Abbiamo visto “ Lourdes “ regia di Jessica Hausner.
Lourdes è uno di quei buoni film passati all’ultimo Festival di Venezia, ha ottenuto il Premio Fipresci come miglior film, il premio Signis e altri premi collaterali. E’ un racconto sempre in bilico tra fideismo e blasfemia, realizzato con tono apparentemente asettico e freddo. Così ascetico per certi versi che riesce a coniugare senza sortire fratture la musica di Schubert e Bach con quella di Albano e Romina e Fred Bongusto; mostra dei Pellegrini tanto credenti quanto pusillanimi e modesti spiritualmente, fa chiedere domande spirituali importanti a pellegrini ( “ Padre, Dio è buono o è onnipotente ? E se è buono perché non salva tutti ? ) e gendarmi dell’Ordine di Malta e fa dare risposte dal prete-accompagnatore che risultano esauste ed evasive ( “ Non possiamo sondare la volontà di nostro Signore “ ); fa dire a un medico che visita una miracolata: forse non dura, comunque stia il più possibile all’aria aperta. E chi è la miracolata ? Una signorina sfortunata che non sembra nemmeno tanto credente ma solo una gentile e dolce ragazza con una gran voglia di vivere. Forse proprio per questo stile sottilmente irridente ci potrebbe far dire che è un cinema che ci ricorda Bunuel: ma in questo caso, siamo noi forse a essere blasfemi nel paragone. Nel Maestro Bunuel c’era una carica sovversiva e provocatoria degna dei suoi tempi, tempi molto differenti e imparagonabili. Probabilmente in alcuni passaggi ci ricorda più da vicino il primo Walerian Borowczyk e segue lo scetticismo di Kaurismäki. Il film è girato con stile documentaristico, inquadrature fisse e lunghe ( ogni azione è inserita sapientemente in un’armonia di geometrie ) e interni iper-oggettivi e asettici. Ogni scena corrisponde a un quadro fisso ( da segnalare, la sequenza iniziale della silenziosa e apatica preparazione della sala da pranzo per i malati ). E i dialoghi sono così essenziali che non riusciamo a sentire la voce della madre-accompagnatrice della protagonista.
La giovane donna si chiama Christine, è da anni bloccata su di una sedia a rotelle dalla sclerosi multipla. Rassegnata ma non doma della sua condizione di paralizzata, decide un pellegrinaggio a Lourdes, come tutti spera in un miracolo o almeno in un miglioramento della sua condizione. Ma la sua speranza non sembra legata alla fede ma solo alla voglia di vivere. Voglia di vivere che si manifesta nello stare con gli altri malati e accompagnatori, nel cercare la conversazione con i giovani volontari dell’organizzazione, nel gustare un pasto o un dessert e mostra la sua allegria sorridendo serena e felice. Al viaggio a Lourdes partecipano malati nel fisico e nella mente, tutti parte di un micro mondo abituato alla sofferenza, all’accettazione della solitudine e rinchiusi nel male di vivere. D’un tratto accade il miracolo: Christine, una notte riacquista sensibilità alle dita, poi alle braccia e alle gambe, scende dal letto e va in bagno a pettinarsi. La guarigione improvvisa sorprende tutti e fa scattare negli altri invidie perfide e crudeli. Christine dolcemente allegra si gode il piccolo momento di felicità, sotto lo sguardo invidioso e accusatorio di molti che quando la vedono di nuovo in difficoltà sembrano sollevati “ dall’ingiustizia “.
I personaggi del film sono molti ma le protagoniste sono due. Christine, giovane donna dolce e curiosa, delicata e riservata. Sembra quasi “ perfetta “ ma ha un momento in cui sfoga tutto il suo dolore e il suo male di vivere che in effetti la divora, nel confessionale si dichiara colpevole di invidia per le persone sane e ‘normali’. L’altra protagonista è Lourdes, un luogo di dolori estremi, di disfacimento fisico, morale e spirituale, dove l’aspetto del business turistico e la mercificazione del luogo di culto, con le sue bacheche di souvenirs e l’organizzazione maniacale, da tour operator la rendono degna del golgota: tuttavia la regista ( “ Lovely Rita “, il suo primo lungometraggio, “ Hotel “, il suo secondo del 2005 ) si muove in questi meandri con leggerezza e freddezza,mostrandoci tutte le dinamiche che scaturiscono quando si parla dei “ massimi sistemi “ sull’essere umano, il suo dolore, la sua sofferenza e il suo bisogno di sacro.