Abbiamo visto “ La tenerezza “ regia di Gianni Amelio.
Con Renato Carpentieri, Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti, Greta Scacchi. Genere Drammatico – Italia, 2017, durata 103 minuti.
Indiscutibilmente Napoli è una città che rende qualsiasi storia più credibile, qualsiasi strada narrativa percorribile e tutte le variazioni dei sentimenti praticabile. Il suo fascino unico rende sincero anche qualcosa che proprio del tutto sincero non è; se poi si utilizza la fotografia di uno dei migliore direttori europei ( Luca Bigazzi, che ci regala la profondità dei luoghi e di chiaroscuri fragili come sono le esistenze interrotte dei protagonisti ) allora può sembrare di essere dalle parti del cinema di Farhadi e di un certo cinema necessario, così lontano dall’insostenibile cinema italiano di oggi che nel migliore dei casi risulta autoreferenziale se non egotista. Eppure anche se la cornice sembra assai onesta, la narrazione di un cinema che fu, quasi perfetta ( compreso il buon cast ma soprattutto il protagonista Renato Carpentieri ) come la dolenza dei sentimenti comuni interrotti chissà da cosa, il tutto sembra andare per la sua strada ( fotografia, personaggi, regia, la città stessa ) creando un’operazione riuscita solo in parte in cui i personaggi pur credibili non sembrano mai volersi dichiarare più per timore che per pudore e restano tutti chiusi in gusci e si sfiorano solo per casualità e per genericità emotiva; trovandosi simbolicamente con le porte di casa chiuse, le chiavi smarrite, le serrature appena chiuse e con il protagonista fuori, con lo scambio di chiavi e in ambienti familiari deserti se non desolati. Insomma una incomunicabilità sentimentale e interrotta in una città che rappresenta invece un luogo dell’anima collettivo. Tutti i caratteri sembrano che si vogliano svelare ma in realtà non lo fanno mai e quando qualcuno giunge a un gesto irreparabile conserva tutto per sé il segreto del male di vivere.
Un tentativo apprezzabile, in controtendenza e autorale per questi tempi bui, che però non riesce ad andare fino in fondo, ad avere il coraggio della sfida e sembra interrompersi sul più interessante. Anche i dialoghi che a un primo impatto sembrano credibili e significativi in realtà sviluppano delle intenzioni troppo funzionali e in alcuni casi sono costruiti per piacere più che per scavare nel fondo delle psicologie, mentre in alcuni passaggi risultano precoci e troppo rapidi per persone che si conoscono appena.
La tenerezza è tratto liberamente dal romanzo dell’avvocato quarantenne Lorenzo Marone La tentazione di essere felici ( Longanesi 2015, buon successo editoriale e premiato in vari concorsi ), ma, come per il titolo del film, ci risulta un po’ forviante. Nella cornice della Napoli più autentica ( quella popolare del centro storico e in quella del centro direzionale ) si muovono delle anime perse e un po’ aliene; il protagonista assoluto è l’anziano avvocato Lorenzo, vedovo, infartuato, che vive da solo e sembra provare affetto solo per il suo nipotino, mentre per il resto non prova alcun sentimento né per i due figli Elena e Saverio, ( una più affettuosa e preoccupata per il padre Giovanna Mezzogiorno, mentre l’altro sembra interessato solo ai soldi ) né per la ex amante né forse per se stesso. Dopo una degenza in ospedale torna a casa senza avvertire nessuno, senza avere alcuna voglia di curarsi e giunto a casa scopre che al piano di sopra, ma con balconi comunicanti, vive una giovane coppia del nord con i due figlioletti. Lei, Michela, ( una Micaela Ramazzotti da una sola espressione del viso ) è una donna simpatica e gentile, fragile e con un passato un po’ sbandato, lui ( Elio Germano, in una prova un po’ troppo attoriale ) è gentile ma un po’ scontroso e introverso, è un ingegnere che fa fatica a vivere in una città così affollata e rumorosa. Fanno amicizia e il vecchio avvocato sembra adottare la famiglia come fosse la sua in un batter d’ali. Ma un evento tragicissimo e sconvolgente avviene all’improvviso e l’avvocato si lega ancora di più a Michela e forse sarà grazie a lei che l’uomo ritroverà dei sentimenti perduti definitivamente con la morte della moglie e a ritrovare un rapporto con la figlia.
Un film fatto di un dolore collettivo, ma un dolore troppo dichiarato ed esibito che non ci mostra mai le vere ragioni, tutte praticabili se sullo sfondo c’è una città così palpitante e viva come Napoli.
Amelio prova questa volta a percorrere le strade alla Martone ( L’amore molesto e Morte di un matematico napoletano ) ma sembra purtroppo troppo preoccupato a realizzare un film elegante e d’autore per riuscire a essere sincero fino in fondo e quindi infiocchetta, abbellisce, circoscrive il male di vivere piuttosto che penetrare questa cognizione del dolore. Usa la brutalità della violenza piuttosto che il tratto investigativo dei sentimenti, forse si affeziona talmente ai personaggi da non volerne essere il cronista originale e oggettivo.
Una piccola digressione, ma perché, con le dovute differenze, Amelio e Bigazzi hanno così appiattito e imbruttito due donne dal fascino indiscutibile come la Mezzogiorno e Greta Scacchi, quasi irriconoscibile ?