Alla fine della Seconda Guerra Mondiale Nomura, uno scrittore in grave crisi creativa, convive con una prostituta. Nel mentre Ohira, un soldato rientrato dal fronte a causa della perdita di un braccio, inizia a ripetere in patria le atrocità di cui si è macchiato in guerra, violentando e uccidendo giovani donne.
Nomura è uno scrittore che vede la fine della guerra come la fine del suo mondo. L’imminente invasione degli Alleati e l’inevitabile resa del Giappone gli paiono talmente intollerabili da indurlo a meditare il suicidio. Apparentemente sembra però trovare un blando sollievo nel convivere con una giovane prostituta, la quale si vende ai soldati e vive la sua professione meccanicamente, al punto tale da non provare nulla nei suoi amplessi con Nomura.
Ohira è un soldato che torna a casa dopo aver perso un braccio in combattimento.
Il suo tentativo di tornare alla normalità con la sua famiglia è ostacolato dai ricordi di quello che ha commesso in guerra. Non passerà molto tempo, infatti, prima che egli si risolva a ripetere in patria le stesse atrocità.
La guerra è il fulcro e lo spettro al centro di questa riuscitissima trasposizione di una novella di Ando Sakaguchi. Mentre intorno infuriano bombardamenti e la gente patisce la fame, i tre protagonisti cercano una via per la sopravvivenza. Ciascuno a suo modo ha una strategia e, se per la prostituta senza nome vendersi ai soldati e nel contempo iniziare una convivenza con Nomura può essere una buona possibilità di tenersi al riparo dalla fame e dagli stupri, per l’uomo la cosa non sembra sortire grossi effetti a contrastare la depressione per la fine di un’epoca, mentre per Ohira il ripetere in patria le cose di cui si è macchiato in guerra è l’unico modo per tentare di trovare un sollievo alla colpa di essere sopravvissuto.
I tre annaspano in un mondo in disfacimento e nel frattempo l’assenza di regole morali sembra in parte alludere al decadimento dei valori di una nazione che si era sentita in grande espansione appena pochi anni prima. Il Giappone dell’Imperatore in nome del quale nazioni sono state sopraffatte e popolazioni civili sterminate, è adesso ridotto a un cumulo di macerie, le quali rispecchiano i resti dell’idea di sé che ciascuno dei protagonisti fatica a rimettere insieme.
La storia evolve lentamente, il racconto è affidato alle immagini più che a un’aperta spiegazione dei comportamenti di ciascuno. Le macerie che affollano la scena sono solo lo specchio di quelle che in verità abitano l’anima dei protagonisti. I tre hanno in comune soltanto un dolore antico, fatto di illusioni perdute e di un passato glorioso. Ed è per questo che a chi gli urla che uccidere in guerra è diverso dal farlo in pace Ohira non trova niente di meglio da rispondere che si tratta della stessa differenza tra una medaglia al valore e una condanna a morte. Questo il pensiero dietro tanto affannarsi a raccontare il tramonto di un’epoca e il dolore per la perdita della prospettiva attraverso cui guardare a un futuro.
La buona prova di tutto il cast è la forza su cui si regge questa dolorosa ricostruzione di un racconto in parte vero, la figura di Ohira è infatti ispirata a Kodaira Yoshio, soldato condannato a morte nel 1949 per aver violentato e ucciso dieci donne giapponesi, e averne violentate altre trenta, dopo il suo ritorno dalla guerra. Junichi Inoue usa qua un filtro attraverso il quale guardare al passato senza il fumo della propaganda e la cancellazione di eventi ritenuti scomodi.
La regia pulita, didascalica, sotto la palese ispirazione di Wakamatsu Koji, a suo tempo grande affabulatore di storie del passato di una guerra ormai cancellata dai libri di storia ma non per questo dimenticata, regala un’ottica nuova da cui cogliere tutto il dolore di un passato per il quale mai nessuno si è sentito in dovere di scusarsi.