Abbiamo visto “ Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza “ diretto da Roy Andersson.
Titolo da cineclub e da festival ( ed infatti ha vinto Il Leone d’Oro al Festival di Venezia ), storia che si immagina serissima e forse un po’ noiosa ed invece oplà è tutto il contrario. Una storia dall’umorismo nero, dall’ironia nordica che ci fa anche sorridere per vizi e lazzi di noi poveri esseri umani un po’ banali, un po’ cinici e un po’ soli. Un ritratto atemporale, sarcastico e attento ai vizi quotidiani e dalle mille sfumature sull’insensatezza umana. I due traghettatori, in questo oceano di umanità desolata e solitaria, sono un po’ Stanlio e Ollio e un po’ Estragone e Wladimiro. Litigano continuamente tra loro ma non possono stare separati e aspettano di poter realizzare una vendita improbabile come i due personaggi beckettiani sperano che arrivi Godot. Si sentono qui e là gli echi di Beckett ma anche un certo surrealismo alla Bunuel. Qualcuno invece ha sottolineato che Il rapporto tra i due protagonisti, Sam e Jonathan, sia ispirato alla letteratura del Don Chisciotte della Mancia e a Uomini e Topi di John Steinbeck.
In questo viaggio all’interno dell’umanità bisogna lasciarsi andare e non farsi domande, perché è superfluo conoscere le risposte, perché in fondo da parte del regista non c’è interesse in quello che si narra – che esula da qualsiasi logica causa-effetto – ma si sofferma sulla narrazione in quanto tale. Un viaggio bizzarro, in un contesto quasi autistico, e da ultima frontiera; una specie di odissea senza Ulisse, perché non è più tempo di eroi e non c’è alcuna Itaca da raggiungere. Ed è questo – assieme ad un originale modo di raccontare – che mostra tutta la forza e la potenza del Cinema di Andersson. Non collocabile né tantomeno inquadrabile, quindi originalissimo: e in questi tempi di banale cinema con la c minuscola questo piccione che riflette è un colpo di vento fresco sul viso abbrutito e accaldato.
Il titolo del film è un riferimento al quadro Cacciatori nella neve di Bruguel il Vecchio, in cui è raffigurato un paesaggio rurale invernale, con alcuni uccelli appollaiati sui rami degli alberi. E’ il terzo film – il capitolo conclusivo – di una trilogia iniziata con Canzoni dal secondo piano ( 2000 – vincitore del premio della giuria alFestival di Cannes), che tratta della colpa collettiva e della vulnerabilità umana, e seguito da You, The Living, ( 2007 – candidato all’Oscarcome miglior film straniero ) che si avvicina al mondo dei sogni.Nella trilogia la narrazione e la poetica é comune e coerente, dalla trama che praticamente non esiste, all’impostazione teatrale con sfondo cinematografico, alla staticità surreale con una leggerezza cupa a tratti clownesca, ad uno schema fotografico monocromatico che oscilla tra il grigio e l’azzurro. Ed è evidente l’ispirazione pittorica che va da Van Gogh, per l’espressione astratta, a Otto Dix e Georg Scholz ( Andersson ha definito deprimente il fatto che i registi contemporanei non traggano più ispirazione dalla pittura ).
Dopo un’introduzione in cui una coppia osserva in una stanza di un museo degli uccelli impagliati tuttavia meno imbalsamati di loro due, c’è una introduzione con tre brevi conti-siparietti dell’incontro con la morte in cui si può morire per voler aprire una bottiglia di vino oppure non ci si decide a morire perché si teme che i figli vogliano potarci via la borsa con i gioielli oppure a chi andrà la birra appena pagata e non bevuta dal deceduto. Dopo questo teatro dell’assurdo, ecco comparire i possibili protagonisti Sam ( Nils Westblom ) e Jonathan ( Holger Andersson ), due venditori quasi porta a porta che propongono a potenziali negozianti e a clienti maschere, denti alla nosferatu e articoli per feste carnascialesche; attività sfortunata che però li porta a contatto con persone di ogni tipo e luoghi particolari. E’ evidente che così narrando Andersson ci può portare ai confini dell’umanità e ai difetti e alle assurdità del mondo. Il film è composto da 39 quadri, ognuno utile per mostrare una sfaccettatura esistenziale del mondo di oggi, ma ci sono anche due digressioni storiche ( forse una divagazione ulteriore da una trama che non c’è ) che raccontano episodi lontani, come la vita di re Carlo XII tra guerra e presunta omosessualità e, verso la fine, una scena sullo sterminio degli schiavi da parte dei colonialisti britannici.