Abbiamo visto “ Il mio amico Eric “ diretto da Ken Loach.
Loach è uno dei pochi registi marxisti rimasti in circolazione, un tipico trotzkista inglese così lontano dal modo di intendere dalle nostre parti. Un misto di gentilezza e “ durezza “ ideologica. Quando parla di un film non usa mai “ io “ ma un “ noi “, in questo caso veramente politicamente corretto. Pensando a lui si pensa a Orwell, con lui divide le posizioni politiche e il modo di intendere il mondo. Negli anni Sessanta realizzò 10 episodi di The Wednesday Play, che hanno rivoluzionato il genere del dramma televisivo britannico creando il genere del docu-drama, utilizzava tecniche documentaristiche per raccontare storie di fantasia, con l’obiettivo di creare consapevolezza politica nella classe operaia e nel ceto medio. Nel 1971 ha diretto il film “ Family Life “, una pietra miliare per il cinema inglese: con uno stile documentaristico mette in scena un dramma ispirato dalle teorie antipsichiatriche di Ronald Laing, presentando uno spaccato della realtà britannica. Ha lavorato molto per la televisione ma nel 1991 è tornato al cinema senza più abbandonarlo con film meravigliosi sul mondo operaio e proletario inglese, ricordiamo gli eccellenti “ Riff Raff “ (1991), “ Piovono pietre “ (Raining Stones) (1993), il durissimo “ Ladybird Ladybird “ (1994), “ Terra e libertà “ (Land and Freedom) (1995), il perfetto “ My Name Is Joe “ (1998), fino a giungere a “ In questo mondo libero “.
Questo progetto parte dalla vicenda vera di un tifoso di Cantona che, per seguirlo ovunque ha finito col perdere la famiglia, gli amici e il lavoro. A mettere le mani sull’idea originaria è stato lo sceneggiatore Paul Laverty, autore fisso degli ultimi dieci film di Loach, ha modificato l’impostazione per avvicinare i toni drammatici a quelli comici. E Dopo due anni di silenzio Ken Loach è tornato con il suo “ Il mio amico Eric “, un film che ci spiazza perché nonostante racconti ancora le condizioni del proletariato inglese viste dall’interno e con occhio solidale e complice, sceglie la commedia e uno stile che ricorda ( come con l’ultimo film dei fratelli Coen: A serious man ) Woody Allen. In “ Provaci ancora Sam “ c’era il consigliere amoroso Bogart, in questo c’è l’ex calciatore-mito Eri Cantona. Cantona è stato un grande campione, dagli incredibili goal e dalla forte determinazione come uomo in campo e fuori, ma non capiamo perché un regista ideologico come Loach lo abbia scelto come mito e come esempio per “ la classe operaia “ sfigata e depressa.
Eric ( Il bravo Steve Evets ), impiegato alle Poste, è oramai un uomo di cinquant’anni, con una vita affettiva depressa, piena di sensi di colpa, e afflitto dalle difficoltà di una vita monotona. Vive con i due figliastri della seconda moglie fuggita chissà dove e che non se lo filano per niente. Lo conosciamo mentre stralunato fa un incidente stradale durante un attacco di panico. Il suo malessere di fondo deriva dal fatto che trent’anni prima, in preda a un altro dei suoi attacchi, aveva lasciato la sua prima moglie Lily con una bambina appena nata ( Stephanie Bishop ), unico vero amore della sua vita. Come se non bastasse alla sua vita derelitta il suo primo figliastro si è cacciato in un brutto giro, frequentando un piccolo boss del quartiere e non sa come uscirne. L’unica fuga dalla realtà per Eric è rappresentato dalla sua passione per il calcio e per il Manchester United, in particolare per Eric Cantona ( interpretato dal calciatore stesso ), ex stella della squadra, il suo “fantasma” gli darà consigli e quindi una mano per raddrizzare una vita sghemba e ormai senza futuro. Il finale Happy and, cosa a cui Loach non ci aveva mai abituati, sembra volerci suggerire che l’unione fa la forza, in un’epoca in cui la fa da padrone l’egoismo e l’individualismo. Quasi un vecchio slogan marxista, proletari di tutto il mondo unitevi.
“ Il mio amico Eric “ è un film che ha un suo equilibrio tra commedia comica e dramma sociale ( l’arrivo della polizia in casa di Eric per una soffiata tuttavia è brutale e “ gratuito “ con il resto del film; e il modo di risolvere il “ problema “ con il malavitoso è carino ma cinematografico e poco realista ). Ken Loach come abbiamo già detto è un regista che fa dell’osservazione della realtà e dell’analisi sociale con le sue contraddizioni il filo conduttore di tutta la sua carriera, in questo caso potemmo dire che ha usato “una licenza poetica”.
Come al solito regia lieve e partecipata, buona sceneggiatura e ottimo il gruppo di attori, per noi praticamente sconosciuti.