In un sondaggio del 1987 fu chiesto ai francesi chi fosse il loro attore preferito. Sorprendentemente, non vinse né Alain Delon né Jean-Paul Belmondo, ma un immigrato italiano: Lino Ventura. È un nome che in Italia si sente poco. Come la sua voce – quella erre un po’ roulé addolcita da un lieve accento parmigiano, alla Bernardo Bertolucci – inspiegabilmente doppiata in quasi tutti i suoi film apparsi in Italia. Eppure, ovunque tranne che in patria, Lino Ventura è l’attore italiano per eccellenza.
Nel 2019 cadrà il centenario della nascita di Lino Ventura, nato a Parma il 14 luglio 1919, morto a Parigi il 22 ottobre 1987. L’attore, in trentaquattro anni di attività, ha girato 74 film. A Parigi, nel nono arrondissement, un decennio dopo la sua morte, è stata dedicata a Lino un’intera piazza. Ventura ha girato film importanti: Touchez pas au grisbi (Grisbì) di Jacques Becker (1953), Ascenseur pour l’échafaud (Ascensore per l’inferno) di Louis Malle (1957), Classe tous risques (Asfalto che scotta) di Claude Sautet (1959), L’armée des ombres (L’armata degli eroi) di Jean-Pierre Melville (1969), Le clan des siciliens (Il clan dei siciliani) di Henri Verneuil, La bonne année (Una donna e una canaglia) di Claude Lelouch (1973), Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi (1976), Garde à vue (Guardato a vista) di Claude Miller (1981), Cento giorni a Palermo di Giuseppe Ferrara (1984).
La vicenda umana di Lino Ventura è interessante non solo per la carriera d’attore. È esemplare anche della storia dell’emigrazione italiana del Novecento.
Lino, all’anagrafe «Angiolino, Giuseppe, Pasquale», è figlio di Giovanni e di Luisa Borrini. Il 7 giugno 1926, Luisa e il piccolo Lino, abbandonati da Giovanni, arrivano a Parigi. La vita del piccolo migrante è difficile, umiliante, penosa. Il riscatto avviene con lo sport, dopo aver partecipato in Francia alla Resistenza. Nel 1953, «per caso», Ventura è scelto dal regista Jacques Becker (allievo di Renoir) per una parte importante da contrapporre al mitico Jean Gabin. Nasce una nuova stella del cinema: Lino Ventura conquista spettatori e critici al suo primo film, Touchez pas au grisbi (Grisbì). I francesi sono incantati da questo atletico italiano, che ha rischiato di morire fucilato durante la Seconda guerra mondiale, per aver disertato l’esercito di Mussolini e aver fatto parte – con il soprannome di «L’Italien» – alla guerra partigiana sotto l’occupazione tedesca. Benché impegnato gloriosamente nella Resistenza, Ventura non mancò di allacciare una sincera amicizia, difesa sempre a spada tratta, con José Giovanni, accusato viceversa di collaborazionismo, in losche vicende marsigliesi, nei più neri fra tutti i giorni della storia francese. Con Giovanni l’attore farà i film più riusciti: Le rapace (Il rapace) del 1968, Dernier domicile connu (Ultimo domicilio conosciuto) del 1969, Le ruffian (Una cascata tutta d’oro) del 1983.
È strano notare come la figura di Ventura, una star del cinema mondiale, sia stata sinora completamente snobbata in Italia! Proprio lui che ci tenne a conservare la cittadinanza italiana, rifiutando le onorificenze francesi e accettando quelle italiane. Per un’incredibile bizzarria, infatti, solo nel Bel Paese, Ventura è considerato «un attore francese», mentre per il resto del mondo Lino è l’attore italiano per eccellenza. Forse perché i film italiani di Ventura, con registi come Rosi e Ferrara, erano troppo “moderni” o “politici” per la critica cinematografica italiana, attenta in quegli anni più ai registi e alle loro scelte letterarie e stilistiche che agli attori, alle sceneggiature e al cinema tout court.
Lino Ventura, oggi, ci manca tantissimo. Chi scrive vorrebbe poter ammirare lo sguardo penetrante di quegli occhi scuri, la voce calda, i movimenti lenti del corpo… Amo il cinema e Lino ci manca non solo come attore, ma come uomo: perché c’era tanto altro in lui. C’era il fascino naturale della persona intelligente, unica con una vita dura e straordinaria alle spalle.
Di lui ci restano scene memorabili dai suoi film. Da La Bonne Année, le riflessioni con la bellissima Françoise Fabian: «Il matrimonio che cosa è? È un contratto, e i contratti di solito sono fatti per chi ha paura. Per me il matrimonio, è la paura della solitudine, della libertà! Perché la vera libertà porta sempre alla solitudine! È la paura di trovarsi una sera solo con due uova al tegamino, senza la tv, senza la pensione… O se lo preferisce è la paura di trovarsi soli senza un altro che in fondo ha più paura di te, ecco! È la prigione? Oh no, è peggio, in prigione ci sono i compagni!».
Di lui ci restano memorabili interpretazioni. Lino Ventura appare l’attore giusto per interpretare protagonisti letterari come Jean Valjean di Hugo o il commissario Rogas di Sciascia. Il film I miserabili di Robert Hossein è impensabile senza Ventura.
Quando il cinema affronta la letteratura si espone a grossi pericoli, ma se la combinazione è condotta con intelligenza i due “valori” possono sommarsi e favorirsi reciprocamente. Così funziona il film Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi. Charles Vanel che all’inizio del film passeggia tra le mummie di Palermo, e soprattutto il serrato dialogo tra Max von Sydow e Lino Ventura, sono un importante rilancio di suggestione rispetto alla pura parola. In questo caso la connessione funziona, in assenza cioè di introspezione. Infine, la forza comunicativa e il sex appeal del divo Lino Ventura non devono essere considerati valori tolti al romanzo, ma valori aggiunti.
Sposato a Odette, padre di quattro figli, Ventura, a partire dagli anni Sessanta ha aiutato i bambini diversamente abili e le loro famiglie con i suoi soldi, cercando fondi con manifestazioni pubbliche. Ha creato istituti di ricerca medica e l’associazione umanitaria «Perce-Neige», che sopravvive, dopo la sua morte, come Fondazione. L’associazione nacque nel 1966 dopo un appello di Ventura alla televisione francese: «C’è dunque questo problema fondamentale che tormenta le notti insonni di tutti i genitori: quando noi moriremo, che ne sarà di loro?». «Loro» sono i bambini portatori di handicap mentale. Ventura, in Francia, anticipava di cinquant’anni la legge sul dopo di noi, approvata in Italia solo nel 2016.