Presentato alla 64esima Berlinale anche se fuori concorso, Nymphomaniac vol. 1 ha sollevato il morale di tutti, reduci da quattro giorni di un festival che, perlopiù, ha regalato poche sorprese.
L’ultimo lavoro di Lars Von Trier, che il pubblico danese aveva già visto la vigilia di Natale, è stato offerto al festival di Berlino in versione integrale. Ma le due ore e mezza non pesano, e anzi, si concludono con la voglia di vedere il seguito. E al più presto.
Voglia, in un film sulla ninfomania, potrebbe sembrare la parola chiave, ma ciò che più balza all’occhio è qui il tono umoristico, che bilancia e sostiene meravigliosamente il contorno cupo e drammatico della vicenda. È molto cupa, sì, ma “agganciante” la scena di apertura: Charlotte Gainsbourg distesa per terra, apparentemente priva di sensi e ferita, in un vicolo buio circondato da muri cechi dalle mattonelle scure, sotto una pioggia debole ma insistente, su cui il regista si sofferma per diversi minuti prima di mostrarci la protagonista. Poi lo stacco, violento quanto improvviso, con “Führe mich” (“guidami”) dei Rammstein che spezza la suspense e, paratesto “sconcio” ma appropriatissimo, conclude la cornice descrittiva e ci lancia nel vivo del racconto. Perché di racconto si tratta.
Joe (Gainsbourg) viene recuperata da un buon samaritano che vive lì vicino, Seligman (Skaskgrad), e invitata a casa sua dopo aver rifiutato cure più convenzionali come ambulanza e polizia. Sebbene la moralità di Joe sia severissima nei confronti della propria persona, “Sono una persona cattiva”, offre di raccontare “la storia”. Da lì Seligman incalza per conoscere i retroscena che hanno portato Joe a trovarsi in quella condizione e la trama si sviluppa secondo i più tradizionali schemi narrativi del “botta e risposta”, anche se chiaramente diluiti e ampliati in base agli episodi della vita della protagonista e alle reazioni di Seligman.
Ma se la struttura appare classicissima, con una divisione in capitoli anche piuttosto rigida, gli spunti di sviluppo sono i più vari e davvero emergono in modo quasi casuale. Da ispirazioni legate alla pesca o alla scienza delle foglie alla matematica e alla musica classica fino a evocazioni di proustiana memoria (ma distorte, ovviamente, e popolarizzate al fine della risata e dell’intreccio), il racconto si dispiega apparentemente confuso ma in realtà spontaneamente costruito e organizzato in modo piuttosto coeso. E divertente. È proprio l’umore l’aspetto migliore del film, certo effetto di un tema che bisogna per forza abbassare per stemperare l’imbarazzo e l’irrequietezza che suscita, ma anche grazie a una sceneggiatura e a un cast capace di capovolgere la tensione drammatica — che pure c’è, e in grande quantità — verso toni più distesi. Merito innanzitutto di Stacy Martin, che interpreta Joe da giovane e che appare totalmente disinibita, ma non nel senso “sporcaccione” del termine: annoiatissima il più delle volte, scocciata e impaziente come lo sono le adolescenti, a suo agio con membri di ogni tipo e dimensione e, soprattutto, con la propria nudità, esibita costantemente ma senza particolari luccichii.
La vita ninfomane di Joe comincia dal vero inizio: percepita quella certa inclinazione in età giovanissima (diciamo, 4 anni), la protagonista perseguita il sesso fin da quel momento. Ci vorranno i quindici anni per capire davvero come funziona e Shia LeBeouf (qui Jerôme) non aiuta, nonostante le mani bellissime e l’espressione stupida-stupida che manterrà per tutto il film (che, sospetto, sia la sua faccia normale nonché il motivo per cui è stato scelto per la parte, anche se credo lui lo ignori). Ma scoprire i dispiaceri del sesso non fermano Joe e la sua intrepida amica B, che innescano giochetti e gare per sfidarsi a chi se ne fa di più (premio: dei cioccolatini) e fondano pure un club con altre adepte. Dio massimo è la vulva, “mea maxima vulva” ritornello che cantano sulle note sataniche del tritono per combattere il nemico assoluto: l’amore. Questa posizione, rigidissima e applicata con vero zelo, rimarrà solida in Joe finché non troverà un lavoro, e insieme, ritroverà Jerôme.
Ma prima, mille altre vicissitudini fondamentali e non tutte legate al sesso (il rapporto con il padre, fondamentale) vengono rilanciate all’ascoltatore Seligman che, contrariamente alla narratrice, non si fa portavoce di una moralità integerrima e anzi, tutt’altro che severo, si premura il più delle volte di confortare la disperazione di Joe, negando con forza la sua “presunta” malignità e anzi trovando una spiegazione razionale per tutte le sue azioni. Come una sorta di analista privo della malizia e dei pregiudizi della psicologia, Seligman insiste per sapere di più e controbilancia la sua curiosità con un atteggiamento pacato eppure curioso, generatore il più delle volte di un’ironia spontanea e un po’ fuori luogo — ma proprio per questo divertentissima.
Memorabile l’episodio con Uma Thurman, moglie tradita e abbandonata da un uomo che ha perso la testa per Joe e che si presenterà a casa di lei pochi minuti dopo essere stata lasciata. Con tre figli piccoli, ex-marito e altro amante di Joe si trovano tutti insieme a casa della “colpevole”, in un confronto tragico quanto assurdo (e spassosissimo) che Thurman sostiene mirabilmente in lungo monologo di rabbia e disperazione crescente. Ma anche qui davvero ci chiediamo se l’orribile persona sia davvero Joe o forse non gli altri, allocchi istupiditi da un sesso confuso per amore, pronti a negare la propria persona per qualcosa che, in fondo, non esiste?
Anche se temo che la seconda parte di Nymphomaniac sarà ben più cupa (protagonista sarà la Joe adulta, Charlotte Gainsbourg), il film non sembra, per il momento, un’opera pessimista. Dopo due ore di primi piani esplicitissimi ma non disturbanti quanto ci si potrebbe aspettare — tra cui la ricetta del sesso perfetto per Joe: tre ingredienti, tre peni e tre uomini, tutti dalle dubbie capacità intellettuali ma dalle ben specifiche abilità erotiche — l’amore sembra arrivare anche per Joe. È un amore che si insinua in modo inaspettato e sconosciuto ma non per questo accolto con meno entusiasmo (e pena). Ricorda qualcosa ed è questo, forse, ciò che accorcia le distanze tra noi, “uomini normali”, e una ninfomane.