Abbiamo visto “ Via dalla pazza folla “ regia di Thomas Vinterberg
Un film di Thomas Vinterberg. Con Carey Mulligan, Matthias Schoenaerts, Michael Sheen, Tom Sturridge, Juno Temple. Drammatico, durata 119 min. – USA, Gran Bretagna 2015.
Il bellissimo titolo Via dalla pazza folla è una citazione che Hardy prende da Elegia scritta in un cimitero campestre del poeta della scuola cimiteriale Thomas Gray. L’obiettivo del grandissimo scrittore inglese Thomas Hardy nel suo quarto romanzo, è quello di illustrare il contrasto tra la vita ideale desiderata da un uomo e quella reale e squallida che è destinato ad avere, un destino ostile, maligno, che finisce con l’annientamento della felicità e della speranza. Tematiche narrative centrali di questo autore, e non solo in questo romanzo, ma anche per romanzi speciali e unici come Giuda l’Oscuro e Tess D’Urbeville, che renderanno Hardy tra i più memorabili scrittori europei tra il Periodo Vittoriano e il modernismo degli inizi del Novecento. Questi temi assai pessimistici che derivano dal fatto che non creda che Dio sia un creatore buono e giusto e che la Natura è inesorabile e personaggio immanente dei destini dell’uomo che la subisce, l’avvicina al pessimismo di Schopenhauer e alla sua volontà di vivere. Tutti i suoi romanzi sono ambientati in un luogo immaginario, il Wessex, e tutti i protagonisti sono persone umili e semplici di campagna che subiscono sorti terrificanti ( pensiamo al Giuda l’Oscuro ).
Le tematiche di Hardy hanno affascinato il Cinema e molte delle sue opere sono state messe in scena anche più volte come Via dalla Pazza Folla, ( Nel 1915, Laurence Trimble ha diretto Far from the Madding Crowd, seconda versione cinematografica del romanzo e nel 1967 il grande John Schlesinger ne ha tratto una bella e intelligente versione con un cast di grandissimi attori, Julie Christie, Terence Stamp, Alan Bates e Peter Finch ). Adesso un regista partito assai bene nella sua formazione ( fondatore del gruppo Dogma, regista di un ottimo film come Festen ) ma poi assorbito da Hollywood in maniera nefasta e persosi in alcune pellicole senza importanza porta nel modo più banale e romantico questo romanzo rendendo la storia sciocca, del tutto inessenziale tradendo così completamente l’idea di Hardy. La protagonista Bathsheba ( una Carey Mulligan dalle due espressioni facciali ) appare più sciocca che indecisa, più volubile che non quasi una prefemminista, più alla inconsapevole ricerca di un uomo mascalzone che non di qualcuno che la ami davvero. Il giovane fittavolo Gabriel Oak ( La scelta dell’attore più glamour del momento è meno credibile possibile, Matthias Schoenaerts – protagonista di alcuni film poco riusciti da Chi è senza colpa a Suite Francese a Le regole del Caos ) fanno comprendere in quale confusione stilistica e drammaturgica si trovi Vinterberg che sembra pronto per una pubblicità della Barilla in costume. E questa melassa antihardyana coinvolge tutto il resto del cast che pur bravo affonda in un film sbagliato più nelle intenzioni che tecnicamente.
Alla fine dell’Ottocento, in un luogo sperduto dell’Wessex, in Inghilterra, vive Gabriel Oak, un fittavolo benestante possessore di un terreno e di circa duecento pecore. E’ un uomo gentile ( nella versione precedente il ruolo era di Alan Bates ), solido e concreto. Conosce una ragazza povera, Bathsebah Everdene che è venuta a trascorrere l’inverno dalla zia, si piacciono e lui quasi subito le chiede di sposarlo. Lei sarebbe anche tentata di accettare ( continuerà per quasi tutto il film ad essere tentata di sposare chi glielo chiede ), ma rifiuta probabilmente per non divenire proprietà di un uomo e perché vuole conservare un’indipendenza che per la società vittoriana era rara. Ma subito dopo avvengono due fatti che cambiano i destini dei due giovani: lei eredita da uno zio una fattoria grande e fiorente, lui perde tutto per una strana disgrazia della natura. Quindi lei diventa una fattora ricca, ma non si crogiola nella fortuna e lavora anche lei duramente assieme ai contadini, lui casualmente troverà lavoro proprio nella stessa grande fattoria come pastore. Gabriel seppur innamorato ha la forza di non cercarla più affettivamente ma la osserva di lontano e cerca di proteggerla da tutte le intemperie della vita, lei invece – seppur lo abbia desiderato per un periodo – resiste alla corte di un brav’uomo ricco e possessore della fattoria accanto. Nel frattempo lei resta affascinata da un soldato palesemente inaffidabile ( non si capisce davvero perché un uomo che è stato abbandonato involontariamente sull’altare e per questo sofferente sia così sciocco e vanesio ) e gli cede subito e lo sposa e da qui inizia la sua sofferenza…
Da un romanzo che ha dei presupposti quasi filosofici, in cui natura e destini sono intrecciati, da una storia che contiene tratti anche ironici sempre tenendo conto dell’epoca e l’autore, il regista danese sembra invece aver pensato di confezionare una grande storia d’amore a lieto fine, tra tramonti, albe e arcobaleni, interessandosi soprattutto alla pittoricità degli sfondi e alla accuratezza degli abiti e rinunciando a dirigere gli attori e a rinunciare a scegliere la profondità degli animi, l’ironia di fondo che il racconto contiene e la poetica hardyana.