Si sono inventati, quattro anni fa, una casa editrice, L’orma, che ha pubblicato finora testi raffinati di autori poco presenti sul mercato editoriale italiano. Il successo lo hanno ottenuto con Annie Ernaux: un’autrice che stava diventando sempre più “imprescindibile” (lo dicono loro e le passioni che ha suscitato) sul mercato europeo, e da noi rimaneva quasi ignota. Il catalogo dell’Orma comprende carteggi fuori dai canoni di grandi autori, in formato di pacchetti pronti per essere spediti. Sta rieditando tutta l’opera di E. T. A. Hoffmann. Ma le sue collane ammiraglie sono Kreuzeville e Kreuzeville Aleph. I due editori, Marco Federico Solari e Lorenzo Flabbi, traducono rispettivamente dal tedesco e dal francese, e perciò hanno deciso di intitolare a due grandi quartieri delle due capitali, Kreuzberg a Berlino e Belleville a Parigi, questi loro contenitori, “perché abbiamo l’impressione che quei luoghi possano rappresentare il cambiamento, il futuro dell’Europa: in queste collane cerchiamo di ospitare grandi libri ‘lasciati indietro’ dall’editoria, volumi che il cambiamento possano averlo prefigurato”.
Ho parlato con Marco Federico Solari in concomitanza con la presentazione della casa editrice alla libreria Zanichelli di Bologna. L’orma presentava la nuova uscita, un inedito di Brecht, l’incompiuto Romanzo dei tui, un viaggio dalla fine della prima guerra mondiale all’ascesa di Hitler e alla fuga degli intellettuali (sì, sono loro i “tui”, Tellekt-uell-in), insomma nella Germania di Weimar e del nazismo.
I vostri volumi sono molto curati…
In epoca di digitalizzazione la carta deve dare qualche gratificazione in più per vincere la sfida con gli ebook. Noi, quando abbiamo pensato a questa casa editrice, ci siamo detti che ogni aspetto doveva essere considerato un atto creativo, dalla scelta dei titoli alla traduzione, alla cura editoriale, alla copertina, alla carta. È misteriosa la relazione tra la forma e la funzione, l’unità tra ornamento e scopo.
Come mai avete recuperato questa opera frammentaria di Brecht?
Noi ragioniamo per collane. In Kreuzville abbiamo presentato molti libri sette-ottocenteschi importanti per la nuova Europa, ma trascurati. Affianco a questi volevamo pubblicare autori noti, che potessero anche illuminare la nostra linea politica. Setacciando alcuni numi tutelari, cercando inediti, è venuto fuori questo titolo importante, pubblicato nelle opere complete di Brecht in tedesco, ma finora ignoto in Italia, “una panoramica enciclopedica sulle idiozie degli intellettuali”, come lo definì Walter Benjamin.
Che tipo di opera è?
È un testo in una prosa satirica legata alla storia della Germania. È un romanzo che, mettendo al centro gli intellettuali e i loro tradimenti, può rivestire un particolare interesse di attualità. Brecht affronta in modo lucido e con parecchio vetriolo gli atteggiamenti degli intellettuali che si vendono e diventano partigiani per interesse e quelli degli intellettuali ideologici che non vedono la realtà del mondo, ma si innamorano della loro idea tanto da arrivare a deformare l’oggetto. I personaggi sono spesso figure storiche, ripresentate con un nome cinese, perché il romanzo è ambientato in una Cina immaginaria chiamata Cima. Per esempio Hegel diventa Le-geh, ed è un tui che fa discendere dall’idea gli oggetti del mondo.
Ci sono nel libro diversi tipi di tui, filosofi, scrittori, politici, cronisti, sacerdoti, scienziati…
Brecht è guidato dal suo spirito materialista, antimetafisico. Ci sono passaggi virulenti contro la religione. La caratteristica principale del tui, del tradimento del tui, è che il mezzo diventa fine in corso d’opera, diviene scopo in sé, e questo lo rende, rende il pensiero e l’azione, inefficace. Brecht vede la vacuità dell’agire spiritualistico dell’intellettuale impegnato in politica e lo riscontra nell’azione dei partiti socialdemocratici dei suoi tempi, cui imputa di non aver fatto una resistenza abbastanza efficace contro Hitler.
Un’altra caratteristica del tui è che spesso diventa un burocrate, si perde, come dicevi, nei mezzi, nelle regole, nelle clausole, nei procedimenti, rendendo l’azione continuamente rimandata e quindi inefficace.
Certo. Non a caso è ambientato in “Cima”/Cina, dove altre sue diverse opere trovano il luogo di elezione (ricordiamo L’anima buona del Sezuan, Me-ti il libro delle svolte e l’esito teatrale del lavoro sui tui, Turandot ovvero Il congresso degli imbiancatori, ndr).
La Cina è l’impero che ha inventato la burocrazia, il luogo dei funzionari che avrebbero dovuto mediare tra potere e società civile e che piuttosto ostacolavano la società a favore del potere. Tra i frammenti pubblicati c’è quello del vecchio che manda il figlio dalla campagna a studiare nelle scuole dei tui per diventare funzionario. Ma fa quattro sogni in cui vede il ragazzo, una volta formato, sempre più abusare del sapere, trasformandolo in un potere di oppressore. Lo va a prendere e lo riporta al paese.
Rispetto a Turandot, dove si vede bene l’ascesa di Gogher Gogh, un bandito con qualcosa di Mackie Messer e qualcosa di Arturo Ui, che entra sempre di più nei favori del potere, qui questa controfigura di Hitler è accennata, nominata, ma non si capisce bene né da dove venga né quale sia la sua parabola… In genere tutto il romanzo sembra fatto di brani a se stanti, irrisolti in una narrazione…
Brecht cerca di trasporre i fatti storici dando loro un’autonomia narrativa. Rispetto a Turandot e a Ui gli interessa di più una trasposizione della cronaca. In quel periodo, per altro, stava scrivendo dell’ascesa del nazismo con lo stile di una cronaca rinascimentale. Hitler non è chiamato Gogher Gogh sempre, ma diventa il protagonista dei discorsi demagogici del frammento XXX, della vendita di sabbia da gettare negli occhi e di vari altri discorsi per incantare le masse. C’è il tentativo di trasfigurare l’attualità dei tempi, rendendola universale.
E comunque rimane la forte frammentarietà, lo stato quasi di abbozzi prima di una trama vera e propria.
È sviluppata la parte riguardante la Repubblica di Weimar; poi il resto è fatto di tentativi narrativi che rimangono come racconti staccati. Per esempio le storie dei tui, delle vere e proprie parabole a sé; oppure i trattati dei tui, come L’arte del leccapiedi. Ma a mano a mano che va avanti e che il nazismo avanza, perde l’idea di raccontare l’arco temporale tra la nascita dell’impero tedesco e l’ascesa di Hitler.
Gogher che personaggio è?
È anche lui un tui, depravato, sovvertitore, capace di conquistare usando una retorica vuota.
C’è qualcosa che riguarda l’epoca di Trump presidente in questo romanzo?
Il romanzo dei tui è molto legato al suo tempo. Eppure qualcosa di attuale lo dice, per esempio i tui sono sovrapponibili a quegli intellettuali che non hanno voluto vedere l’ascesa di Trump nei consensi. Quei sociologi, statistici, politologi che hanno ignorato o deriso il candidato Trump per la sua rozzezza, sottovalutandolo. In Brecht i tui deridono i libri di Gogher, li prendono in giro per gli errori di grammatica, e quei libri del bandito hanno successo. Così come in tanti oggi hanno vissuto l’ascesa di Trump come una barzelletta e ora se lo ritrovano presidente degli Stati Uniti.
Il frammento XXI rappresenta intellettuali che accondiscendono all’ignoranza ostentata del “maresciallo”. Scrive Brecht: “Stimavano moltissimo i vantaggi dell’incultura e credevano fermamente che la loro debolezza (questa sì reale) fosse dovuta solo alla loro cultura”.
Questo sarebbe il prossimo passo: la crisi delle élite e la rivolta contro le élite. Una cosa sono le élite finanziarie, un’altra gli intellettuali, gli studiosi, anche se qualcuno li guarda con sospetto come se fossero quelli che vivono nelle grandi ville. Un altro aspetto è la svalutazione del lavoro intellettuale come se non fosse lavoro. Entra in questo filone l’enfasi per il sano lavoratore del braccio o per il self-made man. Trump affermava di non aver letto un libro negli ultimi anni. L’imperatore della Cima dice che in un corpo sano non si sviluppano pensieri. Brecht stesso stigmatizza la tentazione radicale di negare il pensiero in quanto tale. E speriamo che questo non sia uno scenario futuro.
L’opera finisce con i tui nel “bosco di agrifoglio”, che è una traduzione letterale del toponimo Hollywood. Quei tui sono gli intellettuali tedeschi, europei, in esilio. E Brecht è uno di loro.
Nel racconto dell’ascesa di Hitler gli intellettuali scappati all’estero sono figure tragiche. “Poi le loro opinioni si fecero lise come vecchi cappotti che non si possono più cambiare, ma solo spazzolare. E anche la speranze mostravano i terribili segni delle intemperie dell’età e delle spazzole”, si legge nel frammento LIII. Sono evidentemente intellettuali molto borghesi, rimasti attaccati a una cultura staccata da condizioni socio-economiche. Non capiscono come il loro paese abbia potuto rinunciare alla cultura e a loro, e non intendono neppure i legami tra la coscienza e l’economia. Sono quegli emigrati come Heinrich Mann, come Fritz Lang e tanti altri, che vivono elemosinando alle porte della Mecca del cinema. Anche Brecht cercherà di entrarvi, ma poi sarà scacciato dal maccartismo.
Brecht, in questo momento, dopo anni di esilio, non si rende forse conto di essere egli stesso un tui, inefficace, e forse proprio per questo il romanzo rimane così, un’opera a sprazzi, senza un cemento interno, senza uno scatto?
Sono amari i brani sull’esilio. Sì, capisce di essere diventato anche lui un tui, uno che con le idee si guadagna da vivere. Sono arrivato al mercato delle menzogne e mi metto in fila per venderle, scrive con amarezza. Poi però la sua vita avrà altri sviluppi, con il ritorno in Germania e con la fondazione del Berliner Ensemble. Ma l’America la soffrirà. E questo romanzo incompiuto, iniziato in modo divertente e sferzante, con paradossi in cui si invita a imitare un serial killer cannibale e a mangiare i morti della Prima guerra per riutilizzarne le carni in tempi di precarietà, finisce in modo straziante nell’esilio.