Per molti commentatori la “vera” sinistra è davvero poco attrezzata per affrontare le problematiche fondamentali del nostro tempo – come sostenne anni fa anche Christopher Lasch – mentre le uniche formazioni oggi capaci di farlo sono: una sinistra neolaburista che saccheggia politiche di destra importandole nel proprio programma oppure i movimenti populisti che si pongono come forze post-ideologiche ma che, in loro parecchie manifestazioni, assumono posizioni tipicamente di destra. Non è ancora chiaro se tale condizione sia solo di passaggio, ovvero un interregno tra il vecchio sistema e il nuovo, oppure se è già parte del nuovo che ha spazzato via alcune parti del vecchio (come l’idea classica di sinistra).
Tra gli autori che oggi invece confutano tale tesi, Alessandro Dal Lago nel suo Populismo digitale (Raffaello Cortina 2017) propone una critica serrata contro l’alleanza tra globalizzazione e cultura digitale, ma anche contro il populismo che rappresenta un modo sui generis di incrinare tale alleanza e di utilizzare le armi del digitale contro la globalizzazione. Per questo il testo esordisce con due citazioni in esergo che sono talmente stridenti da rendere bene il senso di questo passaggio problematico. Da un lato Antonio Gramsci che definisce la crisi come uno stato di sospensione in cui “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”, dall’altro invece Gianroberto Casaleggio con la sua profezia su internet “supermedia che assorbirà tutti gli altri”. Due figure troppo diverse e sostanzialmente contraddittorie: se il primo rappresenta l’essenza intellettuale dell’ethos politico tradizionale, l’altro esprime l’essenza imprenditoriale dell’ethos post-politico.
Un contrasto perfetto che lancia il lettore in un’introduzione molto dinamica e accattivante, in cui la questione chiave del “come moriremo?” (prima democristiani, poi berlusconiani, poi renziani, adesso forse grillini) serve a rendere conto di uno dei temi centrali di tutto il testo: la velocità crescente del cambiamento, la perdita di riferimenti e il sostanziale movimento caotico dell’attuale sistema politico nazionale e globale. L’agente di tale trasformazione è ovviamente il digitale, evocato anche nel titolo e letto qui non tanto in termini deterministici ma come nuovo ecosistema che avvolge e sommerge la vecchia politica, trasformandola in qualcosa d’altro. Una delle metafore che difatti Dal Lago predilige, riprendendola dal gruppo Ippolita (p. 16), è quella dell’acquario che ci mostra come la libertà assoluta promessa dal web sia a ben vedere recintata nello spazio circoscritto del virtuale, dunque una libertà paradossale. Per questo motivo egli ricorre al modello cognitivo del doppio vincolo (p. 19) per esaminare la nuova comunicazione politica. Lo stesso modello è, dal mio punto di vista, indispensabile per comprendere la logica dei brand (commerciali, politici, terroristici ecc.). Nella sua accezione originaria il doppio vincolo indica un difetto di comunicazione tra madre e figlio talché il secondo non è in grado di risolvere la contraddizione che si manifesta tra i messaggi di odio e di amore inviati dalla madre. Questa comunicazione paradossale mina il senso dell’identità dell’infante e può degenerare nella schizofrenia. Alcune espressioni come “La rete sei tu” oppure “Sei libero solo in rete” sono per l’autore eminentemente doppiovincoliste, ovvero utilizzate dai padroni della rete per esercitare un “controllo sulle procedure politiche formalmente democratiche” (ib).
Se è vero che la digitalizzazione della cultura è uno degli aspetti chiave della globalizzazione (p. 23), a ben vedere la nuova cultura che si produce a partire dal web contiene in sé anche i germi della reazione alla globalizzazione. Per questo la rete è l’ambiente di coltivazione dei populismi contemporanei, non solo di quelli più marcatamente post-fascisti ma anche quelli di sinistra o vocatamente post-ideologici.
L’ascesa del populismo sul palcoscenico della politica globale coincide con lo svuotamento del significato della parola “popolo” (p. 29). Dal Lago offre una rassegna di molteplici interpretazioni moderne di tale concetto, anche per sottolineare la pericolosità di un suo riferimento diretto a una matrice etnica omogenea. Ad essa si contrappongono invece la concezione “morale” di Renan e quella più “finzionale” di Weber, secondo cui appunto “la volontà del popolo non è altro che una delle convenzioni (…) politiche necessarie a legittimare la rappresentanza” (p. 40).
Il dibattito sul populismo è ancora sospeso tra l’idea di una reazione integrale contro “l’espropriazione delle democrazie da parte delle oligarchie politiche” (Revelli 2017) e quella che invece vede la stessa sinistra moderata colpevole di un “tradimento di classe in favore dei diritti umani (LGBT, immigrati ecc.)” (Formenti 2016). Pertanto il populismo rischia di condurre le sinistre in un vicolo cieco, dato che “riconoscere come giuste le ragioni della destra significa legittimarla” (p. 51), in un pericoloso salto mortale in cui l’elettore è tendenzialmente persuaso a scegliere l’originale rispetto alla brutta copia.
La critica dell’autore alla nuova politica pervasa dalla rete si accentua quando si considera il populismo come una realtà immanente alla rete (p. 53). Il modo in cui l’affermazione di internet fa saltare in aria la distinzione tra pubblico e privato – pilastro delle democrazie moderne – ci indirizza verso una dimensione che dal mio punto di vista è definibile come neototalitaria (Barile 2008), in cui il privato è appunto irretito e messo a disposizione del pubblico.
La critica di Dal Lago insiste sulla separazione tra la dimensione virtuale e quella reale (p. 53) e definisce la nuova socialità mediata dalla rete come “disincarnata” rispetto a quella materiale e incarnata nei processi storici. Tra le due ci sarebbe la stessa relazione che intercorre tra pornografia e sessualità. L’idea secondo cui l’utente della rete tende a considerare lo schermo del computer come unica porta d’accesso alla realtà insiste forse su un paradigma obsoleto – da altri definito dualismo digitale – e impedisce di cogliere la totale integrazione tra il livello comunicativo-virtuale e quello della realtà fisica. Un’integrazione che sotto alcuni aspetti può essere ancor più pericolosa delle nuove forme di alienazione imposte dal digitale. Alcuni temi di questo approccio neocritico alla rete ritornano in un capitolo dal titolo davvero ammirevole: “La realtà come costruzione virale”. In esso si argomenta come l’interazione tra viralità e l’immediatezza del tempo reale impatta sui modi di costruzione/rappresentazione della realtà sociale, modificandola in base alle proprie funzioni. Per questo motivo Dal Lago riprende i temi di una più generale mutazione antropologica che ha dato vita al “soggetto digitale”, anche se quest’ultimo è ben diverso dal soggetto che ha abitato la cultura e la politica moderna. Molto distante dall’americano medio tipicamente eterodiretto che animava La folla solitaria di Riesman, il soggetto digitale ha semmai un problema di eccesso di autodirezione.
Da ciò deriva anche uno smembramento drammatico del popolo in una molteplicità irriducibile di punti di vista e interessi di gruppi che utilizzano il web per amplificare i propri messaggi: “gli operai del Michigan che hanno votato Trump, gli agricoltori impoveriti del Midwest, gli studenti radicali dei campus, i Latinos, gli attivisti per i diritti LGBT… non possono essere rappresentati, tantomeno unificati da un’idea di medietà” (p. 67). L’unico comune denominatore tra tutti questi è l’essere in vario modo soggetti digitali, che appunto aderiscono alla modalità “disincarnata” d’azione mediata dal web. Dal Lago denuncia la crescente sparizione dei momenti “tradizionalmente sociali” della vita e del dibattito pubblico (p. 68), insieme allo svanimento delle esperienze faccia a faccia in “favore di mere estensioni digitali” (p. 69). Se è vero che questo processo di desertificazione sociale è una minaccia anche per altri mercati, come ad esempio la moda in cui l’esperienza urbana dello shopping potrebbe essere sostituita totalmente dall’e-commerce e dai sistemi di delivery (l’autore fa l’esempio di Amazon), è anche vero che questo è solo il più radicale e forse meno probabile tra gli scenari possibili (quello che io chiamo “isolation”), mentre invece il più probabile ci racconta di una sostanziale fusione tra mondo digitale e fisico, tra bit e atomi, in nuove modalità d’interazione al contempo reali e virtuali. Dopo un’analisi impeccabile sulla trasformazione sistemica, l’autore torna a insistere sulla dimensione psicologica con immagini che talvolta hanno il sapore di un’altra epoca. Come “la persona in carne e ossa seduta davanti allo schermo” che in tal modo “acquista una seconda identità o meglio perde quella relazionale e sociale a favore di una virtuale” (p. 73).
Il discorso di Dal Lago si mostra molto più efficace nella disamina delle pratiche linguistiche concrete, come nel caso dell’analisi degli articoli e dei post che alimentano il dibattito online e offline sull’immigrazione. La stessa trasformazione della dialettica politica a opera di trolls, haters ecc. dimostra questo cambiamento qualitativo del dibattito pubblico, dato che certe espressioni offensive non potrebbero essere usate in una situazione “reale” senza degenerare nello scontro fisico. Cosicché, come anche Mark Thompson (2017), Dal Lago denuncia il fatto che “lo stile prevalente dei dibattiti online sta creando una cultura linguistica del tutto coerente con le iperboli del populismo digitale” (p. 84). Di particolare interesse sono le pagine in cui si elencano le caratteristiche del fenomeno squisitamente televisivo del peronismo, per confrontarle con quelle dei diversi digital-populismi di oggi. Una riflessione che consente all’autore di introdurre il concetto di para-fascismo, riferito specialmente al Movimento 5 Stelle, dalla “arroganza bislacca del capo” alla sua “passione per i plebisciti e per le performance sportivo-pubblicitarie” (p. 113).
Tale definizione ha ovviamente fatto risentire gli attivisti e i simpatizzanti del Movimento che, in una sorta di chiusura del circuito, hanno risposto con toni polemici sul profilo Facebook dell’autore. A differenza di altri studiosi di sinistra che stanno rivalutando il discorso populista con maggiore cautela – come Carlo Formenti ne La variante populista che insiste molto più sulla reazione del populismo contro il comune nemico della finanza globalista – Dal Lago non concede alcuna legittimazione né alla retorica, né alla pretesa neutralità post-ideologica del populismo, insistendo invece sulla sua matrice identitaria e autoritaria, propria dell’ideologia forte che lo ha preceduto.