Intervista al prof. Carlo Galli: “Condanna a Orban è controproducente”
Lo storico di dottrine politiche: “Il diavolo nega che il diavolo esista. Così tra destra e sinistra: la prima nega differenze, la seconda cade nel tranello”
Il cortocircuito si innesca guardando al passato: “Il Pci, oggi, verrebbe definito sovranista”. Storico delle dottrine politiche all’Università di Bologna, interprete del pensiero moderno e contemporaneo, il professor Carlo Galli sostiene che, dopo il crollo del muro di Berlino, l’adesione entusiastica alla globalizzazione dei partiti ex comunisti, socialisti e laburisti europei li abbia “impiccati” a un modello che si è “sfasciato”, facendogli perdere il senso dell’orientamento: “La sovranità è un concetto talmente democratico che è richiamato nel primo articolo della nostra Costituzione. Oggi, invece, chiunque contesti la mondializzazione viene considerato una fascista. Storicamente, però, la sinistra ha sempre avversato il trasferimento del potere fuori dai confini dello Stato, basti pensare alla critica che i comunisti italiani opposero alla Nato e, per molti anni, al Mercato comune europeo”.
Secondo Galli, la notizia della scomparsa della distinzione tra destra e sinistra è fortemente esagerata, e sabato 15 settembre, a Lecce, in occasione delle Giornate del Lavoro 2018 organizzate dalla Cgil, terrà una lectio magistralis – che anticipa ad HuffPost – per dimostrarlo: “Il diavolo per prima cosa nega che il diavolo esista. Così accade per la differenza tra destra e sinistra: la destra nega che esistano differenze. E la sinistra cade in questo tranello. Ci sarà sempre una differenza di potere tra chi controlla il capitale e chi dal capitale è controllato. Tra chi produce valore lavorando e chi di quel valore si appropria. Per questo la distinzione tra destra e sinistra non scomparirà mai”.
La contrapposizione tra popolo ed élite è falsa?
È vera, ma si aggiunge alla tradizionale frattura tra destra e sinistra, attraversando entrambi i fronti. Ci sono movimenti cosiddetti populisti che, infatti, sono più di destra; e altri che sono più di sinistra.
Perché la sinistra è più in difficoltà allora?
Perché la sua pigrizia mentale le fa considerare la richiesta di protezione – che c’è nella società – come un istinto razzistico, o xenofobo.
Non ci sono queste pulsioni?
No, ci sono anche queste pulsioni nella società: ma è scellerato dare questo nome alle legittime richieste di sicurezza sociale che vengono da quelle persone le cui vite sono state sempre più esposte all’incertezza dalla crisi.
Perché la sinistra non intercetta più queste domande?
Perché, soprattutto la sinistra italiana, ha smesso di analizzare la realtà: preferisce nascondersi dietro il vecchissimo copione dell’antifascismo moralistico e considerare più della metà dei cittadini italiani barbari che stanno assaltando le fondamenta della civiltà. Ma quello che sta accadendo – l’abbiamo visto alle elezioni del 4 marzo – non è una sventura divina che viene dal cielo: è il prodotto di fenomeni che si sono verificati dentro la nostra società.
La destra è più capace di comprendere la realtà?
No, ma non ne ha bisogno, perché le basta essere spregiudicata. La destra politica riconosce e dà un nome alle inquietudini del nostro tempo, ma fornisce dei capri espiatori: gli immigrati, i complotti internazionali, il politicamente corretto. E se, a volte, la destra si spinge ad accusare il capitalismo finanziario, non giunge mai a una critica del capitalismo in quanto tale.
Perché il capitalismo dovrebbe essere considerato un nemico?
Il capitalismo, lasciato a se stesso, tende a distruggere la società. Compito della politica è costringerlo ad adattarsi alle esigenze della democrazia, regolandolo, mettendo dei limiti, tutelando gli interessi dei suoi cittadini, lasciando che il conflitto sociale si manifesti.
A volte, però, gli stati hanno meno forza delle multinazionali.
Ma spesso nemmeno provano a scontrarsi con questi colossi. Cedono preventivamente. Anche se non è detto che siano sempre destinati a perdere il duello.
Un Europa più sovrana avrebbe più potere negoziale?
In teoria, sì.
E in pratica?
In pratica, nessuno stato europeo ha veramente in agenda la costruzione di una sovranità europea. Anche perché la costruzione della sovranità è uno dei processi più distruttivi della storia umana. Le sovranità degli stati si sono formate nel sangue della guerra civile o nel furore delle rivoluzioni. Mai una sovranità è nata perché qualcuno intorno a un tavolo ha trasferito pacificamente a un soggetto terzo il diritto di tassare, di formare un esercito, detenere il monopolio della violenza, individuare gli interessi strategici di una comunità.
Senza sangue l’Europa politica non nascerà mai?
È molto difficile che la formazione di una sovranità europea si possa formare senza conflitto; anzi, se si guarda alle carneficine che sono avvenute nella storia, è difficile augurarsi che ciò accada.
Eppure, il parlamento europeo ha condannato uno dei suoi membri, l’Ungheria di Viktor Orbán.
Orbán è un leader detestabile, degno erede della tradizione autoritaria ungherese. Tuttavia, la condanna europea è controproducente, e perciò sbagliata. Ogni volta che una entità sovranazionale ha giudicato e punito uno Stato – pensi alle sanzioni inferte dalla Società delle Nazioni al regime fascista – non ha ottenuto altro risultato che compattare la nazione intorno al proprio capo. Anche nel caso del giudizio espresso dall’Onu sull’Italia (“è un Paese razzista”), sarebbe meglio evitare di cadere nel ridicolo.
Qualcuno l’ha mai accusata di essere un populista?
No, ma in compenso sono stato spesso tacciato di scellerato elitismo.
Nella scorsa legislatura è stato eletto con il Pd.
Ne sono uscito dopo due anni e mezzo per entrare prima nel gruppo di Sinistra italiana, poi di Articolo 1, dal momento che nel Partito Democratico è rimasto assai poco della tradizione di sinistra.
Lei, invece, che cosa conserva?
Il metodo di analisi della realtà che viene da Gramsci, che utilizzo senza dogmi e arricchendolo di altri apporti.
In cosa consiste?
Nel comprendere i fenomeni politici e sociali – e loro contraddizioni – senza dare giudizi etici e morali, poiché la politica non si fa con i padre nostri.