Abbiamo visto “ Rosso Istanbul “ regia di Ferzan Ozpetek.
Con Halit Ergenç, Tuba Büyüküstün, Nejat Isler, Mehmet Günsür, Cigdem Onat, Serra Yilmaz. Genere Commedia drammatica – Italia, Turchia, 2017, durata 115 minuti.
Ma Ozpetek è un regista italiano di origini turche o è un regista che è nato e cresciuto a Istanbul e da molti anni vive in Italia ? Può sembrare una domanda stupida o come si diceva un tempo di lana caprina. In entrambi i casi ci sfugge come si possa ritornare a casa dopo vent’anni ( dopo il suo primo film Il bagno turco ) e osservare luoghi familiari come fossero cartoline da ente del turismo. Scegliere luoghi ( interni ed esterni ) così glamour e sofisticati, descrivere personaggi così alti e trasognati che prendono il sopravvento su una storia che pur drammatica ( ci sono due morti, una passata e una presente, c’è una specie di ricerca del tempo perduto e di un tempo ritrovato, c’è un ritorno a casa e alle proprie origini interrotte emotivamente da un dramma e altro ancora ) risulta lontana, formale e rimasta in punta di penna o chiusa nelle pagine del romanzo da cui è tratto. Una storia di un ritorno a casa dopo anni di lontananza e di sofferenza con relativo peregrinaggio in luoghi e tra persone che ci rimanda al buon vecchio cinema italiano degli Anni Sessanta degli Zurlini o dei Vancini; ma in questo caso il mondo cosmopolita, lucente ma anche fané sembra annacquare il lato come eravamo e perdersi in quell’estetica che ha già colpito Guadagnino forse in modo irrimediabile. Una storia con dei buchi emotivi e degli spostamenti repentini narrativi che sembrano mostrare delle intenzioni così vicine al regista da risultare così lontane allo spettatore. E parte del titolo, rosso, fa intuire quali fossero le intenzioni di Ozpetek e come queste intenzioni non siano state mantenute né con la drammaturgia né con i luoghi tantomeno nel pathos dei protagonisti, tutti comunque bravi, esatti, ma tuttavia non empatici. Rimane solo il rosso delle unghie della madre, il colore delle mura della casa e qualcos’altro. E il risultato finale, invece di essere un film emotivamente coinvolgente ed emozionante, si tramuta in un film placido e a volte straniante.
Orhan Sahin ( un convincente Halit Ergenç ) è un quarantenne che torna a casa da Londra dopo vent’anni. Al tempo è fuggito via per un dramma personale che lo ha praticamente interrotto emotivamente, al punto da non farlo tornare più né per la morte della madre e nemmeno per quella dl padre e nel rimuovere tutto il suo passato non sentire nemmeno la sua cara sorella che si è separata dal marito e che continua l’attività di famiglia. Orhan è stato lo scrittore di successo di un solo libro, poi è diventato a Londra un editor. Torna a casa con il pretesto di aiutare un suo amico di un tempo Deniz per la stesura del suo primo libro, romanzo che è solo da sistemare ( anche questo gioco tra narrazione e realtà – tutti i protagonisti sono reali ma manipolati nel racconto – resta un po’ data per data ). Dopo una prima serata piacevole, fatta anche di molto alcol Deniz scompare senza lasciare traccia ( ha deciso di lasciare il testimone all’amico ). E’ scomparso per poi ritornare ? Si è suicidato ? Naturalmente Orhan deve restare a Istanbul cosa che lo porta a confrontarsi con il suo passato ma anche a scavare nella vita dell’amico inquieto. Dovrebbe esserci una ricerca che ricorda il cinema del primo Antonioni, dovrebbe esserci la riscoperta di una città meravigliosa come Istanbul con i suoi cambiamenti, il ritrovare i vecchi amici e le donne del passato, il riemergere delle emozioni di un tempo, in un crescendo emotivo da far coinvolgere i sensi e svelare segreti e passioni ormai represse se non interrotte. E invece si trascina elegantemente in un mondo senza reale pathos, con emozioni stilisticamente appena abbozzate; un po’ fastidiosa, se non irreale, la scena in cui il protagonista torna a casa di Neval, ( La modella e attrice Tuba Büyüküstün ) la donna per cui nutre d’un tratto amore, e il marito di lei lo accoglie serafico e gli fa notare che sono entrambi innamorati di lei ma che lui è stato più fortunato perché è arrivato per prima. Insomma questa ricerca del tempo perduto e una specie di tempo ritrovato porta il protagonista a scrivere un nuovo romanzo e a sentirsi almeno in parte riconciliato e forse doppio dell’altro nella scena finale.
Ciò che resta di un film ambizioso ma non risolto è il buon cast, una buona fotografia, una buona colonna sonora e alcune scenografie ( la casa in cui Orhan viene ospitato, il vecchio negozio di famiglia ) assai accurate.