‘’C’è la crisi della pubblicità!! C’è la crisi della pubblicità!!” Questa sintesi semplificata di un fenomeno molto complesso si è ormai ridotta a lamentoso mantra da diversi anni e risuona tra azionisti, editori, managers, giornalisti e impiegati di ogni società in cui si trae (traeva) profitto dalla comunicazione… fino a comparire minacciosa negli OdG dei CdA che minacciano lo Stato di Crisi e dei Comitati di Redazione che si svegliano di soprassalto dal sonno della ragione.
Nel frattempo gloriose testate giornalistiche vengono svendute, tv e radio broadcasters tagliano drasticamente i costi di produzione… e si attende. Cosa si attende? Il miracolo? Certo no! Gli ultimi lampi delle economie, nelle democrazie occidentali, hanno lasciato il posto ai devastanti tornados della finanza globale e al bizzarro altalenare degli spread.
Il segno “più” negli Annual Reports dei media-groups è un ricordo di altre stagioni e, oltre ai media, anche altri comparti industriali tremano. Le industrie licenziano e tremano. Prepensionano baldanzosamente, esodano, tremano… e in ogni caso studiano strategie per ottimizzare gli investimenti pubblicitari che ritengono indispensabili a mantenere e difendere le proprie quote di mercato.
Ma quali sono gli scopi e le funzioni della pubblicità? La vecchia Signora, “anima del commercio”, quindi “spirito guida dei traders”, tra le sue priorità ha certamente quella di organizzare i consumi attraverso la creazione di stili di vita che siano ossequiosi e favorevoli al modello di sviluppo liberista sancito a Bretton Woods e rielaborato negli ultimi G 20.
Tra le sue funzioni inoltre, quella strategica è esercitare il controllo, travestito da sostegno, nei confronti dei media di massa. “Perchè scrivere o far vedere qualcosa che sia sgradito ai nostri inserzionisti?” Gli Editori e i Direttori dei media ben conoscono il valore di questa domanda e di solito rispondono che i Contenuti e la Pubblicità sono questioni separate, sapendo però che non è proprio così. Non è mai stato così e non sarà mai così.
Bene. Chi decide se, quando e quanto finanziare con la risorsa pubblicità un Medium di massa e quindi la Cultura di Massa? E quindi lo Stile di Vita di Massa? La risposta, su scala globale, è stranamente semplice. Dal 1938 esiste una Associazione, con sede al numero 275 di Madison Avenue a New York; si chiama International Advertising Association.
E’ il cartello (4000 società in 76 nazioni) all’interno del quale si rinvengono le sigle più prestigiose di Agenzie Globali di Pubblicità, Produttori Multinazionali di Merci, Media, Società di Ricerche e Elaborazione dati, quali (tra i molti): BBDO Worldwide, Dentsu, Dow Jones, Hakuhodo, JSC, Leo Burnett, McCann Worldgroup, Nielsen Business Media, Young&Rubicam, Procter&Gamble, Shell, Unilever, etc… ovvero il Gotha, l’Olimpo dei Mercanti Globali che ispirano e sostengono la World Trade Organisation, la FAO e l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Senza di loro, senza il loro contributo, gruppi quali la News Corp. di Rupert Murdoch, la Hearst, Hachette e giù pe’ li rami fino a casa nostra: Mediaset, la RAI, la RCS, il Gruppo Espresso-Repubblica e altri non avrebbero mai raggiunto il loro status attuale e i loro fatturati sarebbero stati molto, molto inferiori.
Ufficialmente, come si legge nel sito della IAA: “l’associazione difende la libertà di commercio contro ogni restrizione, usa la propria rete globale per trasferire conoscenze su questioni industriali, fornisce e sviluppa education e talenti d’affari”.
In altre parole la IAA, negli ultimi 75 anni ha svolto nel Global Trading il ruolo di Intelligence e cinghia di trasmissione al servizio dei Mercanti planetari, finanziando quei media di massa altamente strategici affinche’, nei diversi territori di loro interesse, la maggior parte degli lettori-spettatori-net users-elettori alimentassero una sola fede quasi sempre inespressa: Consumo ergo sum.
Tutto ciò, dal secondo dopoguerra alla recente crisi finanziaria, si è svolto con una certa discrezione ed è stato ammantato da studi, ricerche, analisi, in gran parte finanziate dalla IAA, nelle quali si dimostrava l’elevato carattere progressivo della loro azione, in quanto questa consentiva lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e quindi favoriva il dibattito e la formazione delle coscienze nelle democrazie mature e immature. (E vai ! Altro che i Fondi Pubblici per la Cultura.)
In realtà le camionate di miliardi erogate all’industria della comunicazione dalla IAA, in cambio di spazi pubblicitari, erano fornito soprattutto ai Re Media più disinvolti e “all’obbedienza”, i quali chiudevano un occhio, e anche tutti e due, in momenti in cui bisognava organizzare, oltre ai consumi, il consenso nazionale e internazionale su questioni molto importanti quali il Debito Pubblico, la Guerra, l’Ecologia, i Diritti degli Oppressi e così via, spesso sostituendo la Cronaca alla Storia e i Reality Shows alla Realtà.
Oggi però le cose sono cambiate. In peggio. Lo spiega da tempo a chiare lettere un signore che svolge spesso il ruolo di portavoce degli associati alla IAA. Il signore si chiama Martin Sorrell, è stato allevato nella Londra degli anni 80 nella bottega di Global Marketing dei fratelli Saatchi ed è attualmente il Chief Executive della WPP, un gruppo che fattura circa 70 miliardi di dollari l’anno, per il quale lavorano 110.000 persone in 106 nazioni: gente molto vispa che promuove i Global Advertisers presenti nella classifica “Fortune 500” e nell’indice “Nasdaq 100”.
Martin dunque è uno che sa. Conosce i leaders del mondo e i dati, anche quelli più riservati. E spiega nei convegni: “Le agenzie di pubblicità investono ogni anno, per conto dei propri clienti, circa un trilione di dollari. Lo fanno volentieri … è il nostro mestiere. Ma qualcosa negli ultimi anni è cambiato …”
“Dalle nostre ricerche – continua Sorrell- che ci costano 800 milioni di dollari all’anno e quindi sono molto credibili, risulta infatti che il mondo non e’ più lo stesso … A questo punto , di solito Sorrell fa un lungo preambolo, spiega i motivi per cui si e’ giunti a tale conclusione, fornisce giustificazioni geopolitiche, economiche e finanziarie e infine, implacabile, rilascia una definizione filosofico-antropologica : “il mondo ormai si divide in “consumatori cinici e consumatori ottimisti “. Che vuol dire?
Ed arriva la spiegazione. Esistono le Nazioni Sviluppate, quelle che genericamente si definiscono Western Countries, in questi territori nel corso degli ultimi decenni i consumatori hanno avuto più o meno accesso ad ogni forma di consumo e ne hanno goduto. Oggi però gli abitanti di queste nazioni manifestano perplessità nei confronti delle nuove offerte, si chiedono se inquinano o meno, se sono veramente utili o se ne possano fare a meno.
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Addirittura si permettono di mettere in discussione se sia veramente utile all’economia consumare così tanto visto che la massa di rifiuti, derivante dal consumo forsennato e superfluo, genera guai per la raccolta e il trattamento dei rifiuti stessi. Orbene questo atteggiamento, secondo Martin Sorrell e la IAA è inequivocabilmente “cinico”. Mr. Sorrell non accenna minimamente alla crisi. Per lui la soluzione ovviamente sarebbe quella di un immediato rilancio dei consumi. Se qualcuno non lo capisce tanto peggio per lui.
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C’e’ da chiarire ulteriormente che, se per gli italiani e i greci, cinico è anche il saggio che vive in modo autosufficiente e autarchico, nei vocabolari inglesi “cinico” è definito invece come ringhioso, stizzoso e addirittura misantropo. In ogni caso il chiarimento definitivo Sorrell lo fornisce “per contrasto” quando spiega che: “nel resto del mondo e in particolare nel BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), ma anche in Africa e Medio Oriente, i consumatori sono invece ottimisti”.
Cioè non vedono l’ora di andare a comperare qualsiasi nuova merce venga loro proposta dalla pubblicita’ e anzi sono talmente entusiasti all’idea di circondarsi di beni e di godere di nuovi servizi che sono pronti ad indebitarsi più che possono.
Detto così il verdetto può anche far sorridere, può sembrare un’analisi un po’ banale, ingenua. Persino ovvia. In quei Paesi non hanno avuto che autoritarismo, lacrime, sudore e sangue e ora spendono qualsiasi cifra in gadgets e comfort, anche se superfluo. Dietro questa sentenza però si celano alcuni effetti che rischiano di diventare tragicamente irreversibili per l’Occidente.
Se, come dice Sorrell, quei 1000 miliardi di dollari che venivano divisi nel recente passato – 60% a favore degli Western Countries e 40% nel resto del mondo – vengono già da un paio d’anni divisi in modo contrario, in Occidente sono venuti a mancare, circa 200-300 miliardi di dollari di sostegno ai media. Cioe’ una quantità di denaro tale da far sparire in un sol colpo 10 tv network come Mediaset o 50 grandi quotidiani come il Corriere della Sera e comunque tale da cancellare 5-6 milioni di stipendi di addetti all’industria dei media in Occidente.
E’ così ? Sorrell conferma sornione e commenta con un sorriso da Gioconda: “io sarei molto preoccupato se fossi un azionista di un “local medium”. Intende con tale definizione un giornale o una rete tv che agisce su un solo territorio e si esprime in una sola lingua.
E tutto questo perchè? Perchè il centro studi della IAA ha scoperto che Noi siamo consumatori cinici .
Questo è il piatto forte del banchetto funebre, ma oltre a queste affermazioni Sorrell di solito precisa inoltre, quasi scusandosi, che c’erano altre ragioni, anche queste sostenute da ricerche, che suonano come campane a morto nella Storia di tv e giornali occidentali.
Nel mondo, ricorda ancora Sorrell, ci sono 1,5 miliardi di tv set (televisori da salotto), 1,2 miliardi di PC screen (schermi di computers) e – udite, udite! – 4 miliardi di schermi di telefoni cellulari.
Ora, considerando che ai clienti inserzionisti non interessa un fico secco di come il proprio messaggio pubblicitario raggiunga il consumatore potenziale, è ovvio che la maggior concentrazione di sforzi promozionali, nei prossimi anni, la IAA la dedicherà alla comunicazione realizzata attraverso i telefoni cellulari.
Tanto più che – sempre secondo le ricerche della IAA – il parco di cellulari è già maggioritario nei paesi del BRIC ed è lì e in Africa e Medio Oriente che se ne venderanno sempre di più, perche’ agli abitanti di quelle nazioni, molti dei quali non hanno neanche fatto la loro prima telefonata e non hanno mai visto la tv, i telefoni cellulari verranno regalati in misura pari a centinaia di milioni.
Lo scenario appare apocalittico e le considerazioni da fare sarebbero veramente tante. La prima è che nessuno e’ piu’ cinico della IAA. Su un’altra però bisogna meditare a lungo: avere abusato a tal punto della cosiddetta risorsa pubblicità, il cavallo di Troia dal quale è fuoriuscito gran parte del peggio contemporaneo, equivale oggi a dover fare i conti con un pesante ricatto che sta avendo ricadute su molti segmenti strategici delle nostre “democrazie”. A meno che non si ridiventi tutti ottimisti. Potrebbe essere la soluzione.
Concludiamo con qualche nota “di colore”.
1) Qualche giorno fa Martin Sorrell è stato vittima della propria visione iperliberista del mondo e, a causa di complicate alchimie, grazie alle quali aveva legato i propri compensi alle sorti della sua Company, si è visto ridurre il salario: da 33 milioni di sterline e 19 milioni all’anno. Un bel tonfo ! Chissà come l’ha presa sua moglie . E’ il caso di menzionarla, perchè la Signora Sorrell è Cristiana Falcone, una delle donne italiane più potenti del mondo in quanto ricopre il ruolo di Direttore del World Economic Forum.
2) La delocalizzazione degli investimenti pubblicitari sta spostando anche l’asse del Potere all’interno dell’International Advertising Association. Dal 1 gennaio 2013 il nuovo Chairman e Presidente Mondiale è diventato Mr. Faris Abouhamad, cittadino degli Emirati Arabi Uniti, un uomo che si è “fatto le ossa” – guarda caso- in medio Oriente e Africa ed è proprietario di una grande Agenzia di Pubblicità di Dubai.