Abbiamo visto Neruda diretto da Pablo Larrain.
Con Luis Gnecco, Gael García Bernal, Mercedes Morán, Diego Muñoz, Pablo Derqui. Biografico, durata 107 min. – Argentina, Cile, Spagna, Francia 2016.
Si può affermare che Pablo Neruda sia la bandiera del Cile, poeta, militante comunista, senatore, amico di Allende, si è trasformato quasi in un personaggio mitico. Premio Nobel nel 1971, Premio Stalin ( il corrispettivo del Nobel in Urss ) nel 1953. In Cile ci sono tre case museo a lui dedicate, a Santiago nel quartiere universitario, a Valparàiso e a Isla Negra; la sua vita l’ha raccontata in ben due biografie Per nascere sono nato e Confesso che ho vissuto. Ed ha vissuto tutti i momenti salienti del Novecento, ha fatto l’ambasciatore in Indocina, si è trovato in Spagna durante la Guerra Civile, ha fatto evacuare dai campi francesi 2.000 esiliati spagnoli, per i quali organizzò un trasferimento via mare in Cile, è stato ambasciatore a Città del Messico ai tempi in cui nella stessa città c’era anche Trotskij, e negli ultimi anni è stato al fianco di Salvador Allende fino all’ultimo. Personaggio interessante come il suo secolo, multiforme ma anche contraddittorio, con luci e qualche ombra; quindi è normale che il regista Larrain ( Toni Manero, Post Mortem, No, i giorni dell’arcobaleno – uno dei più grandi autori in circolazione ) abbia dichiarato che inizialmente, era molto spaventato all’idea di girare questo film, per il carattere del poeta, dalle molte sfaccettature, così come molteplici risulatno le sue passioni. Ma grazie alla splendida sceneggiatura di Guillermo Calderon ( importante commediografo e regista, già sceneggiatore per Larrain con Il Club ) e alla maestria del regista, questo biopic si è trasformato in altro, andando anche oltre una biografia visionaria, rendendo il possibile realismo del tutto inutile e quindi mai preso in vera considerazione. Ha costruito del poeta un ritratto ‘ in versi ‘, non serioso e inserendo narrativamente elementi inventati, poco probabili e in fondo giocosi ( la sua permanenza a Parigi di contralto alla fine del poliziotto inseguitore, personaggio quasi proiezione fantastica del poeta e a cui Neruda permette una vita, dove vita non c’è, attraverso lui ). Realizzando così un’opera sostanzialmente poetica, magica, spesso usando un tono ironico; in alcuni passaggi risultando lieve e in altri crudo ( quando una compagna proletaria gli chiede se dopo la rivoluzione tutti saranno Neruda o tutti come lei ). Larrain e Calderon riescono a coniugare e a rendere magiche le tre direzioni del film, quella poetica, quella politica e quella poliziesca. Insomma un film riuscito, bello, intenso e intelligente, come ci ha abituato da sempre Larrain. Come il collocare Neruda ( nella finzione cinematografica ) non come un uomo d’élite, politico e artista, oltre che dalla vita esistenziale fuori dal comune, ma come un uomo tra gli uomini, senza distanze e senza vere differenze ( chissà se lo spunto non è venuto pensando alla vita del Presidente Salvador Allende ), un po’ come se rappresentasse l’anima del Cile e del suo popolo sofferente. Larrain, maturando, abbandona definitivamente i fantasmi che lo avevano perseguitato nei primi film – suo padre senatore di un partito fascista cileno filo Pinochet e sua madre ministro del penultimo governo di destra – e trova un magico equilibrio attraverso la cultura del suo Paese e dei suoi migliori rappresentanti e riconciliandosi stilisticamente con le sue contraddizioni.
Il breve periodo della vita di Neruda che ci racconta risale ad alcuni mesi del 1948. E’ stato eletto Presidente, Gabriel Videla, con l’appoggio del Frente Popular e quindi del Partito Comunista, ma con improvviso voltafaccia promulga la Ley de Defensa de la Democracia, e rende illegale i partiti di sinistra che gli hanno permesso di vincere. Tutti i dirigenti finiscono in carcere e nei campi di concentramento, mentre il senatore comunista Neruda è l’unico che riesce per un breve periodo a vivere in una libertà movimentata e fuggiasca; nella sua bella e poetica casa Neruda, ogni sera invita l’élite cilena e, tra un travestimento e un canto, fa sentire il senso di libertà e di fratellanza e di opposizione al potere. Ma ben presto anche lui è costretto a entrare in clandestinità, e restando l’unico comunista importante non ancora in carcere si trasforma ben presto nel nemico pubblico numero uno. La sua forza gli deriva dalla sua poesia ma anche dalla moglie, anche lei artista, proveniente dalla colta borghesia che lo ha migliorato nel gusto e completato nell’educazione, raffinandone i gusti, facendolo stare a suo agio anche con la borghesia connivente col potere. Il partito lo vuole far espatriare ma alla frontiera è bloccato e deve tornare indietro. A questo punto il Presidente manda sulle sue tracce l’ispettore di polizia Oscar Peluchoneau ( un bravo ma un po’ scialbo Gael Garcia Bernal ), un uomo che viene dal popolo, con una madre prostituta e senza particolari doti investigative, quasi una contrapposizione con il poeta: l’uomo libero e creativo di fronte ad un uomo senza alcuna vita o passione. Il poeta passa di casa in casa, di luogo in luogo, tenta di fuggire all’estero con la moglie provando a imbarcarsi su una nave cinese a Valparaiso, ma trova delle difficoltà e in questa vita randagia comunque riesce a riscaldare con le poesie i cuori di altri oppositori e a scrivere la sua opera più famosa Canto General. E poi c’è una fuga finale, sulla neve, nel territorio Mapuche, tra Cile e Argentina…
Luis Gnecco impersona Neruda, è un attore comico, soprattutto televisivo, oltre che teatrale, negli ultimi anni ha fatto un salto di qualità diventando un attore impegnato ( l bosque de Karadima ), scelta coraggiosa di Larrain, un po’ come se in Italia per un film sulla vita di Montale si prendesse Lino Banfi. Il poliziotto Peluchoneau ( pura invenzione filmica ) è interpretato dal bravo Gael Garcia Bernal che tuttavia sembra aver perso lo smalto dei film di Inarritu e di Salles.