Abbiamo visto “ Indizi di felicità “ regia di Walter Veltroni.
Un film Genere Docu-fiction – Italia, 2017, durata 103 minuti. Uscita cinema lunedì 22 maggio 2017 distribuito da Nexo Digital.
Permettete un’introduzione, sui quotidiani di oggi i grandi giornalisti di questo tempo scrivono di Indizi di felicità con grande evidenza e con giudizi a dir poco assai positivi che spesso celano il giudizio reale, dal Massimo Gramellini del Corriere alla Natalia Aspesi de La Repubblica, da Silvia Truzzi per Il Fatto Quotidiano fino ad Antonello Catacchio per quel che resta de Il manifesto, unica voce contraria – anche per partito preso – è Gianluca Veneziani su Libero. Parafrasando il giornalista Mario Missiroli: Qui da noi può succedere di tutto, ma una recensione decisa non si fa nemmeno per scherzo « perché ci conosciamo tutti »
In un mondo di passioni tristi, in cui possiamo vedere anche un bimbetto che cammina tra i due genitori, mano nella mano, con l’espressione afflitta o rabbiosa, domandarsi sulla felicità di questi tempi può sembrare una domanda oziosa o una richiesta filosofica necessaria e alta. Perché oggi il mondo ci appare assai sfuggente, liquido e a volte deforme nella sua insensatezza, così indeterminato da perderlo di vista appena si è convinti di qualcosa. Leggendo il bel titolo del documentario di Walter Veltroni ci viene in mente il Trattato politico di Spinoza e la sua critica verso coloro che concepiscono le passioni ( la felicità ), fonte di tormento, come vizi nei quali l’uomo cade per sua colpa, e così facendo riflettono sull’uomo non come è in realtà, ma come vorrebbero che fosse. In un’epoca oggettivamente barbara, la crisi dei valori, dell’individuo e della famiglia, il buio della ragione, ci dovrebbero porci delle domande come probabilmente si fecero i primi umanisti e si dovrebbero trovare delle risposte anche timide ma onestamente certe. Quindi da questo documentario cercavamo qualche indizio sul presente e sul futuro che tuttavia non c’è stato, non c’è alcuna riflessione sulla società postmoderna dell’incertezza né tantomeno un confronto con il disagio che produce la modernità derivante dalla felicità individuale e che è frutto dalla ricerca infelice del piacere e della quantità.
Un po’ un peccato perché anche se Indizi di felicità costruisce ipotesi di felicità con persone comuni, belle nell’animo e forse nel carattere, il loro vissuto appartiene soprattutto al passato e a condizioni sociali ed emotive della guerra e del dopoguerra e ricostruisce degli attimi di felicità da cui partire da realtà troppo distanti dalla nostra e anche da condizioni storiche che non esistono più. Certo che qualche indizio individuale di felicità – come il dare il primo bacio a colei che diventerà tua moglie, il sapere di essersi salvati dalla morte certa, l’arrivo di una notizia importante – sono dei frammenti di gioia, altrimenti come faremmo a vivere, ma questi non si trasformano in qualcosa di collettivo. Perchè la felicità non può esistere solo individualmente, non dovrebbe essere un miraggio per delle vite comuni, ma una concreta possibilità di vita.
Il documentario inizia bene, con qualcosa di gentile e semplice, come è il suo autore, un uomo in un vagone della metropolitana di Londra alle sette del mattino, attraverso dei gesti gentili, una chitarra e una canzone, riesce a svegliare dei passeggeri chiusi in se stessi e imbronciati e li fa cantare assieme e sorridere collettivamente; finalmente ci viene da dire, al quarto tentativo, Veltroni si scrolla da dosso una certa prevedibile ortodossia narrativa e prova – anche se in modo troppo semplice – ad andare controcorrente. Ci sembra di poter assistere a qualcosa di imprevisto e non omologato. Ma purtroppo è solo l’inizio, subito dopo ci sono circa dieci minuti di immagini successivi sconnesse, frammentarie ( e involontariamente equivoche politicamente, in quanto tutte ricordano il terrorismo islamico ) in cui si assiste all’orrore del mondo, con le classiche immagini delle Torri Gemelle, delle stragi ad Aleppo, del piccolo bambino siriano morto affogato sulle coste turche e poi le stragi del caffè concerto del Bataclan a Parigi, sulla Promenade des Anglais, alla stazione di Madrid e infine ( ‘per fortuna’ ) il ritrovamento di una bambina viva durante il terremoto dell’Aquila. Superando l’incipit, ci sono delle domande che Veltroni fa a un rabbino che ritroveremo in maniera circolare anche alla fine del film e poi si entra nell’idea centrale del documentario: è possibile essere felici anche solo per qualche momento ? Esistono esperienze che danno la felicità o sono loro stesse sostanza di felicità ? E a questo punto per oltre un’ora ci sono le interviste, affettuose, bonarie e rispettose, ma anche senza alcun imprevisto esistenziale o di pensiero, a più di una ventina di persone; dalla coppia che ricorda il loro primo bacio proprio nel luogo dove avvenne alla signora che ricorda la felicità nell’incontrare da bimbina, per la prima volta, suo padre ritornato dalla guerra, al giovane prete ultras della Sampdoria che ricorda tra l’altro una partita di calcio, all’uomo, a cui avevano dato sei mesi di vita e grazie anche alla sua voglia di vivere è ancora qui a raccontarcelo, al deportato che ha perduto tutti i suoi cari e che solo in questi ultimi undici anni ha ritrovato la felicità andando nelle scuole a raccontarlo ai giovani studenti.
Come al solito Veltroni indaga con gentilezza, cercando di trovare – attraverso storie quasi normali e di gente semplice – una sola verità, che nonostante tutto ci sono frammenti di felicità. Forse seguendo idealmente una bella canzone del compianto Giorgio Gaber di una ventina d’anni fa, L’illogica allegria, ma certo non cercando di trovare risposte un po’ più impegnative, originali, senza scomodare Aristotele o Adorno.
Il nuovo film documentario di Veltroni verrà proiettato nelle sale italiane in anteprima il giorno 22 maggio con un evento in diretta via satellite e in cui interverranno il regista con Antonio Albanese e Ilaria D’Amico e sarà al cinema anche nei giorni 23 e 24 maggio.