Valentina Cortese, nata a Milano il 1° gennaio 1923 (96 anni). Attrice. «La cosa che mi commuove sempre è stata l’infanzia con le stalle, i carrozzoni di fieno e i ragazzi che sognavo di sposare. Quel foulard in testa, el riòtt, non è snob e non copre la calvizie, ma cita il fazzoletto che tenevano le campagnole lavorando per proteggersi dal sole: è una carezza che mi accompagna» • «Raggomitolata in un fiocco di neve sono nata a Milano, il primo gennaio, all’ora del tramonto».
«Figlia di una ragazza che l’aveva nascosta perché frutto di un legame illegittimo. “Mi affidò a una balia, mamma Rina, e io sono cresciuta con lei e i suoi figli ad Agnadello, vicino a Cremona. Persone semplici e vere; e nella miseria, non sapendo che era miseria, si viveva bene anche se si mangiava pane ammuffito. Ho vissuto felice. Ero una bambina caparbia: a sei anni già volevo fare l’attrice, e nessuno dei miei contadini tentò di farmi essere diversa. Questa libertà l’ho preservata anche quando, ormai ragazzina, andai a vivere da mia nonna, a Torino”» (Anna Bandettini).
valentina cortese richard baseheart
«Il debutto avvenne a Rivolta d’Adda a tre anni. In una rappresentazione natalizia era un angelo che doveva recitare una poesia, ma, di fronte al vescovo seduto in prima fila, “ho dimenticato le parole, mi sono agitata e la pipì dell’angioletto è scesa sotto la pedanina, giù, giù fino ai suoi piedi”» (Francesco Mannoni).
A diciassette anni, durante una vacanza a Stresa, conobbe il direttore d’orchestra Victor de Sabata (classe 1892), già sposato e padre di famiglia. «Fu un uomo speciale e meraviglioso. Persi la testa. Lasciai il liceo, mi trasferii a Roma». «Si trasferisce a Roma decisa a intraprendere la carriera d’attrice; ma è troppo giovane per essere ammessa all’Accademia d’arte drammatica, non troppo invece per frequentare la scuola di recitazione della Scalera Film. Guido Salvini, che è uno degli insegnanti dell’Accademia, la nota per primo e le offre un piccolissimo ruolo, quasi una comparsata, nel film che sta preparando sul mondo del teatro, L’orizzonte dipinto (1941), cui fa subito seguito un film prodotto dalla Scalera, Il bravo di Venezia (1941), nel quale è la protagonista femminile.
Bionda, gracile, esile, diafana, Valentina Cortese diventa la fidanzatina ufficiale del cinema fascista, la ragazzina per bene, educata, modesta, a volte un po’ legnosa e sempre, eternamente piagnucolosa per le sue pene d’amore. Piange e soffre a calde lacrime in un altro film dello stesso anno, Primo amore, diretto con competenza da Carmine Gallone. […]
Le cronache rosa dell’epoca chiacchierano molto puntando i riflettori sulla dolce giovane attrice, che viene notata da Blasetti in cerca di una fanciullina dall’aria sognante e trepida da affiancare a due mostri di recitazione (Elisa Cegani e Luisa Ferida) per creare il terzetto delle donne sedotte e abbandonate dal focoso Nazzari in La cena delle beffe (1941).
Il dado è tratto, e Valentina Cortese si trova nei primi anni Quaranta ad essere oggetto di richieste da parte dei produttori di vari film, ma sempre per ruoli legati allo stereotipo della fidanzatina fremente, piagnucolosa o dispettosa. Non contenta, però, dei ruoli che le vengono affidati, decide di dedicarsi al teatro, prendendo serie lezioni di recitazione, e, appena terminata la guerra, è una delle interpreti di maggior richiamo sul palcoscenico a fianco di attori come Carlo Tamberlani in La signorina di Jacques Deval, quindi nell’ottobre 1944 fa parte del folto cast femminile dell’edizione di Donne di Clara Boothe Luce rappresentata al Teatro Valle di Roma per la regia di Lamberto Picasso; […] nella stagione 1945/46 è al Teatro Eliseo di Roma con la Pagnani, Ninchi e Brazzi in Les mal-aimés di François Mauriac e Strano interludio di O’Neill per la regia di Ettore Giannini.
Ma già nell’aprile del 1945 fa parte di una prestigiosa compagine di attori (De Sica, la Cegani, la Proclemer, Massimo Girotti, la Mercader, Pilotto e Annibale Betrone) riuniti da Alessandro Blasetti per due spettacoli teatrali di grande successo, Il tempo e la famiglia Conway di J.B. Priestley e Ma non è una cosa seria di Pirandello. Queste esperienze sul palcoscenico giovano a Valentina Cortese, che affronta più matura e più conscia dei suoi mezzi espressivi i personaggi che le vengono affidati.
Ottiene un meritato successo nel ruolo della maestra in Un americano in vacanza (1945), dove conserva però ancora l’immagine dell’ingenua d’anteguerra; ma a partire dal successivo film, Roma città libera (1946), dimostra una maturità inimmaginabile. Da questo momento in poi è una delle attrici italiane più richieste anche in Gran Bretagna e a Hollywood. Con un contratto del tycoon della Fox, Darryl F. Zanuck, raggiunge la città americana e gira ben tre film. […] A Hollywood, stranamente, le viene modificato il cognome, da Cortese a Cortesa» (Enrico Lancia).
valentina cortese e audrey hepburn
Giunta a Hollywood anche per allontanarsi da De Sabata («Capii che i figli avevano ancora bisogno di lui. Per questo, molto a malincuore, accettai l’invito di andare a Hollywood»), vi trovò nuove esperienze professionali e sentimentali. «”Nei primi mesi era tutto un susseguirsi di incontri con registi e produttori.
Finalmente Jules Dassin mi contattò per girare I corsari della strada: avrei dovuto interpretare il ruolo di una puttana. Quello che non mi aspettavo è che Jules si innamorasse di me. Però accadde”. E lei? “Ero lusingata, perfino attratta. Poi scoprii che era sposato, e che aveva dei figli. Mi disse che stava divorziando. Non volevo assolutamente ricadere in una situazione come quella con Victor.
Ci frequentammo sul set. Restammo buoni amici”» (Antonio Gnoli). «Hollywood fu però anche una severa lezione: conobbe Richard Basehart, Dick, un attore bello e in carriera. Ne venne stregata e fregata: lo sposò nel ’51 a Londra, ma non fu un matrimonio felice. “E poi ci fu il fattaccio. Darryl Zanuck, il grande capo della Fox, mi faceva la corte. Una sera mi invitò a una festa. Capii presto che era una specie di orgia. Lui mi mise le mani addosso.
Gli gettai in faccia il whisky dal bicchiere, urlandogli ‘Fai schifo’, in italiano. Fu il mio grande gesto, ma anche la fine. Mi tenne sotto contratto, ma senza far niente. Tre anni. Poi, finalmente, tornai in Italia”» (Bandettini).
«Valentina torna in Italia, ma nei primi anni Cinquanta non trova ruoli a lei consoni e le sue interpretazioni sono spesso inferiori alle sue capacità, come accade in Lulù (1953). Partecipa a film di coproduzione che conservano l’immagine della bella attrice, ma non le offrono molto, come nell’importante La contessa scalza (1954), dove è però in sottordine rispetto ai divi Humphrey Bogart e Ava Gardner.
bice brichetto, luchino visconti, monica vitti, valentina cortese, mauro bolognini, franco zeffirelli, lucia bose’
Il 1955 è l’anno della sua riscossa sul piano artistico e personale: Michelangelo Antonioni le offre il ruolo forse più bello di tutta la sua carriera d’attrice in Le amiche (1955), un personaggio di struggente malinconia, disegnato magnificamente dall’attrice, che per questa interpretazione viene meritatamente premiata con il Nastro d’argento come attrice non protagonista.
valentina cortese terry gilliam robin williams
Ma dopo questa splendida performance la Cortese ottiene soltanto ruoli di pura routine, anche in produzioni straniere importanti, eccettuato forse lo spagnolo Calabuig (1956) di Berlanga. La fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta le riservano ben pochi ruoli cinematografici. Appare barocca e truccatissima, quasi una maschera grottesca, nel felliniano Giulietta degli spiriti (1965); elegante e distaccata in Barabba (1961) di Fleischer; avida e autoritaria in La vendetta della signora (1964) di Wicki. Preferisce quindi dedicarsi al teatro di prosa, per il quale sente una vocazione intensa» (Lancia). «“Ero una donna sposata ma non felice: Dick mi aveva deluso. Beveva. Non potevo accettarlo, anche per il piccolo Jack, nostro figlio. Fu lì che arrivò Paolo Grassi: mi chiese di andare al Piccolo Teatro per fare Platonov. Un segno del destino. Potevo fuggire da Roma e da Dick”. […] Il Piccolo fu subito Giorgio Strehler, e l’amore pazzo, creativo, violento, vistoso”» (Bandettini).
«E come potevi non innamorarti di un uomo così? Eravamo alle prove di Platonov, lui doveva mostrare a Carraro come abbracciarmi. Salì in scena. Io sentii quelle braccia – col mio primo marito, Richard Basehart, ero in crisi –, pensai “O mio Dio…”. È stato un amore grande, grande, grande. Quindici anni». Al Piccolo di Milano, «con la guida di Giorgio Strehler, fornisce alcune delle sue più importanti interpretazioni teatrali, da Platonov (1959) di Cechov a Il gioco dei potenti (1965) di Shakespeare; da I giganti della montagna (1967) di Pirandello a Santa Giovanna dei Macelli (1970) di Brecht; dalle riprese del goldoniano Arlecchino servitore di due padroni (1963) al cechoviano Il giardino dei ciliegi (1974).
valentina cortese e piero mazzarella
Con Umberto Orsini e Adriana Asti forma il trio dell’ultimo lavoro teatrale diretto da Luchino Visconti, Tanto tempo fa (1973) di Pinter. Nel 1983, diretta da Franco Zeffirelli, è una superba Maria Stuarda, con a fianco un’altrettanto superba Rossella Falk come Elisabetta I. Attiva anche in televisione, ma saltuariamente, interpreta con entusiasmo e convinzione alcuni sceneggiati, come I grandi camaleonti (1964), da Zardi, per la regia di Edmo Fenoglio, che la dirige anche in un altro sceneggiato di ottimo gradimento, I Buddenbrook (1971) da Thomas Mann; poi è nel Gesù di Nazareth (1977) diretto da Zeffirelli, e in originali televisivi. […] Recita a fianco di Franchi e Ingrassia nell’edizione televisiva della commedia musicale La granduchessa e i camerieri (1978), realizzata da Gino Landi.
Sempre più legata al teatro di prosa, sembra disinteressarsi al cinema, ma nel 1973 appare inaspettatamente in uno dei ruoli più belli e interessanti di tutta la sua carriera, impersonando magistralmente una diva italiana con problemi di memoria scritturata per un film internazionale: Effetto notte, un film sul mondo del cinema e sull’universo come cinema diretto da François Truffaut, nel quale Valentina Cortese raggiunge le vette dell’interpretazione più ispirata. Ottiene inoltre la nomination all’Oscar come attrice non protagonista, ma la sera delle premiazione viene battuta da Ingrid Bergman, la quale sul palco, al momento della consegna della statuetta, ringrazia l’Academy ma sostiene che il premio avrebbe dovuto essere assegnato all’attrice italiana. […] Distaccatasi pian piano dal cinema, ogni tanto la Cortese riappare sugli schermi, a volte in prodotti di scarso interesse, come Via Montenapoleone (1986), a volte in prodotti di prestigio, come Le avventure del barone di Münchausen (1989), in cui interpreta il grottesco personaggio di Arianna, amica del re della Luna, o in Storia di una capinera (1994), dove è una sobria ed apprensiva madre superiora» (Lancia). Uno dei suoi ultimi spettacoli teatrali è stata l’interpretazione del Magnificat di Alda Merini, portata nei teatri dal 2003 al 2009.
valentina cortese, federico fellini e giulietta masina
Nel 2012 ha pubblicato presso Mondadori l’autobiografia Quanti sono i domani passati (a cura di Enrico Rotelli), alla quale si è in seguito ispirato Francesco Patierno per girare Diva! (2017), in cui il regista «ha ricostruito la storia di Valentina mescolando spezzoni dei suoi film e momenti della sua vita, nella lettura e nell’interpretazione di Anna Foglietta, Isabella Ferrari, Silvia D’Amico, Anita Caprioli, Carolina Crescentini, Greta Scarano, Carlotta Natoli, Barbora Bobulova. Michele Riondino, in maglione nero ma senza chioma argentata, ha il ruolo rischiosissimo di Giorgio Strehler; in effetti, ne legge un’originalissima lettera d’amore» (Egle Santolini)
• Un figlio, Jackie Basehart (1951-2015), dal primo marito Richard Basehart (1914-1984). «Solo la gravidanza le impedì di accettare l’offerta di Charlie Chaplin di recitare nel suo Luci della ribalta» (Mattia Pasquini). In seguito perse una figlia, frutto della relazione con Giorgio Strehler: «Lui la desiderava e gli sarebbe piaciuto chiamarla Ombra. La sognava fin da ragazzo: voleva essere il padre di una bambina. Un pomeriggio la persi. Mi portarono in clinica e vidi entrare Giorgio nella stanza con gli occhi di chi ha guardato la morte in faccia; si inginocchiò ai miei piedi e pianse». Nel 1980 si sposò in seconde nozze con l’industriale farmaceutico Carlo De Angeli («eravamo vicini di casa: conoscevo sua moglie; quando morì ci siamo avvicinati»), morto nel 1998
• «Victor mi ha dato armonia, musica e cultura. Strehler è stata la poesia: con lui ho maturato il mio essere attrice teatrale. Con lui ho fatto le mie migliori interpretazioni. Non dimentico che in Germania, dopo la prima de I giganti della montagna di Pirandello, si ebbero 48 minuti di applausi. […] Il padre di mio figlio è stato il padre di mio figlio: basta, non aggiungo altro. Carlo De Angeli è stato la sicurezza, la calma, un approdo sicuro. Sono stati tutti importanti per me. Comunque. Ognuno ha avuto un ruolo importante nella mia formazione e credo di aver dato altrettanto a loro, umanamente e spiritualmente»
• A proposito del primo marito, ha raccontato che la tradì con Giulietta Masina, che considerava una sua cara amica. «E non fu una cosa di un attimo. So che continuarono a vedersi per anni»
• Memorabili le liti con Strehler, ai tempi della loro relazione. «Abitavano insieme nel “conventino” di piazza Sant’Erasmo, luogo magico di Milano. Per sfuggire lei si chiudeva in ascensore, bloccandolo tra un piano e l’altro. Non trovandola, lui si infuriava, scendeva in strada a cercarla, e solo allora lei rientrava in casa, e dalla finestra, dispettosa, sfacciata, gli urlava: “Giorgio, mi hai chiamato?”» (Bandettini)• «Cosa rimprovera e cosa perdona a sua madre? “Rimprovero la sua sventatezza, e il fatto che non c’era spazio per me nei suoi sogni. […] Voleva essere una pianista, una grande concertista. Non ne ebbe la forza e forse il talento. Quanto al perdono, non lo so. La nostra storia si concluse abbastanza miseramente un giorno del dopoguerra nel ristorante dell’hotel Flora di Roma. […] Volevo riconciliarmi con lei. La mia vita aveva preso a funzionare: c’era il lavoro nel cinema, e l’amore per un uomo come Victor de Sabata. Tutto quello che di spigoloso c’era stato tra noi due si andava smussando. Le comprai un gioiello, come segno di affetto. E quando mi vide cominciò a insultarmi e a dire che era un’offesa che io stessi con un uomo di trent’anni più grande di me. […]
valentina cortese e vittorio gassman
Non ci potevo credere. Guardavo le sue mani che serravano violentemente i manici della borsetta. Aprii il regalo, meccanicamente. E quando vide il rubino si placò all’istante. Fece per afferrarlo: glielo strappai di mano. E fuggii via. Non ho più rivisto quella donna. Non ha più messo piede nel mio cuore”. E suo padre, lo ha mai conosciuto? “L’ho visto qualche volta da bambina senza sapere chi fosse. Credo che mi guardasse con una certa attenzione. Ma non sapevo nulla di quell’uomo. Andai al suo funerale. Forse spinta dal desiderio di conoscere la persona che aveva contribuito a mettermi al mondo. Mi sembrò tutto triste. Di una tristezza senza luce. Ricordo che mi allontanai dalle mie sorellastre con la sensazione che davvero qualcosa si era definitivamente chiuso”» (Gnoli)
• «Ogni mattina mi sveglio sorprendendomi di essere ancora viva. Non so se Dio esista o non esista. È un mistero di fronte al quale preferisco restare in silenzio. Un attore deve prendere il divino dal fondo di se stesso. Se lo ha, si lasci pure possedere»
• «Sono un’attrice vecchio stampo con una voce flautata adatta a un certo repertorio, ma se mi stacco dalle tende e scelgo un testo che richiede una recitazione più moderna divento surreale, futurista, dodecafonica. A volte mi chiedo chi sia io»
• «L’incanto dei suoi occhi verdi, la grazia lunare del viso, i gesti leggeri, la sua voce fanno parte della storia dello spettacolo. La sua Ljuba nel Giardino dei ciliegi diretto da Giorgio Strehler o Séverine, ironico autoritratto di diva in Effetto notte di Truffaut sono icone indimenticabili, il segno indelebile di una grande attrice che, negli anni accesi della sua celebrità colta e internazionale, tra Hollywood e Roma, Parigi e Milano, ha girato decine di film, ha fatto decine di successi teatrali, ha avuto per amiche la principessa Grace e Ingrid Bergman, ha fatto i pop corn a casa di Paul Newman, ha tenuto a battesimo Anthony, figlio di Gregory Peck» (Bandettini).
«Che anni. Santa Giovanna di Brecht non mi restava in mente: chiesi aiuto al mago Rol, che riuscì nella magia. Fui io a presentarlo a Federico [Fellini – ndr], così come raccomandai Audrey Hepburn a Wyler per Vacanze romane. E le occasioni perdute… con Chaplin perché ero incinta. E l’amicizia con Alida Valli, che in America si vergognava perfino di ritirare i premi, così andavo io al posto suo…»
• «Il teatro è il mio amore. Conservo in me il ricordo del fienile dove bambina ho fatto le mie prime recite e dove ho cominciato a coltivare la passione per il palcoscenico. È stata una folgorazione, per me, il teatro. E gli sono rimasta fedele. […] Noi facciamo un lavoro intellettuale, non dobbiamo scordarlo. Ci si confronta col pensiero umano di autori che hanno lasciato il segno. Loro passano: il loro pensiero resta, la loro parola vive attraverso noi. Abbiamo un grande compito noi attori: tenere vive le parole di altri per non farle morire». «Non ritengo di essere stata un’attrice ambiziosa. Ho sbagliato tante volte, ma sono felice di aver commesso i miei sbagli. Non sarei qui, altrimenti, a parlarne. Gli errori sono come i versi mai letti di una poesia»
valentina cortese in giulietta degli spiriti
• «“Sono orgogliosa, certamente, delle mie origini contadine. Ho imparato molto dalla fame e dalla gente umile, le donne contadine lombarde, forti e sicure, tenere e nello stesso tempo tenaci, lavoratrici. Da bambina le osservavo e imparavo da loro. Devo tutto a loro. Alla mia balia, a papà Giuseppe, ai miei fratellini… io sono stata allevata da loro, da loro ho imparato ad amare la natura, i fossi, le libellule e i piccoli animaletti che bruivano fra l’erba. Ancora adesso amo gli alberi. Vorrei che il Paradiso fosse pieno di alberi: mi danno consolazione. E mi ricordano il detto di un maestro orientale che mi accompagna sempre: ‘Un albero senza foglie non perde mai la speranza’”. […]
Quando le dicono “divina”, si sente tale, le piace? “Ma no, cosa dice… Ogni tanto con molta ironia faccio finta di esserlo, ma dentro di me sono una donna semplice, concreta, che ama l’amicizia vera, i rapporti sinceri: non sopporto l’ipocrisia, l’effimero. Può sembrare strano, ma è così. La classe è innata, sì, forse, e sicuramente si può costruire con la volontà. Ma certe sfumature, certi misteri restano tali e concorrono a formare la classe di una persona. Però mi creda, la semplicità è un forte ingrediente”» (Lucia Marchiò).
«“L’amore è uno stile di vita. Io l’ho vissuto e l’ho recitato. Il teatro, lo fai per alcune ore al giorno; nel resto del tempo che fai, non vivi? A me non piace parlare d’amore: mi piace farlo. Ci faccia caso: le persone che non sanno amare parlano sempre d’amore”. […] Come vorrebbe essere amata nel suo ultimo giorno? “Copritemi con un vecchio vestito di scena oppure semplicemente con un lenzuolo e buttatemi nel fuoco. Mettete le mie ceneri accanto a quelle dei miei cani. […] E io vi prometto che conserverò il mio sguardo incuriosito se, di là, dovessi scoprire che esiste il Paradiso”» (Dario Cresto-Dina). «Io guardo avanti, senza nostalgie malate. No, nessuna nostalgia: la lascio ai marinai che pensano alla patria lontana. E nessun rimpianto. Ho vissuto e vivo tuttora guardando avanti: se mi volto è per vedere la strada che ho percorso, e, mon Dieu, quanta ne ho fatta! […] E ancora mi sento curiosa di sapere cosa mi riserverà il domani»