Abbiamo visto Argo regia di Ben Affleck.
Ben Affleck sta percorrendo la strada della regia come molti suoi colleghi attori, ma come pochi altri mostra talento, idee chiare e ‘modestia’. Non possiamo dire che fra dieci anni potrà essere un nuovo Eastwood perché non abbiamo la palla di vetro e poi Clint ha avuto un’altra carriera e ha avuto come ispiratori due suoi grandi registi come Sam Fuller e Sergio Leone, cosa che non è capitata ad Affleck. Ma seguendo la sua carriera registica non possiamo non essere favorevolmente colpiti dalla crescita professionale, dalla ricerca di storie non convenzionali e dal
tocco senza eccessi d’azione. Ha debuttato alla regia nel 2007 con Gone Baby Gone tratto dal romanzo La casa buia, storia di una bambina di quattro anni scomparsa e delle indagini di due investigatori. Nel 2010 ha realizzato The Town anche questo tratto da un libro Il principe dei ladri scritto da Chuk Hogan, storia di un rapinatore di banche che si innamora di una impiegata che ha rapinato (in questo film c’è l’ultima interpretazione dell’immenso e purtroppo scomparso Pete Postlethwaite) ed oggi esce nelle sale italiane Argo, storia vera avvenuta tra Stati Uniti e Iran nel 1979 durante il sequestro dei cinquantadue americani nell’ambasciata degli States e che è stata declassificata e resa pubblica solo nel 1999. Un film scritto bene, cadenzato con coerenza anche nei sotto plot, con un’introduzione ai fatti politicamente corretta, con uno sviluppo non ansiogeno nonostante la storia lo consentisse ma con qualche battuta che fa sorridere di troppo: sembra che nell’Hollywood del 1979 ci fossero tutti Grucho Marx o Billy Wilder.
Nel 1979 ci fu la Rivoluzione Islamica in Iran, lo Shah Reza Pahlavi ammalato e stanco è costretto a scappare dal popolo insorto e chiede asilo politico nel Paese che lo ha sempre protetto, gli Stati Uniti. Il nuovo governo formalmente richiede il suo arresto e la restituzione del dittatore, ma questo non può avvenire. Allora il 4 novembre alcune migliaia di militanti islamici circondano l’ambasciata americana, l’assaltano e fanno irruzione prendendo in ostaggio 52 persone. Ma sei funzionari riescono a sfuggire alla cattura e si vanno a nascondere a casa dell’ambasciatore del Canada Ken Taylor. Se ne stanno nascosti per oltre due mesi e la situazione diventa sempre più pericolosa e insostenibile. Il governo statunitense incarica l’agente della CIA Tony Mendez (Ben Affleck) – esperto di operazioni sotto copertura – di organizzare un piano di liberazione per i sei e riportarli negli Stati Uniti.
Mendez grazie ad un’intuizione fortuita – ma le altre ipotesi dei capi della Cia sono ancora più demenziali: farli scappare in bicicletta o far finta di essere dei professori canadesi – prepara un piano di fuga molto fantasioso (che se non fosse stato veramente preparato si sarebbe pensato ad un cattivo sceneggiatore sotto crisi alcolica) far passare i sei per una mini troupe cinematografica canadese venuti in Iran per delle location per un film di fantascienza intitolato Argo. Si inventa una finta società di produzione, si fanno conferenze stampa con i giornalisti, viene pubblicata su Variety – la bibbia di Hollywood – l’inizio lavorazione, si compra una sceneggiatura e un vecchio regista fa il casting. Quando tutto è pronto Mendez parte prima per la Turchia, prende informazioni e poi giunge a Teheran. In Iran ottiene dal Ministero della cultura iraniano il permesso di entrare e uscire dal Paese e quindi di poter portare via i sei ospiti spacciandoli per la troupe del film. Partendo da un fatto vero e passata alla storia come tra le azioni più brillanti della Cia, Ben Affleck scrive e dirige un film che supponiamo forzi la realtà dei fatti per creare la tensione giusta ma puntualizza (anche sui titolo di coda) la veridicità della storia e il rispetto dei fatti. Ne risulta un film ben costruito, solido e – come abbiamo scritto – politicamente corretto, riuscendo a coniugare vari registri filmici. Non certo un capolavoro, ma un buon film, godibile e notevole. Ottima la ricostruzione scenografica, i costumi, la fotografia. Se qualcosa forse è al di sotto del buon livello è il cast, in alcuni personaggi si sente il fiato televisivo.