Ultimamente online è in corso un grande gioco che consiste nell’annunciare per primi la scomparsa di una qualche celebrità e ingegnarsi in battute più o meno scadenti sul suo conto. Ma non mi metterò a pontificare su questa forma moderna di humor nero. In fondo è una reazione piuttosto naturale, in un mondo in cui le notizie girano in fretta e ci sono carriere che si basano esclusivamente su cose del genere. Insomma, sono abbastanza sicuro di averlo fatto anch’io. Ieri notte però, nelle ultime ore di una giornata appiccicosa, ho ricevuto la notizia della morte di un personaggio su cui nessuno voleva scherzare—una morte sentita più come qualcosa di interno alla nostra famiglia collettiva che una notizia su cui fare sfoggio di sarcasmo.
I Soprano mi hanno accompagnato in un periodo della mia vita che consisteva principalmente nel non andare in università e ingozzarmi di panini a notte fonda. Pian piano, la serie è diventata la mia vita. Ha cambiato il mio modo di parlare, la mia dieta, il mio modo di affrontare la routine. Se facevo qualcosa di brutto, mi sorprendevo a chiedermi se Tony o Paulie si sarebbero incazzati. Quando uno dei protagonisti moriva, il cattivo umore mi restava incollato addosso per giorni.
Va anche detto che Gandolfini era l’icona del formato cofanetto. L’arrivo dei cofanetti—e il loro fiorire negli ultimi dieci anni—ha dato agli spettatori la possibilità di trattare le serie tv come libri, libere di scorrere alla propria velocità, e di essere osservate con la propria profondità. Gandolfini non era solo l’icona del formato cofanetto, ma la prima del genere a morire e, secondo me, anche il personaggio più figo uscito da quel gruppetto di serie che ha cambiato il modo in cui è percepita la tv—The Wire, Mad Men, Breaking Bad, ecc. Non esagero se dico che Gandolfini ha cambiato il modo di recitare in America, perché era il Re della serie HBO, il leader sul cui modello sono stati costruiti Don Draper, Walter White e Jimmy McNulty.
Prima di lui la recitazione delle serie tv sembrava incentrata sull’offerta di un prodotto passabile e coerente, ammiccando quanto bastava per tenere alto l’audience nel corso di alcuni mesi. Il meglio della recitazione era riservato ai film, ma anche se un attore era abbastanza talentuoso da incarnare veramente il proprio personaggio, i film rimanevano comunque troppo corti perché il pubblico riuscisse ad accorgersene veramente. L’abilità di Gandolfini come attore risiede nell’aver combinato i due aspetti in un effetto glorioso, portando il genio del grande schermo a un livello più profondo e famigliare, possibile solo con il lavoro in tv.
Potrei andare avanti per ore a parlare dei miei momenti preferiti dai Soprano o di quanto fosse brillante James Gandolfini. Se non avete visto la serie, dovreste. Per me è il resoconto definitivo della vita nel ventunesimo secolo. L’analisi più fine della sua decadenza e durezza, le sue commedie tragiche e le sue comiche tragedie. È una serie su denaro, sesso, potere e famiglia e se la gioca con qualsiasi elaborato culturale. Al centro c’è James Gandolfini, un ex barista del New Jersey che è riuscito a fermare i troll della morte grazie al semplice fatto di essere una vera leggenda della recitazione americana—e forse perché credevamo che potesse ancora apparire dal nulla e farci questo, se ci avesse beccato a ridere di lui.