Stone non sceglie come interlocutore i popoli ma direttamente i capi. Sono quindi Chavez, Lula, Lady Kirchner a raccontare gli obiettivi che vengono perseguiti dai reciproci governi. Stone punta in particolare a far emergere il ruolo degli Stati Uniti nel corso degli otto anni dell’Amministrazione Bush. Riesce così a mostrare come proprio una politica di demonizzazione dei governi non allineati abbia portato a una ‘bolivarizzazione’ di gran parte del Continente (il riferimento è al ‘libertador’ Simon Bolivar). È oggi più che mai evidente un’unità di intenti pur nella diversità delle singole politiche tutte comunque mirate al riscatto della fascia più povera delle popolazioni.
Stone alterna ormai progettualmente lungometraggi di fiction a documentari legati sempre a tematiche geopolitiche. Si dimostra anche interessato, sul piano del linguaggio, a diversificare, ad ogni nuova inchiesta, le modalità di narrazione. Restano invece intatti due elementi che fanno parte costitutiva del suo modo di intervenire. Stone si conferma come un anarchico di destra, bisognoso di trovare figure ‘forti’ di riferimento (“anch’io sono stato soldato e la posso capire” dice a un certo punto a Chavez) che però, al contempo, gli consentano la prosecuzione di una rituale ‘uccisione del padre’: gli Stati Uniti. Per raggiungere questo risultato utilizza un metodo infallibile: mai fare domande che mettano in imbarazzo l’interlocutore. Stone ‘ama’ i suoi intervistati da cui cerca non problemi ma conferme al suo sentire. Finisce così con il realizzare documentari forti, appassionati e ricchi di informazioni ma in cui, in definitiva, non si disturba mai il manovratore. Il rischio dell’agiografia è sempre dietro l’angolo.