Abbiamo visto American life (Away we go) diretto da Sam Mendes.
Perdonateci la digressione, se di qualcuno dovessimo provare una certa invidia probabilmente questa cadrebbe su Sam Mendes. Sia per provenienza familiare sia per i suoi successi femminili e cinematografici. E’ nato a Londra da padre professore universitario e madre scrittrice, con un nonno – Alfred Mendes – anche lui scrittore di un certo successo. Nelle sue vene scorre sangue portoricano mentre la madre ha radici ebraiche. Dopo una laurea all’Università di Cambridge inizia la sua carriera come regista teatrale e la strada è libera e rapida. Dopo aver diretto un’attrice del calibro di Judi Dench (tra i vari film: Shakespeare in Love, premio Oscar; Chocolat, nomination all’Oscar; Lady Henderson presenta, nomination all’Oscar) nello spettacolo He Cherry Orchard, entra alla Royal Shakespeare Company e dirige, tra i vari attori, Ralph Fiennes nel Riccardo III. Poi per dieci anni ha l’incarico di supervisore artistico al Donmar Warehouse di Londra, mettendo in scena The Glass Menagerie’ e Cabaret di Bob Fosse che, a Broadway si è aggiudicato quattro Tony Award tra cui quello per il Miglior Musical Revival. Solo questa premessa basterebbe a provare un po’ d’invidia. Ma dove l’invidia prende il sopravvento è sul lato sentimentale. Dopo una relazione con l’attrice Jane Horrocks (Romantici nati, Memphis Belle, La sposa cadavere), Mendes frequenta Calista Flockhart (la protagonista della serie tv Ally McBeal – tra l’altro), Rachel Weisz (Io ballo da sola, Sunshine, La Mummia), Cameron Diaz, nel 2003 sposa la meravigliosa Kate Winslet, sua conterranea e splendida attrice di Titanic, Se mi lasci ti cancello, Ragione e sentimento.
Professionalmente debutta a Hollywood con il notevole American beauty (per cui ottiene otto candidature agli Academy, portandosene a casa ben cinque, tra cui, la statuetta per il Miglior Film e la Migliore Regia – anche se sinceramente in quell’anno avevamo preferito Magnolia diretto da Paul Thomas Anderson), poi dirige Era mio padre nel 2002 (con Tom Hanks, Paul Newman, Jude Law), nel 2005 gira Jarhead (tratto dall’omonima autobiografia dell’ex-marine Anthony Swofford, inviato in missione in Iraq durante la Prima Guerra del Golfo), quindi Revolutionary Road nel 2008 (con Leonardo Di Caprio, Kate Winslet, Kathy Bate) e nel 2009 realizza American life. Ma Mendes è anche produttore, tra gli altri ha ‘montato’ film come Il quiz dell’amore diretto da Tom Vaughan, Noi due sconosciuti regia di Allan Loeb, e Il cacciatore di aquiloni regia di Marc Forster. Giunge in Italia dopo oltre un anno dall’uscita americana Away we go con il titolo tutto all’italiana American life ( probabilmente volevano far ricordare il titolo del primo film di Mendes), un film dal taglio indipendente, “piccolo”, senza grandi ambizioni. Che negli Stati uniti non ha riscosso un grande successo né da parte del pubblico (lo stile è un po’ troppo ‘elegante’ e ironico per l’americano medio) né da parte della critica. Noi lo troviamo un buon film, sottotraccia e privo di ambizione. Forse un po’ troppo scritto ma godibile fino alla fine. In fondo è un on the road semplice, con personaggi simpatici e privi di qualsiasi ambizione e anche un po’ folli bonariamente.
I due protagonisti (John Krasinski e Maya Rudolph) sono una coppia giovane di trentenni (innamorati e privi di alcuna tensione) che aspetta un bambino, sono persone senza qualità, semplici, buoni di carattere, privi d’ambizione.
Gente comune che vive la vita senza i soliti standard di consumismo, arrivismo e conformismo. Non sono legati nemmeno a un luogo, a degli amici in particolare, a un lavoro specifico. Vivono vicino ai genitori di lui e quando, una sera a cena, sanno che i futuri nonni hanno deciso di trasferirsi ad Anversa in Belgio per un paio d’anni, decidono di attraversare il Paese alla ricerca di un luogo dove far nascere e crescere il figlio. Iniziano a viaggiare da costa a costa, vanno anche in Canada – da vecchi amici universitari – e a Miami dove vive il fratello di lui che è stato appena lasciato dalla moglie. Incontrano una galleria di amici e familiari sparsi nei vari angoli degli Stati Uniti, sperando di trovare il luogo giusto dove fermarsi e mettere radici. Ma non sono particolarmente fortunati e sono quasi costretti ad andar via da ogni luogo. Anche la coppia di amici che sembra più felice e realizzata nasconde un malessere che non promette per niente bene. Cosa fare? Allora a lei viene in mente la soluzione più semplice e ovvia, tornare (alle radici?) a vivere nella casa isolata dei suoi genitori ormai morti e lasciata un po’ andare.
Come abbiamo detto, un film ben scritto – forse un po’ troppo costruito e schematico – in cui si racconta la periferia ( di sentimenti e valori ) di un grande Stato che ha perso miti e punti di riferimento, dove uomini e donne non riescono più a trovare il proprio posto in un Paese così pieno di contraddizioni. Ma non ci sono analisi sociologiche o critiche di costume, i personaggi sono individui solitari, piuttosto semplici e privi di autoanalisi e di consapevolezza. Forse proprio questo è i lato più originale del film.
La scheda di Domenico Astuti