Abbiamo visto “ About Elly “ ( Darbare-ye Elly ) diretto da Asghar Farhadi.
In quest’ultimo anno gli autori iraniani ci hanno mostrato un Paese fuori dagli schemi, fuori dagli stereotipi dei luoghi comuni. E, nonostante tutto, le pellicole distribuite da noi hanno molta “ più libertà “ di quelle del nostro panorama nostrano. Abbiamo iniziato con un film meraviglioso come “ Donne senza uomini “ diretto dalle registe Shirin Neshat, Shoja Azari, sulla Persia al tempo dello Scià Reza Pahlavi negli anni Cinquanta; poi è stata la volta de “ I Gatti persiani “ girato semiclandestino da Bahman Ghobadi che ci racconta il mondo underground della Teheran di oggi; quindi è stata la volta del più grande regista iraniano Abbas Kiarostami con il film – non completamente riuscito – “ Copia conforme “ ambientato però in Toscana. E in questi giorni di calda estate esce il bel film di Farhadi “ About Elly “. Anche questo con dei rimandi al cinema di Antonioni ( un po’ come ne “ L’Avventura “ una delle protagoniste scompare ) come con l’ultimo Kiarostami.
“ About Elly “ è il quarto film di Asghar Farhadi, un regista non ancora quarantenne che si è fatto le ossa scrivendo per la radio e la televisione iraniana negli anni Novanta. Il suo primo film è stato “Dancing in the dust “( 2003 ), un confronto tra generazioni; premio della critica e premio come miglior attore protagonista al Festival di Mosca. Nel 2004 ha diretto ” A beautiful city “, una riflessione sul sistema giudiziario iraniano; premiato ai Festival di Varsavia, all’India International Film Festival e al Moscow’s Faces of Love Film Festival. Quindi è la volta di “ Fireworks wednesday “ nel 2006, vincitore del Festival Internazionale di Locarno e numerosi altri premi internazionali. Per giungere ad “ About Elly “, Orso D’Argento a Berlino per la miglior regia e premiato al Tribeca Film Festival come Best Narrative Feature.
La storia si focalizza su un fine settimana sul mar Caspio da parte di tre coppie di trentenni con figli, della media borghesia; ex compagni universitari hanno deciso di fare una rimpatriata anche perché un loro caro amico Ahmad ( Shahab Hosseini ) che vive in Germania da anni è ritornato per qualche giorno in Patria dopo che la moglie tedesca lo ha lasciato. Una sua amica, la testarda Sephideh ( una bellissima e convincente Golshifteh Farahani ), ha un piano in serbo: far conoscere e fidanzare Ahmad con la giovane maestra d’asilo di sua figlia, Elly ( Taraneh Alidousti ) che per i parametri morali dell’odierno Iran ha un segreto quasi inconfessabile ( ha un fidanzato che vuole lasciare ). Gli amici, quasi per scherzo e non conoscendo il segreto, appoggiano Sephideh e ricoprono Elly di simpatiche attenzioni. Elly però è ritrosa, quasi schiva, si allontana per telefonare, il giorno dopo vuole ripartire ma l’amica quasi glielo impedisce. Il clima giocoso viene bruscamente interrotto dal quasi annegamento di uno dei bambini e nella confusione dalla scomparsa della ragazza. Tutti non sanno cosa pensare, è annegata ? E’ andata via senza salutare ? Chi è veramente Elly ? Perché ha abbandonato i bambini affidati a lei ? Inizia il dramma e i vari disvelamenti, attraverso Sephideh, che per noi Occidentali sarebbero cose di normale amministrazione ma che per la morale anche laica di giovani uomini e donne è di grave danno comportamentale. Il regista ci racconta un piccolo gruppo sociale che è colto e progressista in maniera non ideologica ma naturale, ma nel quale tuttavia conserva ancestralmente, ed è pronto a prendere il sopravvento, un conformismo che rasenta la menzogna e il sospetto. Basta una piccola bugia, infatti, a spazzare via tutte le buone intenzioni della protagonista, Sephideh, e a scatenare una serie di rivolgimenti imprevisti e di schermaglie intestine al gruppo di amici. Litigi, schiaffi, incomprensioni. Ogni carineria e gentilezza rivolto alla misteriosa Elly, unica esterna in un gruppo coeso, sarà alle prime incomprensioni subito smentito, quando il sospetto che la ragazza abbia abbandonato i bambini sulla spiaggia escluderà ogni altra ipotesi, fino a cementare in tutti la quasi certezza dall’egoismo incosciente della ragazza e il sospetto che questo nasconda elementi amorali. Quindi dalla commedia di costume si passa al dramma quasi da camera, al noir. Ma la vera intenzione è quella di fare una analisi umana e sociologica, che giunge a disvelare il vero volto dei protagonisti. Insomma il regista evitando critiche frontali riesce a dire quello che pensa della realtà iraniana senza incorrere nella censura.
Il cast è formato da attori di teatro affermati e conosciutissimi in Iran, sono bravissimi e rendono credibili i tanti dialoghi che si sovrappongono a volte anche freneticamente. Vanno segnalati almeno Golshifte Farahani, Taraneh Alidousti, Shahab Hosseini, Mani Haghighi, Merila Zarei, Peyman Moadi. Da segnalare il direttore della fotografia Hossein Jafarian, già collaboratore di Abbas Kiarostami, di Jafar Panahi e dei precedenti film di Asghar Farhadi. Il clown spettatore