“Il Grande Iran”, titolo dell’ultimo lavoro di Giuseppe Acconcia, edito da Exorma, è un libro che racconta un Paese che, seppur affascinante nell’immaginario collettivo, si presenta però molto complesso, la cui realtà non è così facile da esplorare. Grazie alla bella e piacevole prefazione dello scrittore iraniano Mohammad Tolouei, il lettore occidentale è sollecitato a immergersi, senza restrizioni, nella comprensione dell’Oriente, tralasciando giudizi affrettati ed erronei e prendendo a esempio gli orientali “che cercano di conoscere l’Occidente senza intermediari”.
Da questa sottile esortazione ha inizio una stimolante e coinvolgente lettura, intervallata da riferimenti storici e narrazioni minuziose del paese e della sua società, dove “tutto è il contrario di tutto: la libertà è ipocrisia, la religione è politica, la carità è profitto”. Tehran è fotografata come la “città bizzarra che, vista dall’alto, sconvolge coi suoi 15 milioni di abitanti che si riversano su strade straripanti di macchine, taxi, moto. L’attento osservatore noterà che il canto del muezzin o i minareti delle moschee non invadono i luoghi della città come avviene per altri paesi. Quella di Tehran è una ricchezza degradante che si trasforma in povertà nel sud”.
La chiave di lettura di questo minuzioso e realistico racconto di viaggio è la trasformazione che la Repubblica Islamica dell’Iran ha avuto dapprima sotto il regno della dinastia Qajar (1781-1825), poi negli eventi che hanno portato alla Rivoluzione islamica del 1979 e in seguito al periodo di riforme a opera di Mohammad Khatami (1997-2005). Come negli altri suoi libri (La primavera egiziana e le rivoluzioni in Medio Oriente, Infinito, 2012 ed Egitto democrazia militare, Exorma, 2014) l’autore, facendo esperienza diretta delle realtà di cui tratta e, nello specifico, di alcune delle città più significative dell’Iran, narra le proteste del 2009 e del 2011 contro il noto presidente Mahmud Ahmadinejad (2005-2013) e arrivando ai giorni nostri, racconta gli anni della presidenza di Hassan Ruhani, eletto nel 2013 e definito “l’uomo delle istituzioni rivoluzionarie”, per giungere alle questioni relative all’accordo sul nucleare; il tutto arricchito dalle insolite illustrazioni del vignettista iraniano Touka Neyestani.
L’autore non manca di fornire già nelle prime pagine una spiegazione del perché della scelta di questo paese: “Nel tempo vissuto a Tehran ho cercato di vivere il più possibile immerso nella società persiana. L’Iran è il paese del dispotismo e delle lotte civili, il più democratico del Medio Oriente per cultura politica e civile. Ai miei occhi, il popolo iraniano vive un momento politico, culturale, sociale e civile unico”.
Acconcia mostra il suo disappunto al progetto di “Grande Medio Oriente” concepito dell’ex presidente degli Stati Uniti, George W. Bush dove, a questa follia geopolitica, l’autore contrappone il “Grande Iran” il cui ruolo è da sempre risultato determinante nell’area mediorientale, che ha fatto del riformismo e del rafforzamento della società civile i suoi punti fermi. Accanto però ai tentativi di cambiamento, il tema dei diritti umani rimane tuttavia al centro del dibattito odierno. Se da un lato il ruolo delle ong e delle singole personalità è stato determinante per la difesa dei diritti della donna, il paese mostra ancora una certa insofferenza alla questione di genere. Il controllo dei mezzi di comunicazione è ancora molto forte e nel caso dell’arte, per esempio, nonostante un appoggio formale da parte di centri privati per il sovvenzionamento degli artisti, assistiamo ancora a una censura preventiva da parte di enti statali.
Anche se colmo di contraddizioni, tutto sommato l’Iran di Acconcia mostra grandi risorse e ha davanti a sé un futuro di ricostruzione in cui l’accordo di Vienna sul nucleare potrebbe dare una svolta positiva agli interventi armati in Medio Oriente e rendere questo paese protagonista nella lotta contro lo spauracchio del jihadismo.