Inge Feltrinelli è stata forse l’ultima regina dell’editoria internazionale.
In Italia ha sostenuto con straordinaria vitalità, lucidità ed energia lo sviluppo della casa editrice e soprattutto della catena di librerie che si era trovata a dover governare in un momento difficilissimo, dopo la tragica morte di Giangiacomo Feltrinelli sotto il traliccio di Segrate nel 1972, con il loro figlio Carlo ancora ragazzino.
La biografia – ma era già leggenda – la vuole bambina, Inge Schoental, figlia di padre ebreo, che sopravvive nella Germania nazista. Poi è la giovane, bella e talentuosa fotografa che diventa amica dei grandi scrittori del momento. Alla fine degli anni Cinquanta è la compagna di Giangiacomo, geniale e inquieto, ricchissimo e comunistissimo, quando diventa l’editore del momento con la pubblicazione di due best seller mondiali come Il Gattopardo e Il dottor Zivago, ma irritando molto il PCI, che fino a quel momento aveva sostenuto e finanziato.
Negli ultimi decenni era ‘la Inge’, leader di una delle imprese culturali più innovative di un paese arretrato, in grado di superare le crisi dell’economia e dell’editoria, pubblicando Premi Nobel (solo per fare qualche nome, oltre a Pasternak, Grass, Garcia Marquez, Gordimer, Saramago) e autori di cassetta, e governando l’espansione dell’unica vera catena di librerie presente in Italia, il polmone della casa editrice.
Di questo editore orgogliosamente indipendente e sorretto dalla forza delle librerie, Inge era il volto. Ci metteva la faccia, una simpatia immediata e contagiosa, fatta di energia e di ironia. Accoglieva e conquistava gli scrittori con la sua personalità e la sua franchezza. Alla sua missione ci credeva e si divertiva. In apparenza sopra le righe, coloratissima, e invece perfetta.
Era una delle rare regine di un club aristocratico ed esclusivo. Fino all’irruzione di un parvenu come Amazon – e per certi aspetti anche dopo–, il Gotha dell’editoria mondiale era una ristretta oligarchia, nutrita di contatti internazionali, di rivalità, gelosie, e persino amicizie, che però riconosceva e rispettava le affinità condivise e aveva resistito persino alla finanziarizzazione e ai processi di concentrazione dell’editoria mondiale. Qualche decina di personalità per molti aspetti straordinarie, in grado di unire profonde competenze culturali, fiuto per i nuovi talenti e doti di venditore (oggi diremmo di marketing). Vivevano nelle poche capitali mondiali dell’editoria, New York, Londra e Parigi, con qualche propaggine nella policentrica Germania, a Barcellona e a Milano. Prima dell’avvento delle e-mail e del web, la Buchmesse di Francoforte, tra lo Hessischer Hof e il Frankfurter Hof (i due hotel più chic della città) era l’occasione in cui questa èlite di editori, con qualche agente letterario, poteva incontrarsi e decidere le sorti non solo del singolo autore ma fare il punto sullo stato di salute e sulle prospettive dell’editoria mondiale.
In questo piccolo mondo, fatto di rari grandi editori ossessionati dall’amore per il libro e dall’ansia di scoprire il nuovo Hemingway, ovvero l’autore in grado di vendere milioni di copie e insieme di vincere il Nobel, Inge è stata per decenni una delle protagoniste, uno straordinario biglietto dal visita per tutta l’editoria italiana.
In quel mondo dove ogni tanto l’arte e il mercato si ritrovavano magicamente alleati, dove vigevano rispetto e fair play – entro certi limiti -, dove le lingue e le culture si incontravano e si scambiavano i loro ”prodotti” migliori, partendo dal presupposto che la cultura e la bellezza vanno condivise. E magari ci si guadagna pure.
Inge era un ingrediente indispensabile, a partire dalla sua attenzione e dalla sua curiosità. Che sono poi le doti indispensabili a chi voglia occuparsi di libri. Magari con scanzonata leggerezza. Almeno in apparenza.