Abbiamo visto “ Amour “ diretto da Michael Haneke.
Haneke è uno dei pochi maestri europei i cui film sono spesso necessari anche come testimonianza di quest’epoca. Ma i suoi film sono sempre duri, senza falsa clemenza, scarnificati con un bisturi in primo piano; le sue storie procedono senza mai un attimo di commiserazione ( anche per lo spettatore ) e affondano sempre più nel ventre molle della struttura sociale occidentale, nelle sue ipocrisie e nel sovrabbondante senso della realtà conformista e solo apparente. Lo fa al suo meglio ( per stomaci forti ) coinvolgendo in prima persona lo spettattore e provocando reazioni forti, non importa quali esse siano ( abbiamo visto due spettatori alzarsi e andarsene a metà film ). Haneke è fatto così, sin dal suo primo film “ Benny’s video “ del 1992 e poi nel tempo con “ La pianista “, “ Niente da nascondere “, fino all’ultimo splendido “ Il nastro bianco “.
Per queste ragioni abbiamo aspettato per andarlo a vedere, ci siamo preparati psicologicamente e ci siamo infilati nel cineclub di turno. Il titolo è invitante e allo stesso tempo inquietante pensando ad Haneke, “ Amour “. Cosa vuol dire essere un buon compagno in vecchiaia ? E’ cosa vuol dire l’amore nella sofferenza ? E l’amore genitoriale e quello filiale naturalmente egoista e presuntuoso ? E poi cosa è la vecchiaia con le sue fragilità e i suoi inciampi ? Un’analisi spietata, senza alcuna misericordia, e naturalmente senza speranza. E vedendo questo film abbiamo pensato ai due magnifici attori Emmanuelle Riva ( 85 anni – suo primo film “ Kapo “ di Pontecorvo e poi “ Hiroshima, mon amour “ di Resnais e poi Bellocchio, Kieslowski ) e Jean-Louis Trintignant ( di anni 82 – che ha iniziato con Vadim e Bardot nel 1956 con “ Piace a troppi “, per poi essere coprotagonista ne “ Il Sorpasso “ di Risi, “ Z “ di Costas Gavras, “ La mia notte con Maud “ di Rohmer, fino all’ultimo “ Film Rosso “ di Kieslowski ) e al loro essere parte diretta del film, quasi degli autori necessari; abbiamo pensato che quegli sguardi, quelle ‘ assenze ‘, certi furori, quel modo di camminare non era solo interpretazione ma parte integrante delle loro vite. E di questo dobbiamo ringraziare e accusare allo stesso tempo l’algido ‘ cinismo ‘ di Haneke.
Anne e Georges hanno superato l’ottantina, vivono da soli in un bell’appartamento a Parigi, sono stati dei pianisti e ancora adesso vanno a concerti prendendo l’autobus, ascoltano musica in casa, leggono libri e ne discutono, frequentano saltuariamente dei loro coetanei, e sentono ogni tanto la figlia Eva ( La grandissima Isabelle Hupper, in un piccolo ruolo ma prezioso ) che suona in giro per l’Europa, è quasi sempre lontana, ed è convinta che i suoi genitori siano immortali. Anne durante una colazione del mattino sembra perdere lucidità, resta in silenzio e non risponde al marito; qualche secondo e si riprende senza ricordare nulla. Ma il medico consiglia una operazione senza rischi ed invece torna a casa semiparalizzata e umiliata dal suo essere dipendente dagli altri. Con l’aiuto del marito e di un’infermiera la sua vita sembra meno drammatica, ma la malattia degenera, forse un altro infarto, e lei non può più muoversi, ne parlare né tutto il resto: insomma la vecchiaia a certe condizioni è solo umiliante e insopportabile. Assistiamo così alle fatiche del marito da un lato e dall’altro al desiderio di lei di morire annichilità oltre che dalla malattia anche da suo degrado fisico e mentale. La seconda parte del film è il resoconto quasi documentaristico ed estremamente dettagliato, quasi crudele, del decadimento di Anne e degli sforzi inutili di Georges, che alla fine accetta la decisione della moglie e l’aiuta nel passo estremo e con lei poi va via.
Tre grandi attori, un interno borghese ( quasi teatrale ), una regia impeccabile, analitica, rigorosa e senza fronzoli. Tuttavia Haneke non vuole evitare – neppure minimamente allo spettatore – l’angoscia, il senso di claustrofobia e quasi la mancanza d’aria. Accentuato il tutto da inquadrature molto strette, un ritmo ‘ da vecchi ‘, con un montaggio conseguenziale e una colonna sonora di solo pianoforte; potremmo dire che in alcuni momenti la regia è volutamente spietata, soprattutto quando fa vedere Anne nuda o quando si osserva la sua ultima agonia.
Il film ha ricevuto la Palma D’oro per la regia all’ultimo Festival di Cannes, Emmanuelle Riva è stata premiata come Miglior Attrice Europea, e il film ha ricevuto varie nomination e premi alla fotografia e alla sceneggiatura.