Il Festival d’Automne, evento pluridisciplinare disseminato in vari teatri e luoghi culturali che ogni anno apre la stagione parigina con una fitta serie di appuntamenti, rende quest’anno un omaggio particolare a Bob Wilson: tre spettacoli, una mostra e una serie di incontri, proiezioni e performance andranno a comporre un ritratto a tutto tondo di questo proteiforme artista, che da oltre quarant’anni ha con la capitale francese un legame particolare. Proprio a Parigi infatti, nell’ormai lontano 1971, Wilson ottenne la consacrazione internazionale con lo spettacolo Deafman Glance. Da allora il regista americano è stato ospite di quasi tutte le edizioni del Festival d’Automne, che è stato anche partner produttivo di molti dei suoi lavori. Quanto al pubblico parigino, ça va sans dire, lo adora e fa fare regolarmente tutto esaurito ai suoi spettacoli.
ph. Antoine Mongodin
Non fa eccezione la sua ultima creazione, The Old Woman, in scena fino al 23 novembre al Théâtre de la Ville (e visto, da noi, a Spoleto), mentre dal 12 al 20 dicembre si attende Peter Pan, nuova collaborazione tra il regista texano e il Berliner Ensemble (dopo L’opera da tre soldi e Lulu), a cui si aggiungono per la parte musicale le sorelle Bianca e Sierra Casady, alias CocoRosie. A gennaio il Théâtre du Châtelet ospiterà poi la storica opera Einstein on the Beach, su musiche di Philip Glass (vale forse la pena ricordare che questo nuovo allestimento è passato fugacemente anche per l’Italia, e precisamente per Reggio Emilia, un paio di anni fa).
Living Rooms
Da pochi giorni ha invece inaugurato Living Rooms, mostra-installazione in tre parti, con cui il nome di Wilson si aggiunge ai tanti artisti e intellettuali (tra gli altri, Umberto Eco, Toni Morrison, Pierre Boulez e Jean-Marie Le Clézio) invitati in questi ultimi anni ad allestire un proprio «museo personale» negli spazi del Louvre.
Bob Wilson ha accolto l’invito trasformando la Salle de la Chapelle in un luogo a metà strada tra una stanza da letto e una wunderkammer. Al centro della sala troneggia un grande letto candido, accanto a cui giacciono un paio di stivali texani argentati, come appena sfilati dai piedi del loro proprietario. Le pareti sono invece completamente ricoperte di oggetti provenienti dalla eterogenea collezione personale di Wilson, iniziata all’età di 12 anni: tra le altre cose, un paio di scarpe appartenute a Marlene Dietrich, un guanto di bambino trovato sulla settima Avenue a New York, il primo quadro acquistato da Wilson per 75 centesimi, e poi fotografie, disegni, ceramiche, maschere africane, oggetti etnici di varia provenienza, opere d’arte e pezzi di design modernista… Scampoli di tutto ciò che ha nutrito l’ispirazione dell’artista in oltre quarant’anni di attività, oggi custoditi al Watermill Center, il centro di sperimentazione e ricerca fondato da Wilson negli anni Novanta a Long Island e frequentato da giovani artisti di ogni parte del mondo.
ph. Antoine Mongodin
In un’altra sala, sulla scorta dei suoi celebri «video portraits», Wilson si diverte a ricreare su schermi al plasma alcuni celebri quadri, alcuni dei quali conservati proprio al Louvre. Musa e complice dell’operazione, un’inedita Lady Gaga si cala nei panni dell’eterea Mademoiselle Rivière di Ingrès, e presta il suo volto alla testa del San Giovanni Battista decollato di Solario, ma anche, qualche sala più in là, al Marat assassinato di David.
ph. Lucie Jansch
Intorno a questa particolarissima mostra, visitabile fino al 17 febbraio, il Louvre ospita poi una serie di performance, proiezioni e conferenze (programma completo qui), tra le quali la Conferenza sul nulla di John Cage, interpretata nei giorni scorsi dallo stesso Wilson.
The Old Woman
Parliamo ora di The Old Woman, basato sull’omonimo racconto dello scrittore russo Daniil Charms (o Kharms, o Harms, a seconda delle traslitterazioni; il suo vero nome era in realtà Daniil Ivanovitch Iouvatchov). Questo misconosciuto rappresentante della breve stagione dell’avanguardia russa nacque nel 1905 a San Pietroburgo e morì nel 1942 nell’ospedale psichiatrico dove, accusato di «atteggiamento disfattista», si era fatto internare per sfuggire al carcere.
Ad eccezione di alcune poesie e delle favole per bambini che costituivano la sua principale fonte di reddito, la sua opera, custodita per decenni dalla moglie, è rimasta praticamente inedita fino agli anni Ottanta. In italiano è pubblicata in parte da Adelphi (Casi, a cura di Rosanna Giaquinta), e in parte da Einaudi (Disastri, a cura di Paolo Nori, ultima edizione Marcos y Marcos). Si tratta essenzialmente di racconti brevi o brevissimi, fulminanti per il loro umorismo surreale venato di tragico, che anticipa il teatro dell’assurdo di Beckett e Ionesco.
ph. Lucie Jansch
Protagonisti di The Old Woman sono due interpreti d’eccezione, Willem Dafoe e Mikhail Baryshnikov, che incarnano vari personaggi (lo scrittore e la vecchia del titolo, lo scrittore e un suo amico, lo scrittore e una donna che fa la fila per il pane…), ma sono soprattutto proiezioni speculari di una stessa mente schizofrenica. Vestiti entambi di nero e pettinati in modo perfettamente simmetrico, truccati di bianco secondo la ben nota estetica wilsoniana tanto da essere irriconoscibili, i due attori, simili a figure disegnate uscite da una graphic novel o a marionette stralunate, finiscono infatti per confondersi l’un l’altro. Intorno a loro Wilson costruisce come di consueto un meccanismo scenico perfetto: i cambi di luce repentini, i colori netti e contrastanti che caratterizzano questa come tutte le sue regie sembrano imprigionare i corpi dei due interpreti all’interno di un ingranaggio che ne blocca i movimenti in pose bizzarre e innaturali. Quanto a precisione dei gesti e agilità, Dafoe non sfigura affatto di fronte all’ex ballerino Baryshnikov, nemmeno nei duetti di danza che strizzano l’occhio al cabaret. A sua volta l’ex étoile del Kirov e del New York City Ballet si rivela attore straordinario, in grado fra l’altro di passare con assoluta naturalezza dall’inglese al russo e viceversa.
ph. Lucie Jansch
«Erano molti anni che io e Misha (Baryshnikov, ndr) volevamo fare qualcosa insieme» ha dichiarato Bob Wilson. «Volevamo lavorare su un testo della letteratura russa, e quando Wolfgang Wiens ci ha fatto scoprire Charms abbiamo capito immediatamente che avevamo trovato quello che faceva per noi».
Non sorprende che Wilson si sia lasciato affascinare dalle sperimentazioni linguistiche dell’autore russo, che per certi aspetti ricordano i testi che il poeta autistico Christopher Knowles (anche lui presente con una performance al Louvre) scrisse negli Settanta per A Letter for Queen Victoria e Einstein on the Beach.
ph. Lucie Jansch
La trama di The Old Woman, unico racconto lungo di Charms, è un capolavoro dell’assurdo venato di umorismo nero. La pièce si apre con lo scrittore che chiede l’ora a una vecchia che porta sotto il braccio un grande orologio senza lancette. Nella scena successiva, la vecchia entra a casa dello scrittore e inizia a dargli ordini, finché improvvisamente e inopitamente muore (chissà se qualcuno ha mai scritto un saggio sulle vecchie donne nella letteratura russa, dalle babushke delle favole fino a quelle di Charms, senza dimenticare ovviamente l’usuraia di Delitto e castigo…). Dopo una serie di altri incontri e incubi notturni, lo scrittore mette il cadavere della vecchia in una valigia, che però sparisce nel corso di un viaggio in treno. Il tutto avviene sullo sfondo di una giornata «normale», in cui lo scrittore si innamora di una donna facendo la fila per il pane, e racconta le sue disavventure a un amico con cui mangia salsicce innaffiate di vodka.
In questa allucinata struttura narrativa la drammaturgia firmata da Darryl Pinckney incorpora senza soluzione di continuità altri brevi racconti di Charms, come quello delle vecchie curiose che cadono dalle finestre per guardare altre vecchie cadute prima di loro, o quello dell’uomo che poteva compiere miracoli ma che per tutta la vita non ne compie nemmeno uno, o ancora, quello dell’uomo senza volto e senza corpo, di cui non vale la pena di parlare visto che non si capisce bene chi sia e nemmeno se esista…
A questa atmosfera in bilico tra sogno (incubo) e realtà, la regia di Wilson riesce a conferire una dimensione figurativa che la rende ancora più inquietante: le luci, la musica, gli elementi scenici sovradimensionati e deformati incombono dall’inizio alla fine sui protagonisti. E tuttavia, proprio come gli scritti di Charms, The Old Woman riesce anche a sprigionare momenti di autentica e gustosa comicità, grazie soprattutto alla bravura dei due interpreti, che il «New York Times» non ha esitato a paragonare alle grandi coppie di comici del cinema americano.