Abbiamo visto “ Triage “ diretto da Danis Tanovic.
La parola Triage è un termine medico francese che indica la cernita, un sistema utilizzato nel Pronto Soccorso per selezionare i soggetti coinvolti in infortuni; le cure avvengono sulla gravità delle condizioni e non sull’arrivo, un codice colore assegna la gravità del malato, Nel film i pazienti sono soldati curdi feriti in combattimento e di cui un medico privo di medicine stabilisce se farli vivere o smettere di soffrire. Li si distingue da una striscetta colorata buttata sui corpi e che ne stabilisce la vita e la morte. E’ un film di grande spessore ‘morale’, tratto dal libro omonimo di Scott Anderson, ex corrispondente estero che ha seguito le guerre civili in Uganda, a Beirut, in Cecenia e in Bosnia. Nonostante il regista sia un Premio Oscar, Il film sta passando in Europa un po’ in sordina ed è stato presentato in concorso solo al Festival Internazionale del Film di Roma 2009. Benchè non sia un film effettivamente coinvolgente e completamente riuscito non si capisce l’indifferenza della critica e del pubblico, non comprendiamo perché debba uscire in una saletta da sessanta posti a Roma ed essere proiettato per una sola settimana. Questo fatto ci dice molto dello stato delle cose di questo Continente. La storia è ambientata tra Londra e la terra Curda, lato Iraq e Turchia, nel 1988, ai tempi di Saddam. Mark Walsh ( l’attore Colin Farrell ), fotografo di guerra da dodici anni ma ancora privo della “ foto storica “ che lo distingua dai colleghi, ritorna in Kurdistan col suo collega e amico per l’ennesimo reportage. Lo stress della permanenza sulle montagne, l’assistere a sofferenze indicibili e a morti quotidiane porta i due fraterni amici a litigare. Stacco, Seconda parte… Mark torna a casa da solo dopo essere stato ferito e aver rischiato una striscia dal colore viola. In stato di shock, a Londra, Mark glissa con la sua compagna e i suoi colleghi sulla sua esperienza ed anche psicologicamente questo silenzio ha pesanti conseguenze sul suo fisico e sulla sua vita. La prima persona a notare il suo cambiamento è la fidanzata Elena ( l’attrice spagnola Paz Vega ), allarmata oltre che dallo stress del suo uomo anche dalla scomparsa del collega, compagno della sua migliore amiche che è per giunta incinta al nono mese. Ricompare nella loro vita Joaquìn ( Christopher Lee ), nonno della ragazza, un tempo quasi psicologo dei gerarchi franchisti e quindi giudicato dalla nipote “ uno sporco fascista “. Il vecchio invece con saggezza e pazienza si rivela l’unico capace di capire Mark, di far svelare il segreto inconfessabile al reporter e a sviluppare una relazione che cambierà la vita di entrambi.
Il film si sviluppa un po’ a singhiozzo, è sincopato; diviso in due parti separate: un primo tempo (quaranta minuti) ambientato in Kurdistan, un secondo tempo (Un’ora) a Londra e con qualche flash back di guerra. Sembra quasi che il film fosse più lungo e che per problemi di distribuzione sia stato tagliato e così facendo ne risente di armonia narrativa. Il cast non è completamente convincente, sembra quasi una mediazione di coproduzione belga-spagnola-statunitense. Colin Farrell è bravo ma rende il film un ibrido tra cinema d’autore e Hollyvood, Paz Vega – quasi irriconoscibile – non convince nel ruolo, il mito Christopher Lee non ha né il fisico né l’aplomb di un spagnolo franchista.
Il regista Danis Tanovic. è un autore interessante, (documentarista di guerra, nel 2001 debutta con il film drammatico No Man’s Land – Terra di nessuno, con cui vince l’Oscar e la Palma d’ro a Cannes per la sceneggiatura; nel 2005 dirige il più intimistico L’enfer, basato su una sceneggiatura del compianto Kieslowski), prova a coniugare il cinema statunitense di pellicole belliche con l’introspezione e l’analisi umana di Kieslowski, ha una tecnica registica che contempla immagini importanti ( la prima inquadratura del film ricorda Welles e un suo estimatore De Palma ), segnala chiari simboli di destini inevitabili, complessità dei sentimenti e svelamento di verità difficili e complesse. Ma in questo film non ci è riuscento, se non in parte.