Essendo un irregolare per definizione, Gianluca Morozzi non poteva che confezionare un’autobiografia imprevedibile: eccolo quindi che resta chiuso in un bar della Cirenaica; ecco che gli si materializza l’amletico fantasma di Andrea Pazienza: ed ecco che gli affida le proprie confessioni e impressioni di scrittore del suo tempo su quello che è accaduto e su quanto sta succedendo nei tempi a noi più vicini. Il baricentro è rappresentato da una città molto spesso descritta come irrimediabilmente perduta, Bologna; una posto che per anni è stato qualcosa di molto simile a una capitale, caotica e creativa (e il re indiscusso era proprio lui, Paz). E sarà capitato anche a voi di incrociare qualche amico che ha vissuto lì: gente che vi spiega, quando il discorso cade infine su quella ex-capitale, che è finito tutto, e qualcuno darà la colpa a Cofferati.
Ma Morozzi è Bologna, come Bologna è anche Paz; per Morozzi, Bologna è la propria formazione, è la squadra di calcio, è il passato e il futuro – il presente sfugge continuamente. E allora, dentro L’età dell’oro si fanno i conti con quello che è stato, disvelando mitologie e luoghi comuni: ma c’è spazio anche per le passioni personali (la musica e gli scacchi) e per il racconto sfacciato e parossistico delle difficoltà che incontra “chi vuole scrivere”. Tutte storie che “Moroz” racconta ovviamente senza indulgere nel pentolone dell’autocommiserazione, bensì virando su quell’umorismo scanzonato che i lettori dell’Era del porco e di Colui che gli dei vogliono distruggere conoscono assai bene.
L’età dell’oro è uscito in 333 copie, tutti esemplari unici e autografati come prevede la collana “L’Introvabile” di Italica edizioni, casa editrice ancora giovane, ricca di idee: una storia che è nata, sì, proprio a Bologna, che ha Enrico Brizzi “primo araldo e consigliere”, e che ha il seguente motto: “in formidabile equilibrio tra tradizione e spirito dei tempi”. Proprio il genere di spirito che riecheggia nel libro di Gianluca Morozzi.