Basterebbero i suoi grandi successi internazionali, dal drammatico “Midnight Express” con Brad Davis e John Hurt, all’horror con tanto di diavolo a New Orleans “Angel Heart” con Mickey Rourke, Lisa Bonet e Robert De Niro come Satanasso, i tanti musical da “Bugsy Malone”, suo film d’esordio coi bambini che facevano i gangster negli anni ’30, a “Saranno famosi-Fame” con Irene Cara, da “The Wall” versione animata del disco capolavoro dei Pink Floyd a “Evita” con Madonna a “The Commitments”, tratto da un romanzo di Roddy Doyle, i suoi film civili, da “Mississipi Burning” con Gene Hackman, Willem Dafoe e Frances McDormand a “Le ceneri di Angela” con Emily Watson e Robert Carlisle, senza pensare a un film generazionale come “Birdy” con Matthew Modine e Nicholas Cage o al meno noto “Morti di salute” con Anthony Hopkins e Bridget Fonda o al superdrammatico familiare “Spara alla luna” con Albert Finney che lascia Diane Keaton e i loro quattro figli per una donna più giovane.
Alan Parker, scomparso a Londra dove era nato a 76 anni, qualsiasi film avesse diretto, in Inghilterra o in America, musical o dramma, aveva sempre messo davanti a tutto, come giustamente fa notare Peter Bradshaw su “The Guardian”, la narrazione. Era un grande story-teller.
E aveva un grande talento per trattare la musica al cinema e le sue star. Fra gli uomini di cinema inglesi nati nella pubblicità che cambiarono per sempre il cinema dai primissimi anni ’80, come furono lui, il suo socio David Puttnam e, ovviamente i fratelli Tony e Ridley Scott, che furono proprio una generazione nuova e diversa rispetto ai pur grandissimi Richard Lester, Ken Russell o Tony Richardson che li avevano preceduti sulla strada di Hollywood, la sua preoccupazione fu sempre quella di essere soprattutto uno story-teller.
Non fai film difficili come “Midnight Express” o “Mississipi Burnings” se non sei un grande story-teller. E, curiosamente, questo Parker lo aveva imparato proprio facendo il copywriter e poi il regista nella pubblicità, dove era un personaggio leggendario già negli anni ’70.
Ma se Ridley e Tony Scott si specializzano più sul racconto visivo delle loro storie, cambiando proprio il modo di raccontare, a Parker interessa proprio la costruzione del racconto e l’impatto che ha con lo spettatore. “Fare un film”, ha detto “è così difficile che se non hai i tuoi protagonisti che stanno dalla tua parte con il resto della troupe, può renderti la vita molto difficile.
Soprattutto all’interno della macchina di Hollywood. Hanno permesso a più stelle di prendere il controllo e questo può rendere la vita di tutti gli altri una miseria. Ma la verità è che gli attori stanno facendo il loro lavoro esattamente come l’assistente alla macchina da presa, il costumista e tutti gli altri”.
E pochi come Parker sono stati così attenti a far funzionare gli attori, soprattutto grandi star bizzarre come Madonna, Mickey Rourke, a costruire nuovi talenti, come Irene Cara o Jodie Foster. E’ proprio l’attenzione al testo e alla direzione degli attori che fa anche dei suoi film americani dei successi e dei film praticamente perfetti.
Nato pubblicitario con la CDP, e poi socio assieme a David Puttnam e Charles Saatchi per la produzione di una serie fortunata di spot negli anni ’60 e ’70, inizia il cinema scrivendo soggetto e sceneggiatura di una piccola commedia con bambini con sette canzoni dei Bee Gees che verrà poi diretta da Warris Hussein, “Melody”, con Mark Lester, Tracy Hide e Jack Wild, operazione che lo porterà poi alla regia di “Bugsy Malone-Piccoli gangster” cinque anni dopo.
Ma sarà il successo internazionale di un film allora importante come “Midnight Express”, prodotto da Puttnam, scritto da un giovane Oliver Stone, con le musiche al sintetizzatore di Giorgio Moroder che vinsero l’Oscar che gli aprirà le porte di Hollywood. I successivi “Fame”, “The Wall” e “Birdy” faranni il resto. Peter Bradshw dice di rivedere “Spara alla luna”, che credo fosse un po’ la sua storia, visto che anche Parker lasciò una moglie e quattro figli per un’altra donna.
Confesso che vedrei volentieri anche il suo ultimo film, che mi era sfuggito, “The Life of David Gale”, girato nel 2003 e mai arrivato in Italia, con Kevin Spacey, attivista contro la pena di morte che si ritrova incolpato di omicidio e rischia quindi di perdere la vita. Parker muore al termine di una lunga malattia che lo aveva escluso dal cinema per quasi vent’anni.