Curato da Dario Borso, Al cuore delle cose. Scritti politici (1967-1989), è un insieme inedito di opere di Elvio Fachinelli per DeriveApprodi. Si tratta in gran parte di scritti apparsi su giornali e riviste, compresa L’erba voglio, tra il 1967 e gli ultimi tempi della sua breve vita.
Il testo è corredato da una biografia sintetica dell’autore, morto prematuramente nel 1989, e di una intervista autobiografica svolta l’anno antecedente la sua scomparsa. Nell’introduzione Borso afferma che questi scritti mostrano che il paziente più difficile di Fachinelli fu l’Italia. Emerge infatti un corpo a corpo dello psicoanalista di Luserna con il nostro paese, ma anche con i corpi del paese. I Pierini – che hanno il merito di avere ciò che per i Gianni è esclusione – e, appunto, i Gianni, i figli dell’Italia reale, povera e ancora in molta parte analfabeta o semianalfabeta. “Noi Pierini assumiamo come nostro diritto, merito e premio ciò che per loro si è dimostrato condanna, biasimo ed esclusione”. Così in un saggio, presente nel libro, del 1967.
Uno psicoanalista bizzarro – quando mai a quell’epoca la psicoanalisi europea si occupava dei poveri? – e coraggioso. In quegli anni, prima dell’autunno caldo del 1969, scriveva su due cose: il corpo e il sociale; del corpo sociale dell’opera di don Milani. Basti leggere queste righe, così incisive e radicali: L’escluso Gianni, che non può considerare non avvenuta la sua ferita, nutrirà un impacciato rispetto, o rancore d’amore, verso la cultura dell’altro. Potrà anche vagheggiare e plasmare una sua cultura, diversa. Ma mentre l’altro la chiamerà sottocultura, egli sarà costretto a ritrovarvi, invano rovesciato, il suo scacco reale (p.24).
Il che non significa che la vita dei Pierini sia più facile, tutt’altro. Si tratta di due culture che, proprio in quegli anni, vanno perdendo il loro differenziale superiore/inferiore. In Italia, la pedagogia di don Milani ribaltava i termini. Saranno i Gianni, almeno per un periodo, a riscattare il proprio scacco, non durerà molto: tempo dopo Pierini e Gianni condivideranno la stessa sorte. Allora però, con Fachinelli in psicoanalisi, don Milani in pedagogia, Gavino Ledda in letteratura, il corpo si faceva soggetto collettivo.
Il corpo dei bambini poveri – la necessità di lavorare, di apprendere velocemente le pratiche agricole, di allevamento, le conoscenze che la professoressa delle Lettere non conosce –- diventerà il corpo di quegli adulti che non possono permettersi di pagare l’analisi, con i quali l’analista non potrà mai più permettersi di definire un accordo iniziale, che non sarà discusso ulteriormente. Il denaro dello psicoanalista, Claustrofilia e le osservazioni intorno alla revisione dell’opinione di Freud rispetto all’idea dell’Imperatore d’Austria di fornire un servizio psicologico per i poveri, portano la questione povertà “al cuore delle cose”.
“Al cuore delle cose” c’è chi non ce la fa, un modo diverso di concepire la psicoterapia – Fachinelli non si è mai vergognato di usare questo termine meno “nobile” – dove si può parlare del lavoro, del salario, della rabbia per ingoiare le frustrazioni della fabbrica, della fatica e del sudore. Insomma, per parafrasare chi definì Spinoza “filosofo per non filosofi”, potremmo dire di Fachinelli: “psicoanalista per non psicoanalisti”.
Sui corpi infantili Fachinelli fu maestro dell’osceno, nel pieno rispetto della definizione freudiana del bambino come “essere perverso e polimorfo”, Fachinelli non vide mai un’infanzia innocente e incontaminata, che vive in un vuoto sociale. Nel testo Elvio cacato, del 1970 – per il Convegno Milanese sulle esperienze non autoritarie nelle scuole – che non avevo mai letto prima d’ora, Fachinelli sviluppa osservazioni etnografiche sul campo:
Appena arrivato, Nino corre a impadronirsi di un triciclo; suo fratello minore Giovanni insiste per averlo, piange, ma Nino fa il duro. Dopo un po’, non so come, c’è un triciclo anche per Giovanni, e i due fratelli vanno su e giù per il corridoio, facendo chiaramente società fra di loro ed escludendo tutti gli altri. Hanno portato da casa un manganello di gomma. A un certo punto Sandro dà fastidio a Nino, e questo gli allunga una notevole botta in testa. Risposta timida di Sandro, che poco dopo manganella Corrado – più piccolo (p.46).
Si tratta di mettere in questione alcune malintese pratiche “libertarie”, un po’ snob, che, di fronte alla perdita della figura adulta, si trasformano in piccole pratiche di oppressione. Perché? Perché il bambino “libero” non è quello che sogna la filosofia di Rousseau? Questi bambini vengono da famiglie oppresse, a loro volta, che riproducono le pratiche repressive e di esclusione cui sono sottoposte dal lavoro di fabbrica. Immigrati poveri, operai, disoccupati.
Il padre di due di questi bambini, famiglia con sei figli, si vanta della “disciplina di ferro” che ottiene in casa. I bambini, osservati con attenzione antropologica da Fachinelli, costituiscono presto, sotto la guida di alcuni, un rituale ripetitivo in cui il cibo diventa merda, le maestre diventano merda, lui stesso, che si reca a osservarli per “andare al cuore della cose”, è “Elvio cacato”. Queste note di osservazione, questi appunti, nel contesto di una scuola per l’infanzia, andranno a costruire le riflessioni presenti nel Bambino dalle uova d’oro, di qualche anno successivo.
La merda, elemento fondamentale del corpo infantile, organizza, nei primi anni di vita, le esperienze distruttive e sadiche, le piccole ripetizioni ossessive, la testardaggine nel trattenerla, l’indocilità selvaggia nel distribuirla per casa, l’affezione creativa nell’usarla per farne palline, per modellarla.
A scuola, la merda si trasforma in linguaggio, il cibo è glossolalia, manducazione di merda, come in Antonin Artaud versus Lewis Carroll. Poi l’altro, l’adulto, va in merda. Esperienze infantili da analizzare, da non esaltare come processi di liberazione. Fachinelli fa tesoro delle riflessioni di Freud e altri psicoanalisti sulla distruttività entrando nel “cuore delle” relazioni sociali infantili. Lì nasce il soggetto collettivo, le radici sociali della soggettività non sono più riducibili alle dinamiche della famiglia di classe media da cui proveniamo, Fachinelli indica di uscire fuori dalla cerchia ristretta di chi pensa, scrive, riflette, studia, ricerca, fuori dal mondo degli psicoanalisti.
Invero però, i bambini cresciuti del suo tempo, degli anni Settanta, sono i giovani che contestano e si ribellano contro la repressione e l’autoritarismo. La crisi dell’autorità paterna fa scaturire la rivolta studentesca e la sfida alla dimensione simbolica del padre, individuata nel potere economico, politico, burocratico, accademico, giuridico e della corruzione. Una sola citazione, del 1956, da Adorno e Horkheimer permette a Fachinelli una riflessione:
Sempre meno la famiglia adempie la sua funzione di istituto di istruzione ed educazione. […] Più rapidamente di prima, [il bambino] scopre che il padre non personifica affatto la forza, la giustizia e la bontà, e soprattutto che non concede la protezione che il bambino inizialmente si ripromette da lui. La effettiva debolezza del padre nella società, che rimanda alla riduzione della sfera della concorrenza e della libera impresa, penetra così fino alle cellule più intime dell’equilibrio psichico-morale: il bambino non può più identificarsi a lungo col padre (p. 31) .
La mia lettura “politica” di Fachinelli è pur sempre quella di uno psicoterapeuta che affronta, oggi ancor di più, in le condizioni di crisi economica, di dominio delle multinazionali e di una burocrazia corrotta e soffocante. Le prime fanno profitto (gioco d’azzardo, big pharma, incroci politico affaristici, neo fascismi “neoliberal”) sulla pelle dei nuovi Gianni/Pierini, che siamo noi (gli intellettuali e gli studiosi hanno perso la loro posizione privilegiata da molto tempo), la burocrazia favorisce vari tipi di mafia, sotto il velo della neutralità. Per noi, oggi, le parole di Fachinelli suonano come profetiche e nello stesso tempo rimangono l’unica opportunità etica e di ricerca. D’altro canto, proprio nell’ultimo saggio di Al cuore delle cose, parlando di don Abbondio, Fachinelli lo cita: “il coraggio uno non se lo può dare”. Si tratta, in questi casi, di cambiare mestiere.
Infine, lo stile rivela il coraggio. In buona parte di questi scritti il testo è asciutto, deciso, quasi aforistico. Non è un caso che ho riportato diverse citazioni, per dare un’idea del modo di scrivere di Fachinelli, esplicito e diretto, benché ponderato. Nel leggerlo, s’impara a scrivere.
A Elvio Fachinelli sarà dedicata una tavola rotonda durante la fiera “Bellissima” a Milano, il prossimo 20 marzo alle 18.30. Saranno presenti i curatore del volume, Dario Borso, Giuditta Fachinelli, Sergio Benvenuto, Massimo Recalcati, Romano Madera, Luisa Muraro e Pier Aldo Rovatti.