Abbiamo visto “ No – i giorni dell’arcobaleno “ diretto da Pablo Larrain.
Il regista Larrain è tra i giovani registi più interessanti in circolazione e non solo in America latina. E’ un uomo con dei conflitti personali che riesce a indirizzare in film strazianti, duri e potenti. Litiga con i giornalisti quando lo intervistano, usa modi duri, antipatici, e dicono di lui “ che non si sa come prenderlo “. Una delle sue ossessioni che si riverberano nei film è il colpo di stato del boia Pinochet. Probabilmente deve avere un bel conflitto con suo padre ex Presidente del Senato e senatore del partito più a destra del Cile, la Unión Demócrata Independiente (Udi), ricettacolo dei sentimenti politici più reazionari, fascisti e più legati alla Chiesa cattolica versione più clericale, integralista e severa. La madre invece Magdalena Matte è la ministra dell’Abitazione nell’attuale governo di destra. Pablo Larrain invece è uno che dice che Pinochet è stato un assassino e un ladro, e ha ambientato i suoi due precedenti film ai tempi della dittatura perché è in quell’epoca, sostiene, che affondano le radici di un certo modo d’essere cileni, radici che si dovrebbero elaborare per poi liberarsene. Ma allo stesso tempo, suoi spettatori alle prime, sono proprio quei rappresentanti di quel partito paterno che tanto detesta. Bel groviglio personale. Nel 1997 dirige il suo secondo film, e il primo che è giunto in Europa, “ Tony Manero “ presentato alla Quinzaine des Realisateurs e alla ventiseiesima edizione del Torino Film Festival. Sempre a Torino l’attore protagonista Alfredo Castro ha ricevuto il premio quale miglior attore. Il film è stato candidato all’Oscar quale miglior film straniero. La storia potente, straziante e cupissima narra di un povero cristo, Raùl Peralta che in pieno regime di Pinochet, passa il tempo a imitare passi e le movenze del Toni Manero de “ La Febbre del sabato sera “ in uno spettacolo di danza che tiene in un night-club di periferia. Lo stato di alienazione nel quale si trova lo porta, pur di poter vivere come il suo mito, a compiere crimini sempre più efferati che passano inosservati ( Il tema del sosia non è nuovo nel cinema cileno, a metà degli anni Settanta, il regista Carlos Flores Delpino, ha realizzato “ El Charles Bronson chileno o Identicamente igual ” un film sul sosia cileno dell’attore americano che è diventato un’opera cult ). Nel 2010 dirige “ Post Mortem “ che è stato presentato in gara all’ultimo festival di Venezia. Anche questo film racconta personaggi tristi, sordidi, brutti, le ambientazioni sono cupe, e la storia è destinata a finir male. Mario ( Alfredo Castro – il più noto attore cileno di cinema e teatro e attore feticcio di Larrain ) lavora all’obitorio durante i massacri di Pinochet.
Adesso, cambiando registro stilistico a 360 gradi, ma raccontando ancora del Cile ai tempi di Pinochet, sembra voler crescere – attraverso la campagna allegra del referendum contro Pinochet del 1988 – e modificare anche il suo modo di vedere e raccontare le cose. C’è un’iniezione di ‘ leggerezza ‘ e di speranza che coinvolge lo spettatore in prima persona senza tuttavia immettere la retorica dei buoni contro i cattivi e con la consapevolezza che alla fine la quotidianità è più forte di qualsiasi momento ‘ rivoluzionario ‘.
Larrain ci dà una lezione di regia e mostra in questo film – come nei due precedenti – di come si possa realizzare un piccolo gioiellino con linearità e abilità. Perfetta è la ricostruzione come i dialoghi secchi, efficaci e senza alcuna retorica o ‘ bisticcio ‘. Ottima la scelta di una fotografia un po’ sgranata e simile ai vhs dell’epoca; come ottimo è il montaggio e l’inserimento di molto materiale dell’epoca che si cesella alla perfezione. Ed anche il cast è costruito con attenzione e credibilità, mai glamour, mai che reciti. Se dovessimo trovare una pecca, è la descrizione troppo sottotraccia del rapoporto del protagonista con sua ( ex ) moglie.
Larrain a soli 36 anni probabilmente conclude la splendida trilogia della dittatura che ci racconta del Cile degli Anni Settanta e Ottanta, e, con quest’ultimo film, raggiunge una completezza del suo discorso filmico, mostrandoci anche come la complessità di uno spaccato storico contemporaneo possa essere realizzato con ‘ semplicità ‘ e immediatezza. Come la vita privata del protagonista possa avere un equilibrio su quello che sta succedendo intorno senza che ‘ la Storia ‘ prenda veramente il sopravvento lasciandola ai margini.
Nel 1973 il generale Augusto Pinochet fece un colpo di stato in cui morì il Presidente Salvador Allende, alcune migliaia di cileni, provocando l’esilio di duecentomila persone e instaurando una delle peggiori dittature del sudamerica. L’opinione pubblica mondiale riuscì, solo dopo 15 anni di regime, a costringere i militari ad indire un referendum in cui si doveva scegliere tra il ritorno alla democrazia o ad altri 8 anni di dittatura militare. Incredibilmente tutti all’inizio pensavano che Pinochet avrebbe vinto questo referendum.
René Saavedra( un Gael Garcia Bernal dalla recitazione estraniata e un po’ sottotraccia ) è un giovane pubblicitario di successo, vive da solo in una casa borghese con il figlio di pochi anni ed è separato dalla moglie la quale finisce spesso in carcere perchè si oppone al regime di Pinochet. Lui invece pur non accettando la dittatura è un integrato, quasi un cinico e non crede alla lotta, tanto che lavora con chi è a favore del regime. Ma un amico di suo padre, e dirigente politico di sinistra, gli chiede di aiutarli per la campagna televisiva del referendum: devono realizzare per tre settimane 15 minuti al giorno di pubblicità politica proponendo agli indecisi l’alternativa democratica al Generale. Saavedra rifiuta all’inizio ma lentamente si fa coinvolgere nonostante i dirigenti e i militanti – che hanno sofferto troppo per capire i cambiamenti – non accettino una ‘ pubblicità ‘ allegra e spensierata nei confronti di un Pinochet che li ha fatti arrestare, torturare e uccidere. Ma con calma e caparbietà Saavedra sviluppa la sua intuizione: bisogna vendere il prodotto “ futuro “ e non ricordare il passato anche doloroso, raccontare ai cileni con allegria che la democrazia è meglio della dittatura… E come ci racconta la storia il 5 di Ottobre del 1988 – nonostante brogli e minacce – il fronte del No vince il referendum.
Bello e cinico il finale, non termina con la felicità per il ritorno alla democrazia ma con Saavedra che riprende il lavoro di sempre ed è ancora una volta pronto a vendere un prodotto ai suoi clienti: quasta volta la pubblicità di una telenovelas assai improbabile.