Gli americani che credono alla superiorità della razza bianca (noti con il brutto ma inevitabile calco semantico di “suprematisti bianchi”) hanno ricevuto un brutto colpo al loro orgoglio quando hanno dovuto sopportare per otto anni un presidente nero alla Casa Bianca.
Il trionfo di un razzista come Trump negli Stati Uniti si spiega, in parte, come una rivincita: i bianchi che si sono sentiti umiliati da un Obama che li superava in fascino e intelligenza non hanno mai potuto digerire quell’affronto e hanno architettato questa vendetta. Quegli elettori sono stati la minoranza degli statunitensi (Trump ha perso in termini di voto popolare di quasi tre milioni), ma hanno saputo gestire molto bene la divisione del paese in collegi elettorali, e in quel conteggio hanno ottenuto una vittoria indiscutibile.
Le ricorrenti menzogne
Il passato razzista di Trump era noto da prima che fosse eletto. Aveva alle spalle una storia di discriminazione contro i neri e gli ispanici. David Leonhardt, columnist del New York Times, ha ricordato che nel 1989 Trump pubblicò annunci a tutta pagina a pagamento sulla stampa per chiedere la pena di morte per cinque adolescenti neri e ispanici (dai quattordici ai sedici anni) accusati di aver stuprato una donna bianca a Central park. Per quella campagna spese la bellezza di 85mila dollari.
Il gruppo di Harlem fu condannato, ma quindici anni dopo, grazie alle nuove tecniche di analisi dello sperma e in seguito alla confessione del vero colpevole, tutti quegli ex ragazzi sono stati rimessi in libertà. Secondo Leonhardt, fino all’anno scorso Trump continuava a sostenere che quei ragazzi erano colpevoli, anche se la prova del dna li aveva scagionati del tutto dal 2006. Se fosse stato per Trump, li avrebbero uccisi sulla sedia elettrica e l’errore giudiziario sarebbe stato riconosciuto post mortem.
Altri precedenti razzisti di Trump comprendono il tentativo di porre il veto su un giudice federale nato in Indiana, Gonzalo Curiel, semplicemente per le sue origini messicane. A proposito degli stessi messicani ha detto, con una generalizzazione ridicola, che sono “stupratori”. E nel suo passato come imprenditore immobiliare è stato denunciato perché avrebbe suggerito di non affittare i suoi appartamenti agli afroamericani, ma a ebrei o a manager bianchi. A questo si aggiunge la sua insistente menzogna sulla nazionalità di Obama (che ha ripetutamente accusato di non essere nato negli Stati Uniti, anche se Obama aveva diffuso pubblicamente il suo certificato di nascita).
Un altro record
Questa settimana ha segnato un altro record nel suo evidente razzismo parlando di Haiti e dei paesi africani come “shithole countries”, ovvero paesi di merda. Si tratta di un’espressione molto forte in inglese, tanto che un bot dedicato a registrare le parole mai stampate dal New York Times nella sua storia centenaria ha aggiunto via Twitter “shithole”.
Il razzismo non è solo spregevole da un punto di vista etico, ma è anche una manifestazione di pseudoscienza e di biologia distorta. Se si conosce la storia dell’homo sapiens, se si analizzano (paragonando il dna di persone di tutti i continenti e di tutti i paesi) gli innumerevoli incroci di tutti gli antenati umani in seguito alla diffusione nel mondo dall’Africa, si capisce che quello che i nostri occhi considerano come razza (il colore dei capelli o della pelle, la forma del naso, le dimensioni del corpo o il tipo di occhi) sono variazioni insignificanti in un meticciato così vasto che a volte è possibile trovare un africano e un norvegese (per fare un paragone con un paese amato da Trump) più simili geneticamente di quanto non lo siano due norvegesi.
La cosa brutta è che la bassezza morale e l’ignoranza di Trump fanno rivivere in milioni di persone i peggiori pregiudizi e le infamie peggiori di cui la nostra specie è capace. Attonito, il mondo intero si rende conto della disgrazia che comporta avere un essere così volgare come leader del paese più potente del mondo.
(Traduzione di Francesca Rossetti)