Abbiamo visto Beyond regia di Mia Pernilla August.
Mia Pernilla Wallgren coniugata con il regista danese Bille August è un’attrice di cinema e teatro molto conosciuta in Svezia. Ha iniziato bene, perché il suo debutto – anche se in un ruolo non principale (Mai, la balia di Emilie) e tra tantissimi attori – è stato nel capolavoro Fanny e Alexander (1982) diretto dal maestro Ingmar Bergman. Ha recitato poi in The Serpent’s Way del compianto Bo Widerberg, bel film mai arrivato in Italia E’ stata, poi, protagonista nel film Con le migliori intenzioni diretto dal marito Bille August e vincitrice a Cannes nel 1992 come migliore attrice. Ha anche partecipato a grosse produzioni americane tra cui i prequel di Star Wars. Ma in Svezia è conosciuta soprattutto per le sue performance teatrali, ha interpretato Amleto di Shakespeare, Casa di bambola di Ibsen, Tre sorelle di Anton Cechov per ricordare le più famose. Oggi, a poco più di cinquant’anni, decide di debuttare nella regia con Beyond tratto da un romanzo di Susanna Alakoski e scrive la sceneggiatura con Lolita Ray. Alcuni critici rilevano che la regista ha saputo apprendere la lezione da Bergman e da August, noi più modestamente ma meno banali riteniamo che nei pregi e nei difetti c’è una personalità autonoma e sicuramente lontana almeno dal maestro svedese. Non siamo né dalle parti di Sussurri e grida né tantomeno ne Il posto delle fragole.
Vedendo questo film convenzionale e prevedibile in tutti i suoi passaggi ma non privo di un rigore tipico dei Paesi nordici ci sorge un dubbio: se si può dare del banale a un film leggero, si può dire la stessa cosa di un film che ha drammaturgia e forza nell’esistere quotidiano?
Siamo nel giorno della festa di Santa Lucia, che precede di poco la ricorrenza del Natale, in Svezia i genitori attendono i figli che portano nella loro camera dei dolcetti e così fanno tutti colazione in allegria e spensieratezza. Così avviene in casa di Leena (Noomi Rapace, l’attrice delle trilogia Millennium) e di suo marito (Ola Rapace, suo marito anche nella vita). Mentre le due bimbette giocano nel lettone di famiglia con i genitori giunge una telefonata a cui Leena risponde: sua madre è ricoverata in ospedale e sta per morire, vorrebbe rivederla. La serenità della donna è sconvolta non tanto per la notizia, ma perché ha rimosso completamente sua madre e tutti i drammi familiari della sua infanzia. Anche adesso vorrebbe dimenticare tutto con una nuotata in piscina liberatrice e purificatrice, ma il marito (ma come sono coglioni tutti gli uomini di questo film, sia quelli buoni che quelli mediocri che quelli cattivi) la obbliga ad affrontare un viaggio di seicento chilometri in auto per rivedere la madre di cui lui non sa assolutamente nulla come di tutto il passato della donna. Salgono in auto tutti assieme e partono, così facendo il film inizia a svilupparsi su due livelli: quello attuale, ai tempi d’oggi, e quello dell’infanzia sofferta fino all’estremo di Leena (un dubbio: ma se la donna ha circa trent’anni, il passato dovrebbe essere degli Anni Novanta più o meno e invece il passato sembra ambientato negli Anni Sessanta). Con troppi dettagli del passato il film prende un ritmo lento e veniamo a conoscenza di passaggi inessenziali e forse inutili. Per Leena naturalmente è l’inizio di un viaggio nella memoria, e nei luoghi, molto doloroso che la porta in poco meno di due giorni a confrontarsi col suo passato e con sua madre, l’unica della famiglia ancora in vita, dopo la morte del padre per alcolismo e del fratellino adorato; e la sofferenza è così intensa da divenire sgradevole con le figlie e anche con il marito, troppo buono, troppo presente, forse invadente nella sua generosità: sono passate poche ore, lei è silenziosa e angosciata, lui che le sta sempre accanto le dice “Mi manchi da morire”. Ma al capezzale della madre, Leena non sembra riconciliarsi col passato anzi (non sembra però che la regista se ne accorga dell’incongruenza stilistica), porta sua madre malata terminale di enfisema polmonare sul balcone in pieno inverno in vestaglia e le fa fumare una sigaretta e poi accusandola della morte del fratello la lascia sul balcone da sola. Il dramma esistenziale di Leena sembra concludersi poco dopo, quando dall’ospedale giunge la notizia che la madre è morta. Allora la donna ritorna in clinica, guarda la madre, le accarezza il viso e le dice “Mamma”, sulla falsa riga del finale del bel romanzo di Marie Cardinal Le parole per dirlo.
Una regia sicura ma prevedibile e statica, come lo è il montaggio e la scelta delle musiche. Il cast invece è complessivamente ben scelto e diretto, da segnalare soprattutto Outi Kirsti Johanna Mäenpää (famosa attrice finlandese vista nei film del maestro Aki Kaurismaki) che interpreta la madre, Ville Virtanen (figlio del regista Jukka e protagonista del bel film Sauna) che interpreta il padre e Tehilla Blad, nel ruolo di Leena da ragazzina.