Da dove torni
Si siede a tavola e i suoi occhi sono laghi di tristezza. Non l’ho mai vista prima. Il marito è gentile: ha scostato la sedia per farla accomodare. Lei ha ringraziato a bassa voce, gli occhi già sul piatto. Si è specchiata nella porcellana splendente, ha ripescato un sorriso dall’abisso. Dev’essere cominciata un anno fa. Sulle prime ha provato a resistere, a scacciare la tentazione. Si è infilata in un viaggio di lavoro del marito all’ultimo momento. A destinazione, gli ha dimostrato una passione che sembrava memoria. Stava solo cercando di dimenticare un’altra possibilità, di chiudere la porta. Un attimo prima di farlo l’ha spalancata. Ha amato un altro uomo perché le ricordava un’altra vita, non la faceva sentire madre o moglie, ma donna. Alludeva a Parigi, o New York, non come vacanza ma come residenza. E’ stato dolorosamente perfetto finché è durato.
Quando finisce un matrimonio o una relazione ufficiale donne e uomini sono disperati, se lo possono permettere. Quando finisce una cosa così sono di una tristezza senza uguali perché se la debbono tenere dentro, mentre si affannano a evocare il sollievo della sopravvivenza condivisa. E’ un lutto senza funerale, di lacrime nei bagni di un ristorante, non ci sono feticci del passato sepolto, nessuno verrà a dare conforto. Lei prova a darselo da sola, scuote i capelli, mangia, chiacchiera.
Sono l’unico a tavola a capire da dove è appena tornata.