“Per la storia dei cognomi ebraici di formazione italiana” è il titolo del saggio dello storico Michele Luzzati, già professore dell’Università di Pisa, pubblicato all’interno del volume “L’Italia dei cognomi” (Pisa University Press, dicembre 2012)a cura di Andrea Addobbati, Roberto Bizzocchi e Gregorio Salinero. Il libro, il più recente e completo contributo alla storia dei cognomi in Italia, è frutto di un progetto di ricerca dell’Università di Pisa a cui hanno partecipato anche l’Université de Paris I, l’Universidad de Extremadura e l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi. Nella storia dei cognomi – si potrebbe dire per sintetizzare il volume – c’è la storia degli italiani, la storia di come hanno definito loro stessi nei confronti degli altri, della propria comunità e delle diverse autorità. La storia dunque, anche delle minoranze che compongono il nostro Paese, fra cui, appunto, quella ebraica. Pur nella difficoltà di trattare il tema dei cognomi ebraici, il saggio di Michele Luzzati fa il punto sugli studi in materia e sui miti da sfatare intorno alla questione.
Professor Luzzati, come ricorda anche lei nel suo saggio, lo “spettro” delle liste dei cognomi ebraici è tuttora presente anche sul web. Si può dire che tutta la storia cominci a Firenze nel 1925 quando l’ebreo Samuele Schaerf pubblica per la casa editrice Israel “I cognomi degli ebrei in Italia”?
Liste nominative di ebrei italiani si conoscono fin dal Medioevo e i nomi ed i cognomi degli ebrei sono accuratamente distinti da quelli dei non ebrei in decine di censimenti realizzati, specie nell’Ottocento, dai diversi Stati nei quali era divisa l’Italia. Dopo l’Unità il dato “sensibile” dell’appartenenza religiosa non venne, giustamente, più censito e venne meno qualsiasi strumento utile per risalire, partendo da un dato anagrafico, alla religione professata dai portatori di un determinato cognome. L’iniziativa di Samuele Schaerf e della casa editrice Israel di pubblicare, nel 1925, una lista dei cognomi ebraici italiani fu improvvida. Autore ed editore erano forse convinti, erroneamente, che l’antisemitismo in Italia fosse un fenomeno irrilevante e che, visto il contributo dato dagli ebrei al Risorgimento e alla prima guerra mondiale, fosse opportuno rendere onore, attraverso la divulgazione dei cognomi, alla componente della popolazione italiana che aderiva alla religione ebraica. Si trattò di un vero e proprio boomerang, perché nel giro di pochissimi anni (quando era in gestazione il razzismo fascista) il significato originario di quell’elenco di cognomi venne completamente rovesciato e assunse il valore di una vera e propria lista di proscrizione. E di particolare gravità fu il fatto che il riferimento alla religione venne trasformato nel riferimento ad una presunta “razza”. In ogni caso l’elenco ricostruito dallo Schaerf, privo di qualsiasi fondamento scientifico e di qualsiasi forma di “ufficialità”, comprendeva centinaia di nomi che non avevano nulla a che vedere con la storia degli ebrei d’Italia. Per certi aspetti, una vera e propria “bufala”, che si è perpetuata fino ad oggi attraverso le diverse riedizioni in chiave antisemitica.
Quali sono i miti da sfatare riguardo all’idea che i cognomi ebraici siano “parlanti” cioè che dal cognome si possa in effetti risalire all’ebraicità degli individui?
C’è da premettere che è dubbio che anche nel passato alcuni cognomi fossero da soli effettivamente “parlanti”. Erano o divenivano tali, nella coscienza collettiva, perché si connettevano a determinati luoghi di residenza (per gli ebrei si pensi ai ghetti), stili di vita, attività professionali, abbigliamento, etc. In generale nella società odierna sono ormai pochissimi i cognomi effettivamente “parlanti”, cioè in grado di “raccontare”, di primo acchito, non solo frammenti della storia più o meno remota della famiglia a cui un individuo appartiene, ma anche qualche connotato del suo presente. E questo è sicuramente vero anche per coloro che professano la religione ebraica: almeno in Italia, essi sono talmente disseminati nel territorio e talmente diversificati nei vari settori lavorativi da rendere improponibile l’equazione sistematica cognome = professione religiosa. Vi è poi la questione di un altro esito delle trasformazioni, più o meno recenti, avvenute nelle nostre società. Si sono fatti frequenti gli allontanamenti da qualsiasi religione, i matrimoni misti e le conversioni: viviamo di conseguenza fianco a fianco con agnostici magari portatori di cognomi che si richiamano a qualche santo, con musulmani che portano cognomi della tradizione cristiano-italiana e con cristiani che portano cognomi tipicamente arabi o turchi. Analogamente incontriamo oggi ebrei con cognomi appartenenti alla tradizione cristiana e cattolici e cristiani con cognomi appartenenti alla tradizione ebraica. Infine esiste un rilevante “pacchetto” di cognomi che appartengono tanto alla tradizione ebraica quanto a quella cristiano-italiana.
Può fare degli esempi al riguardo?
Relativamente ai cognomi in uso tanto fra gli ebrei quanto fra i cristiani, basterà far riferimento a “Rossi”. Si tratta di un tipico cognome ebraico. E’ ovvio che non possiamo da qui inferire che le molte centinaia di migliaia di italiani che portano il cognome Rossi siano tutti ebrei o di origine ebraica. Il discorso è analogo per i cognomi di formazione toponimica. Un “Pontremoli” o un “Toscano” o un “Calabresi” potrà in qualche caso essere ebreo o di origine ebraica, ma nella maggioranza dei casi si tratta di persone che non hanno mai avuto alcun contatto con il mondo ebraico. Quanto alle conversioni e ai matrimoni misti perfino i più ebraici dei cognomi, come Levi o Coen, possono essere portati da persone che non seguono nessuna religione o da cattolici convinti. Ovvero posso incontrare uno Sbrana – tanto per citare un cognome di impronta fortemente pisana – che è ebreo perché tale è sua madre.
Ci sono comunque dei punti fermi per quanto riguarda lo studio dei cognomi ebraici in Italia? In che epoca si “fissano”? E che tipo di origine hanno?
Una volta che ci si sia liberati dalla “zavorra” delle elucubrazioni, spesso di stampo razzistico, sulla valenza odierna di un cognome portato per qualche secolo dagli ebrei d’Italia, si è finalmente liberi per indagarne, con gli strumenti della critica storica e caso per caso, le modalità di formazione. Si può così verificare che all’interno del mondo ebraico già vigeva, almeno per alcuni gruppi famigliari, l’uso di cognomi distintivi espressi in lingua ebraica. Quando, negli ultimi secoli del Medioevo, comincia a diffondersi, almeno in alcune aree, l’uso del cognome, si assiste in ambito ebraico ad una pluralità di esiti che attendono ancora di essere meglio approfonditi. In linea di massima, il sistema cognominale di espressione ebraica si generalizza e si estende ad una buona parte dei membri delle comunità. Sempre in linea di massima, il sistema cognominale di espressione italiana, che è quello che qui interessa, si sviluppa a partire da forme patronimiche che, data la ristrettezza del bacino onomastico tradizionale, si combinano presto con forme per lo più toponimiche. Data la forte mobilità della popolazione ebraica italiana, le forme toponimiche tendono a decadere rapidamente, l’una dopo l’altra, a seconda degli spostamenti delle famiglie. Per citare un caso, un Abramo di Isacco nato nella seconda metà del Trecento poteva avere un gran numero di contemporanei omonimi. Di qui la necessità di aggiungere al suo nome quello del luogo di nascita, Forlì. Trasferitosi in Toscana e insediatosi a Piombino il nostro Abramo poteva sostituire Forlì con Piombino. Passato a Lucca vi generava un figlio che assumeva il nuovo “cognome” “da Lucca”. Ed era solo un successivo stanziamento a Camaiore a generare il cognome Camaioli o Camaiori, che finì per stabilizzarsi, a partire dal primo Cinquecento, per discendenti insediati in Emilia, Lombardia e Piemonte. La diffusione dei cognomi di formazione toponimica (ed anche macrotoponimica, nei casi di provenienza da grandi regioni o nazioni, o microtoponimica, nei casi di insediamento in grandi città) è naturalmente accompagnata da quella dei cognomi, più o meno coevi (tardo Medioevo e prima età moderna), di formazione patronimica e da quella dei cognomi collegati all’aspetto fisico o all’attività professionale.
Senza cadere nel mito dei cognomi “parlanti”, nel suo studio ha individuato qualche specificità dei cognomi ebraici in Italia?
Fatto salvo il segmento dei cognomi strettamente ebraici (Levi, Coen, etc.), la mia impressione è che la formazione dei cognomi ebraici espressi in lingua italiana abbia a che fare più con il trend generale della formazione dei cognomi italiani che con una specificità ebraica. Si potrà poi ipotizzare che il numero dei cognomi di formazione toponimica sia percentualmente più alto nel gruppo ebraico che in quello cristiano, che il numero dei cognomi di formazione patronimica sia, sempre percentualmente, equivalente nei due gruppi, che il numero dei cognomi derivanti da un’attività professionale sia, percentualmente, più basso nel gruppo ebraico che in quello cristiano, etc. Ma, nella sostanza, ebrei e cristiani d’Italia hanno seguito un percorso analogo nella costruzione dei loro sistemi cognominali di espressione italiana.