Abbiamo visto “ The Master “ regia di Paul Thomas Anderson.
Thomas Anderson è uno dei registi di maggiore talento in circolazione, capace a soli ventisette anni di realizzare un film come “ Boogie Nights – L’altra Hollywood “ ( 1997 ), e l’anno successivo il sontuoso “ Magnolia “. Dopo ha realizzato solo due altri film, il minimalista “ Ubriaco d’amore “ ( 2002 ) e l’epico e spettacolare “ Il Petroliere “. E’ un grande regista che realizza film corali, dove le storie di parecchi personaggi si intrecciano tra di loro, con inquadrature grandiose per impianto e ambizione, e l’intenzione drammaturgica è quella di raccontare o riscrivere la storia degli Stai Uniti; usa pochissimi tagli e ama molti i piani sequenza.
Fa parte di quella generazione di quarantenni, grandi registi ‘ Indipendenti ‘ e autorali, come Spike Jonze ( “ Essere John Malkovich “ ), Sam Mendes ( “ American Beauty “ : ma lui è in grande deblache ), Sofia Coppola ( “ Lost in Traslation “ ), l’omonimo Wensley Anderson ( “ I Tenenbaum “ ), Steven Soderbergh ( “ Traffic “ ). E come il collega e amico Quentin Tarantino non ha imparato a fare cinema nelle unioversità di Cinema ma guardando migliaia di film in video, cosa che gli ha permesso di acquisire una conoscenza enciclopedica della tecnica.
Adesso esce nelle sale italiane “ The Master “, un film molto interessante per la sua forza visiva e per l’interpretazione stratosferica di Joaquin Phoenix ( ricordiamo che suo fratello è il compianto River, morto tragicamente nel 1993 all’età di 23 anni ) ma anche del resto del cast perfetto e in ottima simbiosi. Ma allo stesso tempo – purtroppo – ci sembra venir meno la parte narrativa che in alcuni passaggi rischia di essere inutile e superflua a causa del rincorrere da parte del regista dei passaggi psicologici dei due protagonisti: l’americano fragile e individualista e il ‘ profeta ‘ simpatico, furbastro e duro nelle difficoltà; le due facce di un’America poco rassicurante. La critica internazionale si è divisa in due gruppi, come avviene con i film di forte personalità, assertivi e senza mediazioni. Da una parte qualche critico americano ha scritto che è ‘ un film così innamorato di sé stesso che il pubblico è chiuso fuori ‘, e dall’altra qualcun altro recensisce scrivendo ‘ è brillante e terribile. Può far parlare di sé per i secoli o essere dimenticato in pochi anni. Può essere un capolavoro ma può essere vuoto di contenuti. ‘. Diciamo che l’accuratezza della ricostruzione, l’idea visiva e il cast sono talmente fuori dal comune che una storia così sviluppata paga il prezzo del confronto. E poi ci sembra un po’ il destino di quei registi pronti al capolavoro e invece cadono, tuttavia in piedi. Come è capitato a Carax per “ Gli amanti del Ponte Nuovo “ o ad Amelio con “ America “.
Il film inizia quasi come termina e quindi potrebbe essere anche ‘ solo ‘ un sogno di un soldato squilibrato a causa della guerra. Freddie Quell, è un soldato con il sistema nervoso sconvolto e forse anche un sociopatico ( to quell, in inglese vuol dire: frenare, reprimere ), alla fine della Seconda Guerra Mondiale è in un’isola del Pacifico; finalmente giunge l’annuncio della resa dei giapponesi e rientra in Patria. Ha un comportamento a dir poco ‘ strano ‘ e non servono nemmeno le cure farmacologiche e psicologiche che gli offre l’esercito, e dopo un po’ inizia a vivere per conto suo. Trova anche un lavoro come fotografo in un grande magazzino ed ha una ragazza che sembra accettare i suoi comportamenti non proprio equilibrati. Ma per una sua intemperanza perde tutto e vagabonda ubriacandosi e cercando lite. Una sera casualmente sale su una nave in cui c’è una festa, forse per cercare alcolici; si addormenta e il giorno dopo conosce il ‘ Commodoro ‘ della nave ormai al largo, è Lancaste Dodd ( un perfetto e grandissimo Philip Seymour Hoffman ), l’uomo, accompagnato dalla moglie dai figli, i generi da alcuni adepti è un guru che ha inventato un metodo di introspezione fatto di ipnosi, condizionamento e abilità nel dare risposte utili al momento della domanda. Dodd istintivamente si rende conto che Freddie Quell può essere manipolato e condizionato e lo accoglie nella sua accolita per analizzarlo e sperimentare la mente disturbata del giovane. Lo accoglie presentandosi come « Io sono uno scrittore, un medico, un fisico nucleare e un filosofo teoretico, ma soprattutto un uomo, proprio come te ». Inizia così un viaggio per l’America che dura anni e che si basa tra i due su equilibri fragili e a volte conflittuali e a volte inesistenti. Fino a che Freddie non va per la sua strada senza redenzione e senza alcuna speranza.
Come si sa l’ispiratore della storia sarebbe Ron Hubbard, il fondatore di Scientology che con il culto-religione-movimento fondato alla metà del secolo scorso ha fatto tanta strada e tanti proseliti anche importanti. Ma anche se ci sono molti collegamenti reali ( il gusto di vivere su una nave… il condizionamento che l’anziano Ron subisce dalla giovane moglie… la capacità di affascinare e condizionare signore e uomini pieni di soldi ) l’autore del film non è interessato a fare una critica approfondita sulla setta, tantomeno sul bisogno dell’americano medio di una figura mistica che gli dia speranze, e neanche approfondisce il rapporto padre-figlio che si potrebbe sviluppare e non è nemmeno un ritratto di due devianze opposte figlie dell’America postguerra. E allora cosa è ? E’ un film – come abbiamo già scritto – molto bello visivamente ma la cui narrativa si è avvinghiata su se stessa e il regista ha perso per i particolari l’insieme della storia.