Abbiamo letto Norwegian Wood ( Tokio blues ) scritto da Murakami Haruki.
Murakami è uno degli scrittori giapponesi più conosciuti nel suo Paese e non solo. Dopo aver lavorato in una stazione televisiva, in un negozio di dischi, gestito con la moglie un jazz bar, nel 1979 pubblica il suo primo romanzo Ascolta la canzone nel vento ( Kaze no uta o kik e), per il quale vince il premio Gunzo come miglior debutto letterario. L’anno seguente pubblica Il flipper del 1973 ( 1973-nen no pinbōru ) e nel 1982 Sotto il segno della pecora. Negli ultimi anni riceve il Frank O’Connor International Short Story Award per la raccolta di racconti brevi Blind Willow, Sleeping Woman e vince il World Fantasy Award con il romanzo Kafka sulla spiaggia. Haruki Murakami è il traduttore in giapponese delle opere di Raymond Carver, che considera un suo punto di riferimento. Scriverà « Fino a quando non ho incontrato Carver, non c’era mai stata una persona che, come scrittore, potessi considerare il mio mentore. E’ stato senza dubbio l’insegnante più prezioso che abbia mai avuto e anche il mio migliore amico letterario “.
Fa parte di quella generazione ( con Murakamy Ryu ma anche con Banana Yoshimoto ) che ha rotto con la generazione precedente dei grandi Kawabata, Tanizaki, Oshima, portando la classica ventata di novità e modernità: Con storie ardite, forti, ribaltando il concetto di forte sensualità in sesso a volte brutale, a volte anonimo e casuale. Haruky con Ryu hanno fatto terra bruciata della classicità nipponica. Coniugando e mischiando cultura alta con cultura bassa pop: da Nietzsche ai Beatles ( Norwegian Wood è un brano del quartetto di Liverpoo ), da Dostoevskij ai Beach Boys, da Gustave Faubert a Sam Peckinpah. I protagonisti ascoltano Miles Davis, bevono Bloody Mary, si accoppiano per passare la nottata e vivono destini tragici perché in fondo non conoscono il senso della libertà e nemmeno più le antiche tradizioni di un Popolo tradizionale.
Norwegian Wood è stato pubblicato in Giappone nel 1987, come ci dice nella postfazione l’autore ha iniziato a scrivere il romanzo il 21 dicembre 1986 in una villa di Mykonos in Grecia, per poi coninuarlo brevemente in Sicilia e finirlo il 27 marzo 1987 in un appartamento di Montemario al nord di Roma. In Italia è stato pubblicato nel 1993 da Feltrinelli con il titolo di Tokyo Blues, nel 2006 Einaudi ha curato una nuova edizione, con un’introduzione di Giorgio Amitrano, con il titolo originale. Murakami definisce Noruwei no mori un romanzo d’amore molto personale e lo dedica ai suoi amici «che sono morti e a quelli che restano. E’ stato tradotto in 33 lingue, da allora rappresenta il simbolo intramontabile del disagio e della malinconia dei giovani della fine degli anni Sessanta. E’ stato realizzato un film presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, la pellicola ha diviso la platea, c’è chi si è innamorato della bellezza triste dei suoi personaggi e chi è uscito dalla sala convinto che quel romanzo così amato sullo schermo era meglio non trasporlo.
La storia inizia con il protagonista-autore Watanabe Tōru, ormai adulto; è su un aereo che sta atterrando ad Amburgo, ascolta la canzone Norwegian Wood dei Beatles ed ha una improvvisa crisi di panico, collegata al suo passato e a tutto quello che ha perso irrimediabilmente e che non potrà più recuperare o aggiustare. Inizia così un lungo flashback, in cui il protagonista – dopo un po’ di fatica – ricorda con precisione un fatto avvenuto diciassette anni prima e che ha segnato la sua giovinezza: l’incontro al liceo con Kizuki, suo unico amico, e la di lui fidanzata, Naoko. Diventeranno inseparabili fino a quando Kizuki morirà suicida. Il ricordo di Naoko – che lui ha amato intensamente – gli dà la spinta per ricordare gli anni dell’università. L’amore impossibile per la stessa Naoko, ossessionata dal suicidio della sorella maggiore per cui si farà ricoverare volontariamente in un istituto psichiatrico, la sua vita solitaria e un po’ da emerginato e l’amicizia per Midori compagna di corso all’università con un padre che sta morendo e una vita provata da lutti familiari. Di cornice la vita in collegio, la contestazione studentesca, l’amicizia con Nagasawa, un ragazzo ricco, arrogante e spregiudicato e della di lui fidanzata che dopo che sarà lasciata si suiciderà anche lei..
Il racconto è il percorso di dolore e crescita personale di Watanabe, una specie di educazione sentimentale, sulla falsa riga del Giovane Holden, che lo porterà alla consapevolezza che la morte non è l’antitesi della vita ma una sua parte intrinseca. Ma è anche un ritratto della gioventù giapponese che non sa comprendere la bellezza della vita e si sente annichilita a causa di “ una maledizione “ cultural-esistenziale del Giappone. Scritto con stile minimalistico ma non privo di intensità e di spessore emotivo, il romanzo si fa leggere con facilità e curiosità e lo stile che emerge di “ realismo straniante “ affascina con calma e delicatezza. Come ha scritto Luca Toni “ … è una scrittura dell’assenza almeno quanto lo è della presenza. Ciò che non viene detto è altrettanto importante di quanto viene raccontato. Sembra quasi ci sia del pudore nel rivelare troppo dei personaggi. E’ uno stile che ricorda. non a caso, la tecnica pittorica giapponese dove vuoti e pieni collaborano nel definire le figure, dove il nulla non è del tutto negativo ma è la forza da cui tutto scaturisce “.