Orfano di genitori terroristi che si batterono contro l’apartheid, Sam Leroux è un ricercatore che riceve l’incarico di scrivere la biografia della celebre scrittrice Clare Wald. Per lui, che vive da anni a New York, è l’occasione per tornare in Sudafrica nei luoghi natali, e per incontrare la narratrice i cui libri da ragazzo gli hanno fornito una mappa di se stesso. “Ho cercato di scordare i motivi per cui sono partito, tutta la storia della mia vita che ho lasciato alle spalle, ma continua a tornare, come una malattia cronica”.
Tra la vecchia scrittrice e il suo biografo c’è una vicenda irrisolta che rimbomba tra loro, un catalogo di rimorsi, come si scopre negli ambigui anfratti delle rispettive riflessioni. Nelle scatole narrative di cui si compone il romanzo Assoluzione di Patrick Flanery (Garzanti, 408 pag., trad. di Alba Bariffi), una si riempie del racconto di Sam, a Città del Capo (e poi a Johannesburg), i suoi incontri con la scontrosa Clare, la scrittrice che lo riceve per i colloqui utili alla biografia: lei lo misura, quasi lo mettesse alla prova. Ripercorrendo i luoghi che lo videro bambino, Sam tenta di ridare volto ai genitori uccisi nel 1988 da un ordigno che forse avrebbero dovuto utilizzare, davanti alla centrale di polizia di Città del Capo.
Un altro anfratto di questo romanzo polifonico è dato dal punto di vista in soggettiva di Clare, dalla ricostruzione dei fatti che l’hanno segnata durante il passato malato del suo Paese, e per i quali oggi chiede una “assoluzione” laica. La scrittrice è convinta di essere stata responsabile dell’assassinio della sorella Nora, sulla sponda politica opposta alla sua. Nora, con la quale i rapporti erano diffidenti, scelse l’establishment, sposò un uomo di apparato. Clare era invece su una sponda liberal che strizzava l’occhio a movimenti radicali. Nora e il marito furono assassinati.
Un segmento centrale del romanzo è poi costituito dai diari della figlia di Clare, Laura: la catena che tiene stretti in un abbraccio muto la scrittrice e il ricercatore. Laura si diede alla lotta armata, conobbe i genitori di Sam, visse in clandestinità, poi sparì senza che di lei si sapesse più nulla. I quaderni, ultimo documento della sua vita, sono giunti fino alla madre. I taccuini di una donna braccata, quasi certamente morta dopo torture atroci, risultano il terzo punto di vista delle vicende, in queste vie dei canti che si intrecciano e si contraddicono. “Ci sono segreti che rimangono sepolti nella storia di questo paese”.
Anche se il regime di segregazione razziale è terminato, anche se ha operato la “Commissione per la verità e la riconciliazione” (che non ha riabilitato Laura), la ricomposizione dei frammenti è tutt’altro che realizzata. Sia nella società, solcata da un senso di paranoica protezione e sospetto, sia nella ricostruzione delle vite singolari. Laura aveva scelto di porsi oltre le regole, perché le regole erano sbagliate. Ma anche lei stava dalla parte sbagliata. Clare sa di avere deluso la figlia, perché, pur condividendone i presupposti politici di partenza, non le ha rivelato, quando ancora la storia poteva prendere un’altra piega, quanto fossero simili. Da vent’anni sogna l’agonia della figlia. Anche per questo, chiede oggi “assoluzione”.
Sebbene sia vittima della storia, anche Sam ha la sua dose di rimozioni per cui chiedere clemenza. Il confronto tra lui e Clare è una partita verso la resa dei conti, nessuno dei due svela le parti più segrete di sé: eppure Sam ha abitato nei libri di Clare in cerca di indizi, allo scopo di trovare la chiave di un’infanzia martoriata; e Clare ha davanti quel bambino orfano e sa che anche a causa sua ha deluso la figlia scomparsa.
Senza speranza di perdono da parte dei morti, restano, in un romanzo ricco e brillante, le compensazioni della storia (ingannevole), le deformazioni e gli adattamenti della memoria, l’innocenza, le complicità.