiasi mortale, si dava da fare per acquistare, a un prezzo decente, una stufa a carbone che poi si fece arrivare dalla Germania; o, ancora, si viene a sapere della sua pacata esaltazione per uno dei primi concorsi di bellezza femminile di cui aveva probabilmente letto la notizia dalla Gazzetta Piemontese.
Insomma, credo che la preziosa novità editoriale del libro di Resa von Schirnhofer favorisca ulteriormente a confermare che Nietzsche sia stato anche un uomo e non soltanto quella figura mitologica che la sorella Elisabeth molto contribuì a creare. Perché, dopotutto, non è forse proprio questo ciò avrebbe voluto Nietzsche per sé e per l’umanità: completare l’opera di trasvalutazione, “diventare ciò che si è” e riemergere, dalla profondità del Lete in cui si era immerso, autenticamente rinnovato, fieramente uomo?