Abbiamo visto “ Santiago, Italia “ regia di Nanni Moretti.
Genere Documentario, 2018, durata 80 minuti. Uscita cinema giovedì 6 dicembre, distribuito da Academy Two.
Non sembri una provocazione, ma con il documentario di Nanni Moretti siamo più vicini a quelli realizzati da Walter Veltroni che non sulla scia dei Joris Ivens o su quelli realizzati da Cartier-Bresson in Spagna durante la Guerra Civile. Certo è difficile per un regista di oltre sessant’anni reinventarsi grande documentarista, ma dal talento del regista romano ci si sarebbe potuti aspettare qualcosa in più che non fosse un delicato – e forse elegiaco – come eravamo noi di sinistra ( gentili… generosi… quasi pacifici… ) sia in Cile che in Italia. Soprattutto in tempi così bui, in cui si sente il bisogno di ritrovare dei punti fermi da cui ripartire e non andarsi a riparare nella storia passata. Santiago, Italia, dispiace dirlo, sembra un lezioncina morigerata di storia, un’impaginazione di materiali quasi scolastica, uno svolgimento per chi sa già tutto dei fatti, li ha condivisi ed è solidale col tempo che fu ( e non si sa se è un caso che in sala non ci siano che ultracinquantenni e persone con i capelli bianchi, con gli occhi umidi e con l’applauso finale ). Con questa impostazione gentile, senza alcuna rabbia fredda e ‘ politica ‘ ( non basta dire soltanto: io non sono imparziale ) anche chi è stato un assassino o un boia appare meno fetido di quello che è stato.
Con una scelta registica divisa in quadri storici ( premesse, golpe, solidarietà dell’ambasciata italiana e Italia degli Anni Settanta ) – sempre tutto gentile e un po’ stucchevole – e con riprese fisse di alcuni protagonisti, a mezzo busto, sopravvissuti, il racconto plana tra un po’ di commozione, fatti fin troppo risaputi e nessuna analisi politica post: è possibile che un documentario su un terribile golpe successo 45 anni fa non meriti un’analisi lucida ma si voglia soprattutto parlare dell’ieri per dire che oggi siamo cambiati e cinici ? Almeno accennare alla decisone di Nixon e di Kissinger di intervenire, alle assicurazioni americane preoccupate di dover pagare i proprietari delle miniere di rame nazionalizzate, a un Cile diviso in due parti uguali ben precise e che si odiavano tra loro ( e non la maggioranza buona e di sinistra e un’estrema minoranza violenta e ottusa ), alla convinzione errata di Allende di fidarsi dell’esercito e di Pinochet, alla scelta politica di Allende di non armare il popolo ( un tentativo di preparazione del golpe era già avvenuto in giugno ma era sceso in piazza il popolo di sinistra ed aveva circondato il palazzo presidenziale al grido: Allende, il popolo ti difende ), alla sua scelta di morire per dimostrare di essere nel giusto; e, piccolo dettaglio, del racconto della vita dei 250 cileni riparati nell’ambasciata italiana, è far sparire del tutto un signore che si chiama Silvano Girotto, noto come Padre Leone e conosciuto col soprannome di Frate Mitra, che tornato in Italia collabora con i servizi italiani infiltrandosi nelle Brigate Rosse e facendo arrestare Curcio e Franceschini.
Insomma un documentario che a noi risulta fatto con uno stile troppo elementare e quasi televisivo, e che mostra un po’ la ‘ stanchezza ‘ dell’autore, che è certamente lo smarrimento di quell’area politica che ha perso identità sia culturale che politica.
Per concludere, il titolo, Santiago Italia – efficace se fosse provocatorio – ma non ci sembra storicamente paragonabile il Cile dei primi Anni Settanta con l’Italia di oggi; fosse solo perché non esiste più una sinistra ( tantomeno quella popularista e terzomondista di quell’epoca ), un genocidio culturale è già avvenuto in Italia e la destra pur feroce non potrà mai lasciarsi andare alle torture negli stadi, i loro leader sono troppo tifosi per rinunciare ad una partita di calcio.