Abbiamo visto “ Il concerto “ diretto da Radu Mihaileanu.
Sentirete parlare molto bene di questo film; vi diranno che è commovente, ma anche ironico e divertente. Se ascolterete gli addetti ai lavori, sentirete commenti come un “ film costruito bene “, “ è un film vitale e commovente allo stesso tempo”, “ un film di altri tempi “. Il pubblico in sala è ultracinquantenne, ride, ascolta in silenzio i dodici minuti finali di Cajkovskij e applaude sui titoli di coda. Quindi è un film perfetto ? No, è un film godibile, narrativamente con parecchie incongruenze, un bel montaggio finale, qualche facile battuta sul gioco delle lingue differenti, il maestro russo saluta l’orchestrale francese con la parola ‘erezione’ e la musicista risponde “ il solito calore slavo “. Tuttavia è una storia originale che racconta una realtà ancora poco conosciuta: la condizione esistenziale degli ebrei che sono vissuti sotto il totalitarismo sovietico. Il regista franco-rumeno Mihaileanu ( Train de vie ) ci ha abituati al suo stile ‘leggero’ e giocoso su temi serissimi se non drammatici come la persecuzione, la sopraffazione, la solidarietà tra sconfitti. E Il concerto finale di Cajkovskij può essere interpretato come una metafora dei rapporti fondamentali tra il singolo e la collettività: tutti gli strumenti sono complementari e devono suonar bene e all’unisono per trovare armonia e benessere. Un richiamo alla collettività in un’epoca dominata dall’individualismo ( tematica affrontata da Fellini in Prova d’Orchestra ).
Andrey Filipov è stato un grande direttore d’orchestra, ma negli anni Ottanta non ha obbedito a un ordine di Breznev di cacciare i musicisti ebrei dal Bolshoi. Da allora lavora ancora nel teatro ma come inserviente e sogna sempre di dirigere l’orchestra ma senza speranza. Mezzo alcolizzato, con gli amici scomparsi o dispersi e con una moglie che lavora sempre, l’uomo non sembra avere che una vita finita. Una notte, mentre sta pulendo l’ufficio del direttore intercetta un fax, c’è l’invito da parte del teatro Chatelet di Parigi. Decide di riscattarsi dalle umiliazioni di trentanni con l’inganno, accettando l’ingaggio al posto dell’orchestra ufficiale. Riunisce i vecchi compagni di concerto e qualche improbabile musicista, contatta un vecchio dirigente comunista del Teatro e organizzano l’imbroglio. “ Il concerto “ prende in giro quel che è rimasto della vecchia Russia, gli ebrei e la loro capacità di arrangiarsi, gli ex-comunisti e la loro nostalgia, gli zingari e i loro imbrogli. Ma anche i miliardari putiniani con le guardie del corpo armate di kalasnikov. In questo imbroglio poco probabile e senza intoppi il regista è bravo a sorvolare su tutto quello che è improbabile; nell’allegra e sgangherata brigata ci sono il vecchio irriducibile comunista che sogna di andare a Parigi e incontrare i vecchissimi e molto scarsi compagni francesi, c’è lo sponsor che è il re del gas russo e ha l’hobby del violoncello, ci sono degli ebrei che vogliono andare a Parigi più per vendere dei telefonini cinesi che non per suonare, zingari che vengono solo per la diaria e per bere tutto il tempo. All’aeroporto gli zingari preparano in un baleno finti passaporti per tutti, a Parigi si daranno alla pazza gioia e ricompariranno miracolosamente al teatro Chatelet giusto in tempo per il concerto. Che naturalmente sarà un trionfo e cambierà la vita di Filipov e non solo la sua.
Tutti bravi gli attori, credibili e sconosciuti in Occidente, tranne Miou Miou, quasi irriconoscibile.