Abbiamo visto “ Séraphine “ regia di Martin Provost.
Ci siamo spesso domandati perché quando un regista deve affrontare la biografia di un personaggio del passato ha la necessità di dare un ritmo lento, prolisso e riflessivo. In questo caso c’è un’ottima fotografia, belle location, bei costumi e begli scorci, la splendida campagna francese in chiave impressionista; ma non si può vedere una donna che fa lavori umili per venti minuti, sfacchinando da un luogo all’altro senza che succeda effettivamente nulla. Dopo venti minuti sappiamo che Seraphine, donna solitaria, semplicissima, ostica, senza affetti, umile, trattata da serva e senza prospettive, disegna; ci vogliono altri dieci minuti per capire che disegna quadretti fuori dal comune. Una pittrice naif che si può definire anche “ Primitiva e moderna “ come preferiva definirla il celebre critico d’arte tedesco Wilhelm Uhde che la scoprirà casualmente e la donerà all’umanità. Séraphine de Senlins nata ad Arsy nel 1864 in una famiglia di pastori, disegnava con casualità e senza ambizioni, ma il suo talento fu scoperto casualmente nel 1913/14 dal collezionista d’arte Uhde ( scoprirà tra gli altri Picasso ) che rimase stupefatto da un quadretto che ritraeva delle mele, fatto dalla sua donna delle pulizie. Con l’aiuto di Uhde, Louis si impose come artista naïve del suo tempo. Il film si divide in tre parti: prima della Prima guerra mondiale; dopo, nel 1927, quando Seraphine prende coscienza del proprio talento ma giunge la crisi della borsa di Wall street per cui non riuscirà a fare mostre o a vendere quadri, e poi nel 1934 quando finisce in manicomio. Il film racconta la scoperta della sua vocazione artistica, il suo perseverare a disegnare fino all’ossessione, i primi guadagni fino all’aggravarsi delle sue condizioni mentali. Poco dopo la sua morte, Séraphine verrà riconosciuta come la più importante esponente della pittura naif.
Séraphine Louis è interpretata da una bravissima Yolande Moreau ( L’abbiamo notata nei film “ Il cacciatore di teste “ di Costa Gavras e nella commedia nera “ Louise Michel “ di Gustave de Kervern e Benoît Delépine, tra gli altri film ) e da Wilhelm Uhde interpretato da un convincente Ulrich Tukur ( visto nel “ Nastro bianco “ di Haneke, “ Verso l’Eden “ di Costa Gavras e “ la vita degli altri “ del premio Oscar Florian Henckel von Donnersmarck. ). La regia è di Martin Provost. ( attore, sceneggiatore e regista francese di film modesti come “ Tortilla e Cinema “ e “Le ventre de Juliette “ ) convenzionale, prevedibile, quasi banale; salvato dalla bravura degli attori e dalla messa in scena ( costumi, fotografia, luoghi ). A dirla tutta, il film è contradditorio: raccontare una geniale ‘primitiva’ ricorrendo a uno stile calligrafico, affettato, mellifluo, finalizzato ad un realismo accademico non prodigo di astrazioni è una contraddizione in termini; la raffinatezza della messa in scena finisce con l’avvicinarsi più ai gusti del conformismo borghese tanto odiato da quell’epoca che riteneva il linguaggio semplice e istintivo della forma popolare come una priorità estetica. Il clown spettatore