Speciale Berlino 2013

Di tutto un po’: il concorso berlinese non si fa mancare niente e accoglie celebrati autori e opere prime, mescolando generi e provenienze. Vistosa però l’assenza dei “detentori del titolo”: nonostante infatti la vittoria dei Taviani l’anno scorso con Cesare deve morire, quest’anno nessun titolo italiano è nella selezione principale.
Il Concorso della 63a edizione del Festival di Berlino si apre all’insegna della commistione dei generi, del cinema d’autore e delle sorprese da opera prima. Sorprende sin da subito che, dopo la vittoria dell’Orso d’oro l’anno scorso dei fratelli Taviani con Cesare deve morire, non vi sia nessuna opera italiana a tentare di “difendere il titolo”. Con 19 lungometraggi effettivamente in Concorso e 5 Fuori Concorso (un’anomalia tutta berlinese quella di presentare nella sezione principale dei titoli extra gara), la Berlinale offre una panoramica a 360 gradi della produzione cinematografica mondiale, spaziando dalle produzioni made in Hollywood a quelle dell’Estremo Oriente e offrendo voce alla libertà di pensiero ed espressione che certi regimi hanno provato a mettere a tacere.
In Concorso, fa bene vedere su tutti il nome di Jafar Panahi, il regista iraniano a cui è stato vietato di scrivere e realizzare film per vent’anni, oltre che di lasciare l’Iran e di rilasciare interviste. Il suo Closed Curtain, realizzato all’interno di un’abitazione e con l’aiuto dell’amico Kambuzia Partovi, ha il merito di farci credere che nessuna imposizione potrà mai fermare quella voglia di creare, dire o fare, che solo l’arte sa trasmettere. Perché, checché ne dicano gli amanti degli effetti speciali o delle distruzioni di massa in 3D, il cinema è prima di ogni cosa un mezzo per veicolare un messaggio e mettere in scena – figurativamente o realisticamente – un’idea.
Come Panahi a muoversi tra realtà, politica e fiction, è il regista bosniaco Denis Tanovic che per il suo An Episode in the Life of an Iron Picker è partito da un fatto di cronaca realmente accaduto, mettendolo in scena con i veri protagonisti della vicenda. Come una sorta di documentario romanzato, il suo film affonda le radici sulle divisioni sociali che ancora oggi, dopo una dolorosa e lunga guerra civile, affliggono l’ex Jugoslavia e riguardano in particolare il popolo rom.
Stupisce poi che molti dei lungometraggi abbiano come centrali figure femminili forti, impavide e coraggiose. Bruno Dumont in Camille Claudel 1915 fa rivivere due mesi della vita in manicomio della scultrice francese Camille Claudel: chiusa nel silenzio e in perenne attesa di una visita del fratello scrittore, la Camille interpretata da Juliette Binoche è circondata da un gruppo di pazienti (e infermieri) di un vero ospedale psichiatrico. A muoversi in contesti del passato e in universi in cui a dettar legge sono gli uomini sono invece le protagoniste del tedesco Gold di Thomas Arslan — con Nina Hoss impegnata in un western on the road – e del francese La religieuse di Guillaume Nicloux, tratto dall’omonimo romanzo di Diderot (depurato dalla sua vena anticlericale) e con una Isabelle Huppert cattiva come non mai.
Sempre dalla Francia arriva anche Elle s’en va, scritto da Emmanuelle Bercot per Catherine Deneuve e incentrato su una donna, ormai matura, che un giorno sale in auto e molla tutto e tutti per ritrovare se stessa. Donna matura ma alla ricerca di amore e attenzione in incontri per soli adulti è, invece, la protagonista di Gloria, opera del regista cileno Sebastián Lelio prodotta da Pablo Larrain. Giovani donne contemporanee sono le protagoniste di Layla Fourie, co-produzione tra Germania e Sudafrica diretta da Pia Marmais e incentrata su una madre single — esperta di macchina della verità — coinvolta in un incidente che la porta ad essere il sospetto numero uno, e Nobody’s Daughter Haewon del sudcoreano Hong Sang-soo, un film con al centro una studentessa che vive in sospeso tra realtà e sogno.
Alle dinamiche della società di oggi guardano anche Paradise: Hope, Child’s Pose e Side Effects con altri tre personaggi femminili alquanto controversi. Con Paradise: Hope presentato a Berlino, il regista austriaco Ulrich Seidl conclude la sua trilogia sul “paradiso” e segna un curioso record: mai nessuno prima di lui aveva presentato nel corso di un anno tre film diversi in tre dei festival internazionali più importanti (i due “episodi” precedenti sono stati presentati a Cannes 2012 e Venezia 2012). Protagonista è questa volta una giovane adolescente in sovrappeso alle prese con un rigoroso centro dietetico e con l’amore per un medico molto più grande di lei.
Il rumeno Calin Peter Netzer in Child’s Pose affonda il coltello sui rapporti deviati che si possono instaurare tra una madre despota, disposta a tutto per proteggere il suo amato “bimbo”, e un figlio che non riesce ad affrancarsi e a rendersi indipendente, gettando uno sguardo su una società in cui libertà e giustizia sono assoggettate al dio denaro. Il thriller statunitense Side Effects di Steven Soderbergh scruta le estreme conseguenze che possono derivare dall’uso di farmaci – in particolare, psicofarmaci – in via di sperimentazione con al centro della storia, girata in maniera ipnotica e con il punto di vista della mente annebbiata della protagonista, una giovane donna accusata di avere assassinato il marito.
Amori difficili e tormentati sono il fulcro attorno al quale ruotano lo statunitense The Necessary Death of Charlie Countryman, il canadese Vic + Flo Saw a Bear e il polacco In the Name of. L’adrenalinico The Necessary Death of Charlie Countryman di Fredrik Bond porta il giovane protagonista a scontrarsi con la mafia dell’Est per amore di una femme fatale mentre Vic + Flo Saw a Bear di Denis Côté esplora l’amore saffico tra due ex detenute alle prese con la ritrovata libertà e In the Name of di Malgoska Szumowska promette di creare scandalo e polemiche con l’odissea di un prete polacco omosessuale.Prettamente collegato agli effetti della globalizzazione e della caduta del comunismo nella Russia post-sovietica è il russo A Long and Happy Life di Boris Khlebnikov mentre la lotta al fracking e la riscoperta dei valori provinciali fanno da sfondo a Promised Land dell’americano Gus van Sant. Tra thriller e horror è sospeso Harmony Lessons, opera prima del regista kazako Emir Baigazin e già considerato un cult á la Takashi Miike. Ultimo titolo in competizione è infine Prince Avalanche del ritrovato David Gordon Green che, dopo parentesi non certo memorabili (vi dice qualcosa Lo spaventapassere?), ritorna nel circuito del cinema d’autore con il remake a stelle e strisce di Either Way, pellicola islandese che ha vinto il Festival di Torino nel 2011.
Molto differenti tra di loro i cinque film fuori concorso. Il più atteso è sicuramente The Grandmaster, titolo che ripercorre le gesta di Ip Man e a cui il regista Wong Kar Wai ha dedicato diversi anni di maniacale realizzazione. Gli fanno compagnia il film di animazione I Croods di Kirk De Micco e Chris Sanders, Treno di notte per Lisbona di Bille August (tratto dall’omonimo romanzo di Pascal Mercier), Before Midnight di Richard Linklater (terzo e ultimo capitolo della trilogia della “giornata” cominciata con Prima dell’alba) e Dark Blood di George Sluizer, film lasciato incompiuto nel 1993 dalla morte dell’attore protagonista River Phoenix e terminato nel 2012 dopo una raccolta fondi via web.
SPECIAL
Il direttore della Berlinale Dieter Kosslick mette da sempre le sue scelte personali in testa alla sezione Special. Il risultato è una sorta di “oasi a parte” con molti omaggi e alcuni (pochi, pochissimi) titoli da passerella.
Da sempre la sezione Berlinale Special è considerata un’oasi a parte del Festival di Berlino. Nata per rendere omaggio a registi e artisti che hanno una particolare relazione con la rassegna, Berlinale Special offre al pubblico opere scelte personalmente dal direttore della Berlinale Dieter Kosslick e presentate come veri eventi speciali. Tra lungometraggi di finzione e documentari i titoli di quest’anno ammontano a 11 ed è motivo di orgoglio per il cinema italiano essere presente con La migliore offerta, l’ultimo film di Giuseppe Tornatore uscito in sala lo scorso 1 gennaio e dimostratosi capace di raccogliere consensi di critica e pubblico dopo i risultati non certo esaltanti del precedente Baaria. Interpretato da un cast internazionale che conta sui nomi di Geoffrey Rush, Jim Sturgess, Donald Sutherland e Sylvia Hoeks, La migliore offerta non avrebbe di certo sfigurato anche in Concorso, ma tant’è. Al nome di Tornatore si affiancano anche quelli importanti di Tom Hooper, Michael Winterbottom, Ken Loach, Yoji Yamada e Jane Campion con le loro ultime fatiche. Ancora una volta in odore di Oscar dopo le statuette sollevate con Il discorso del re, Tom Hooper presenta il musical Les Misérables, appena sbarcato nelle nostre sale e forte di uno dei cast migliori dell’annata cinematografica. L’inglese Michael Winterbottom, che nella carriera ha alternato film memorabili come 24 Hour Party People ad altri dimenticabili come A Mighty Heart, porta The Look of Love, biopic dedicato al re del porno britannico Paul Raymond e pieno di riferimento ai mitici anni Settanta.
Alla storia inglese del secondo dopoguerra e alle politiche del governo laburista è invece dedicato The Spirit of ’45, il documentario che il pasionario Ken Loach – reduce dal clamoroso rifiuto del premio conferitogli dal Festival di Torino — ha realizzato con materiali d’archivio. Il giapponese Yoji Yamada riflette sulle dinamiche familiari e post-tsunami in Tokyo Family, dove due anziani genitori sono alle prese con i figli impegnati nelle loro attività quotidiane, mentre la regista australiana Jane Campion codirige insieme all’esordiente Garth Davis la serie televisiva Top of the Lake, sei episodi dallo sfondo thriller già acquistati da mezzo mondo (Italia compresa).
Seppur bistrattato dalla distribuzione italiana, all’estero il documentario è in grande forma e Berlinale Special offre, oltre a quello di Loach, altri cinque titoli di grande interesse: Fatal Assistance, realizzato da Raoul Peck in due anni di lavoro, segue le vicende legate alla fine che hanno fatto gli aiuti umanitari giunti ad Haiti dopo il violento terremoto del 12 gennaio 2010; alle Paraolimpiadi di Londra del 2012 sono dedicati Gold – You Can Do More than You Think di Michael Hammon e My Way to Olympia di Niko von Glasgow, regista diversamente abile; Rosakinder è invece uno spassoso omaggio ai settant’anni del coraggioso regista Rosa von Praunheim realizzato da cinque suoi “allievi”, tra cui spicca il nome di Tom Tykwer (co-regista dei fratelli Wachowski in Cloud Atlas); Redemption Impossible di Christian Rost e Claus Strigel, infine, racconta della drammatica via Crucis vissuta da un gruppo di scimpanzé della Sierra Leone usati come cavia dalle industrie farmaceutiche.

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