“IL BISOGNO CHE HO DI TE ALTRO NON È CHE IL BISOGNO CHE HO DI ME STESSO. È IL BISOGNO DI ESSERE E DI NON MORIRE SENZA ESSERE STATO”– LE 865 LETTERE SCAMBIATE ALBERT CAMUS E MARIA CASARÈS VERRANNO PUBBLICATE PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIANO – I DUE S’INCONTRARONO PER LA PRIMA VOLTA NEL MARZO DEL 1944 A PARIGI, MA CAMUS ERA SPOSATO CON LA MOGLIE FRANCINE RIMASTA BLOCCATA IN ALGERIA A CAUSA DELLA GUERRA – “HO VOGLIA DI ESSERE FELICE, IN MANIERA CIECA E ANIMALESCA…IL CORPO HA UNA SUA SAGGEZZA E UNA SUA FELICITÀ. QUANDO PENSO AL TUO, MI SI SECCA LA BOCCA…”

Lui 30, lei 21. Li separavano nove anni di età. Tutto il resto li univa. Nel marzo 1944 s’incontrano per la prima volta a Parigi in casa dello scrittore-etnologo Michel Leiris, dove si recita tra amici (Sartre, de Beauvoir, Lacan, Bataille, Queneau…) Il diavolo per la coda, pièce surrealisteggiante di Pablo Picasso. Il 6 giugno successivo – giorno dello sbarco alleato in Normandia.

I due si ritrovano a una soirée tra gente di teatro e finiscono per conoscersi meno platonicamente. Albert è un franco-algerino un po’ scapestrato in lotta con la Tbc; ha già all’attivo una mezza dozzina di testi – tra i quali la cosiddetta Trilogia dell’assurdo (il dramma Caligola, il saggio Il mito di Sisifo, il romanzo Lo straniero) – apprezzati, ma noti soltanto a una ristretta cerchia di connoisseur.

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Anche Maria è una sradicata: spagnola, figlia dell’ex leader e ministro repubblicano Santiago Casares Quiroga, è riparata a Parigi con famiglia mentre in patria i franchisti prendevano il sopravvento nella guerra civile. A dispetto di un avvio difficile – non è stata ammessa all’Accademia d’arte drammatica – diverrà una “divina” del palcoscenico e, seppur in misura minore, del cinema, diretta da Bresson, Carné, Cocteau.

In quella primavera fatale, Albert Camus e Maria Casarès sono belli e quasi famosi. Lui aitante malgrado la malattia, impermeabili e sigaretta alla Bogart, il sorriso un filo equino alla Fernandel. Lei esile, ma ardente, stregonesca sotto le ciglia tragiche. Due cuori nella tormenta del secolo.

L’infanzia del loro amour fou coincide con gli ultimi mesi dell’occupazione nazista, poi con l’euforia della Liberazione, con l’effimera stagione in cui tra attivismo politico, dancing, bicchierate fino all’alba, ci si illude di poter reinventare il mondo. Ma c’è un intoppo. Camus è sposato e, rimasta bloccata in Algeria dalla guerra, sua moglie Francine si prepara a raggiungerlo a Parigi. Non bastasse i coniugi faranno presto due figli, i gemelli Jean e Catherine.

Relegata a comprimaria, l’impetuosa Maria non ci sta: molla Albert e tira dritto. Però da qualche parte sta scritto che le rispettive strade sono destinate a ricongiungersi su un unico viale: il Boulevard Saint-Germain, dove il 6 giugno del ’48 – ancora un 6 giugno – Camus e Casarès s’incrociano per caso.

Da quel momento non si lasceranno più. Ciascuno con i propri amori, flirt, viaggi, slanci, tormenti, successi, fallimenti, resteranno uniti ma liberi come animali selvaggi. “Mi sento sempre più animale e non del tutto addomesticata” scrive Maria ad Albert. Oppure: “Eccomi finalmente animale puro”.

 

O ancora: “Ti amo come un animale”. E lui “Anch’io ho voglia di essere felice, in maniera cieca e animalesca… Il corpo ha una sua saggezza e una sua felicità. Quando penso al tuo, mi si secca la bocca… ma lasciamo perdere”.

Lettere,  biglietti, telegrammi spediti anche più volte al giorno… Sembrano ognuna la sequenza di un melò da cineteca le 865 carte che Camus e Casarès si scambiarono nell’arco di un quindicennio e che ora escono in italiano da Bompiani con il titolo Saremo leggeri. Corrispondenza 1944-1959.

In Francia erano state pubblicate quattro anni fa per coraggiosa volontà di Catherine, la figlia dello scrittore, che al telefono da Lourmarin, il villaggio provenzale scelto da suo padre come buen retiro, racconta al Venerdì la storia del carteggio ritrovato. “Le lettere di Maria stavano in una sacca, nell’appartamento parigino di papà. Alla sua morte vennero subito recuperate dall’amico poeta René Char e consegnate a lei, per evitare che ferissero mia madre”.

In seguito Casarès le avrebbe affidate a Catherine insieme a quelle di Albert. Nel frattempo l’antica fiamma di Camus e sua figlia si erano incontrate.

“Nei primi anni 80, dopo la morte di mia madre, Maria Casarès era in tournée a Nizza, dove vivevo all’epoca. Le lasciai un messaggio in teatro chiedendo se le andasse di vedermi. Dubitavo molto che avrebbe accettato. Non amava rievocare la storia con papà. Invece rispose subito dandomi appuntamento nel suo hotel. Mi presentai verso le due del pomeriggio. E parlammo per ore stese sul letto. Divorando tavolette di cioccolato come se ci conoscessimo da sempre. A un certo punto le dissi: ‘Devo andare’. ‘Ma perché?’ chiese lei. ‘Perché fa notte’. Maria sorrise: ‘È proprio vero che la mela non cade mai lontano dall’albero’. Non so a che cosa alludesse citando quel proverbio. Forse pensava che come papà anch’io diventassi malinconica al calare della sera. Poco importa: da quel giorno ci rivedemmo spesso. Maria era la vita stessa”.

Fair play femminile

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E Madame Camus? Figlia della borghesia di Orano, matematica e pianista, Francine Faure aveva sposato Albert nel 1940 a Lione, durante le traversie della guerra, gli andirivieni tra l’Algeria e la Francia, dove lui alternava le modeste collaborazioni con i giornali sorvegliati da Vichy ai ricoveri in sanatorio.

La famiglia Faure non vedeva di buon occhio la liaison con Camus l’artistoide, l’intellettuale precario. Guardandolo in foto, la sorella di Francine commentò: “Sembra una scimmia”. E la futura moglie: “Beh? Dopotutto la scimmia è l’animale più vicino all’uomo”. In tempi di ristrettezze, la cerimonia di nozze fu grama: due testimoni, all’uscita dal municipio un bicchiere di vino al bistrot e un mazzo di violette per la sposa.

 Camus non divorzierà mai da Francine, ma la sua esuberanza extraconiugale metterà a durissima prova l’equilibrio nervoso della consorte precipitandola nella depressione. E tuttavia, dice Catherine, “in casa non ricordo una sola parola pronunciata da mia madre contro Maria”. Come se, a lungo andare, la rivalità amorosa fosse sfumata in un seppur sofferto fair play, in un rispetto cavalleresco tra donne.

Nelle lettere, Casarès si preoccupa della famiglia di Albert: “Abbi cura di te: è anche il modo migliore di avere cura di Francine e ci sono troppe persone che hanno bisogno di te perché tu venga a mancarci. In questo disordine inimmaginabile, come stanno i bambini? Che combinano?”. Ma se il libertario Camus ritiene il matrimonio un’asfissiante gabbia borghese perché si sposa? – chiedo a Catherine. “Perché lo aveva promesso a mia madre. Per rispetto della parola data”.

Anarchia sessuale

Cresciuto nei bassi di Algeri, il futuro premio Nobel è sessualmente anarchico. Da ragazzo ha coabitato con una coppia di lesbiche comuniste, Jeanne Sicard e Marguerite Dobrenn, in una specie di comune allestita nella Maison Fichu, una povera casa dalla vista magnifica sulle alture della città. “La maison davanti al mondo”, la battezzerà lui.

Nel ritrovo si va e viene, si provano pièce teatrali, si discute di arte e politica, ci si divide le spese d’affitto, le mansioni domestiche – pulizie, cucina – e si pratica il libero amore. Camus ci porta le sue compagne più o meno occasionali. È reduce da un primo matrimonio disastroso.

 Nel 1934, ha impalmato avventatamente Simone Hié, una vamp anticonformista fino all’autodistruzione, una che va in giro senza reggiseno né mutandine, porta tacchi alti e cappelli incredibili, fuma da un lungo bocchino come Rita Hayworth, ma è tossicomane. Un giorno Albert intercetta una lettera indirizzata a Simone e scopre che la moglie se la fa col medico che le passa la morfina. Ustionato nell’orgoglio virile, Camus chiede il divorzio.

Ha sempre vissuto il sesso come dimensione solare, ma anche come una sorta di sfrenata alienazione. A 17 anni gli hanno diagnosticato una tubercolosi di quelle che non lasciano scampo. Per lui amorazzi e amori diventano così l’impulso resistenziale di chi si aggrappa alla vita. Finché dura. Però il piacere è dispersivo, nuoce alla concentrazione, alla scrittura: “La vita sessuale è stata data all’uomo per distoglierlo dalla sua vera strada. È il suo oppio” annoterà Albert nei taccuini. “La sessualità non porta a niente. Non è immorale, ma improduttiva”. Sarà. Ma lui non riesce a imbrigliarla.

Anni fa Olivier Todd, tra i maggiori biografi di Camus, mi raccontò un aneddoto: “Un giorno, a Parigi, sedevo con mia moglie in un caffè di Place Saint-Sulpice. A un certo punto compare Albert Camus, che non avevo mai visto prima, e si piazza al bancone fissando mia moglie come se la spogliasse con gli occhi. Mi inalbero: ‘Ma per chi si prende ‘sto sbruffone?’. E mia moglie: ‘Si prende per Albert Camus'”.

 Molto si è divagato e scritto sul machismo mediterraneo, sul dongiovannismo camusiano. Ma il carteggio con Casarès ci svela tutt’altro personaggio, agli antipodi del predatore.

 Un uomo che si espone nella propria fragilità: “Si dice, a volte, che uno sceglie questa o quella persona. Io non ti ho scelta. Sei entrata per caso in una vita di cui non andavo fiero, e da quel giorno qualcosa ha cominciato a cambiare… Ho respirato meglio, ho detestato meno cose, ho ammirato liberamente ciò che meritava di esserlo. Prima di te, fuori di te, non aderivo a nulla… Con te ho accettato più cose. Ho imparato a vivere… È così che si cresce davvero e si diventa un uomo. Con te mi sento un uomo. Per questo forse il mio amore è sempre stato pervaso da una gratitudine immensa”.

E Maria: “Mi sono sorpresa a dire che eri l’uomo più degno di ammirazione e di amore del mondo”.

Mon amour, mon chéri

Certo, avanzando in oltre 1.500 pagine di Mon amour e Mon chéri, si può accusare qualche colpo di sonno, ma perché la corrispondenza è il documento démodé, per non dire ormai quasi archeologico, di una lingua perduta: quella dei carteggi amorosi, dei sentimenti che per lettera esondano oltre ogni convenzione, contegno, codice sociale.

La scrittura è elevata, mai sciatta, torrenziale, dirompente di enfasi (elemento dissonante, questo, rispetto allo stile prosciugato del Camus romanziere), ma forse proprio per questo liberatoria.

Nell’epoca di WhatsApp fa un effetto spiazzante riscoprire fino a che punto gli esseri umani si lasciassero andare, si denudassero per iscritto. Non essendo costantemente “connessi”, ogni separazione, ogni distanza erano vissute come uno strazio lancinante, e ritrovarsi era un evento, sempre atteso con trepidazione folle.

Lui ha una visione pagana della vita, lei religiosa, ma quello tra Camus e Casarès è un legame di corpi, menti, anime – ci si perdoni il termine antiquato – saldate dalla reciproca ammirazione. Ammirazione tra uomo e donna ancora prima che tra artisti. Besoin, bisogno, è fra i vocaboli più ricorrenti nel carteggio.

Lui: “Il bisogno che ho di te altro non è che il bisogno che ho di me stesso. È il bisogno di essere e di non morire senza essere stato”. “Ho bisogno di te, come si ha bisogno del sole e della terra, per non perdersi”. Lei: “Amore mio bello… Non ho mai sentito questo bisogno insopportabile della presenza di qualcuno, questo bisogno continuo”. “Dimmi anche che mi ami, e come mi ami, e che mi amerai fino alla fine. Ne ho bisogno, è come acqua nel deserto”. “Se finora nelle mie lettere ti ho spesso parlato di amicizia è perché muoio dal bisogno di fraternità”.

albert camus 

Camus, che da parte di madre ha ascendenze spagnole, idealizza Casarès, riconosce in lei il mito della Spagna eterna, tragica e fiera. Senza nulla perdere in lirismo, Maria è invece più concreta: in Albert trova un amante, un padre, un fratello. Poco prima di morire nel 1996, lo ricordava così: “Con lui ci si sentiva liberi da molte scorie, aveva il dono di spingerti verso il meglio di te o comunque verso ciò che in te c’è di più vero”.

 “Niente da rimproverargli”

Come Casarès, anche Camus si divise tra altri amori – dall’attrice Catherine Sellers all’ex modella e illustratrice Mette Ivers – ma sempre curandoli con premura. “Ho incontrato altre donne che furono legate a papà” dice Catherine. “Nel ricordo, nessuna aveva nulla da rimproverargli. A suo modo, lui era stato fedele a tutte”.

 Il 30 dicembre del ’59, Camus scrive a Casarès da Lourmarin, dove ha trascorso in famiglia le festività natalizie: “Ecco. L’ultima lettera. Solo per dirti che arrivo martedì in auto… Ti telefono quando arrivo, ma magari potremmo già stabilire di cenare insieme martedì. Diciamo in linea di massima, salvo imprevisti lungo la strada”. Il 4 gennaio, mentre sta per raggiungere Maria, Albert si schianta in auto sulla Nazionale 5, in località Villeblevin, a novanta chilometri da Parigi.

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