Conversazione con Catherine Camus
La sua voce è incredibilmente delicata. E intensa. Presumibilmente, saranno le stesse modalità con cui Catherine Camus si occupa quotidianamente di gestire l’œuvre littéraire di suo padre. Delicatamente, attenendosi accuratamente al pensiero, senza mai tradirlo, del grande intellettuale franco-algerino; intensamente, riportandolo alla contemporaneità attraverso un’azione instancabile.
Catherine Camus è stata in visita a Palermo nella metà di aprile, ai Cantieri Culturali alla Zisa. L’Insitut Culturel Français ha proposto un’esposizione digitale ed interattiva, organizzata in collaborazione con l’École normale supérieure (ENS Ulm) e la casa editrice Gallimard. Al Cinema De Seta, all’interno dei Cantieri, dopo l’incontro con John R. Pepper, ai tempi giovanissimo produttore della pellicola, è stato proiettato La Peste, di Luis Puenzo (1992), libero adattamento dal romanzo omonimo di Camus.
Catherine, che vive in Provenza, a Lourmarin, nella casa acquistata dal padre poco prima del tragico incidente d’auto che provocò la sua scomparsa a soli 46 anni, è da tempo ormai dedita alla pubblicazione degli inediti del padre.
Albert Camus non ha bisogno di presentazioni. Centouno anni fa nasceva il più giovane vincitore, dopo Kipling, del premio Nobel per la letteratura, nel ’57. I suoi scritti sono tradotti in oltre 60 lingue e il suo pensiero è ancora oggi fonte di ispirazione per intellettuali e al centro di contese ideologiche mai sopite, tanto che in Francia, l’anno scorso, tra sinistra e destra non si è trovato l’accordo sul programma celebrativo del centenario. Piuttosto sono state realizzate una miriade di iniziative sparse, che probabilmente non entrano in contrasto con il carattere indipendente dello scrittore. Anzi.
Sono parole impresse nel tempo quelle che pronunciò Camus nel discorso di ringraziamento con il quale ritirò il Premio Nobel: “In tutte le circostanze della sua vita, ignorato o provvisoriamente celebre, imprigionato nella stretta della tirannia o per il momento libero di esprimersi, lo scrittore può ritrovare il sentimento di una comunità vivente che lo giustifichi, alla sola condizione che accetti, finché può, i due impegni che fanno la grandezza della sua missione: essere al servizio della verità e della libertà” (…) “La verità è misteriosa, sfuggente, sempre da conquistare. La libertà è pericolosa, dura da vivere quanto esaltante”. E ancora: “La missione dello scrittore è fatta ad un tempo di difficili doveri; per definizione, non può mettersi oggi al servizio di coloro che fanno la storia: è al servizio di quelli che la subiscono”.
Il concetto di libertà, per uno scrittore, dunque, deve evidentemente essere sempre riconducibile a quello di responsabilità, impegno civile, dialettica fuori dall’intimità esperienziale ma sempre anteponendo la dignità dell’uomo e la realtà della natura. Suo padre definì la cultura come il “grido degli uomini davanti al loro destino”… Che percezione avrebbe, secondo lei, del grido attuale della cultura europea?
Sono la prima a domandarmi spesso cosa penserebbe mio padre a proposito di certi temi. Io non so cosa potrebbe dire. Tuttavia, lui si è espresso sull’Europa e su cosa temeva che l’Europa diventasse. E ciò che temeva, sta accadendo. Ebbene, ognuno di noi oggi può essere definito una parte del mercato. La cultura è ristretta a un ruolo progressivamente marginale e in più il denaro contamina ogni genere di relazione. Non c’è posto per la parola umana, per il contatto e lo scambio autentico. Lo stampo letterario di Camus è l’opposto: toujours l’homme d’abord. E ogni essere umano è unico, ciascuno con le proprie personali connotazioni. Le differenze di un popolo, in relazione a quelle di un altro popolo sono, secondo il suo pensiero, improntate alla condivisione, anche letteraria. Questo è Camus. Beh, io sono d’accordo.
La peste è con incredibile pregnanza metaforica lo spettro dei totalitarismi. La cronaca di un’epidemia assassina che cristallizza tutti i flagelli, dal nazismo alla pena di morte, arginata soltanto tramite l’impeto della compartecipazione collettiva. E oggi? Cos’è oggi la Peste?
La peste, per me, è ancora il totalitarismo, soltanto che oggi il totalitarismo non ha un preciso volto, e dunque è più complicato combatterlo. Il silenzio e la paura sono la peste e provocano il ripiegamento su se stessi. Il contrario della libertà è la peste.
Volendo tornare ai concetti espressi a proposito dell’Europa, Camus anelava un’Europa unita, federata, nel rispetto delle diversità, oltre che un governo mondiale. Già nel ’45, inoltre, rimproverava all’ONU il diritto di veto affidato alle nazioni più potenti. Queste, in qualche modo, hanno falsato la storia. Su tutto, Camus proponeva una presenza alla pari di tutti i popoli, compresi i più piccoli, affinché ognuno potesse sentirsi partecipe e quindi coinvolto. Questo in gran parte non è stato realizzato. Alle prossime elezioni Europee è previsto un astensionismo parti al 60 %: ormai, molti non ci credono più. Un peccato.
Nel libro del Nobel per la letteratura 2010, Mario Vargas Llosa, Tra Sartre e Camus (edito da Libri Scheiwiller, 2010), si trova il percorso di una revanche culturale contro l’interpretazione dogmatica del marxismo. Lo scrittore peruviano, originariamente affascinato dal pensiero di Sartre, è poi giunto, nel corso di due decenni, a rivalutare, anzi a preferire Albert Camus, abolendo l’enfasi della solidarietà aprioristica verso l’Urss, la filosofia marxista e i partiti pro-sovietici. Giunge tuttavia anche alla conclusione che le alternative tra riforma e rivoluzione, realismo e idealismo politico sono “Una disputa antica come la Storia che probabilmente durerà fino alla sua fine”. Che pensa al riguardo? In un’intervista ha dichiarato che parte di colpa la ebbe Simone De Beauvoir: che intendeva?
Così è! Dispute antiche e senza soluzione. Aggiungo che il pensiero di papà non è mai stato condiviso fino in fondo dalla sinistra proprio per il concetto di rivolta libertaria e che spesso si è ritrovato ad avere tutti contro. Chiaramente per la destra era sempre troppo a sinistra. Per quanto riguarda Sartre, ho sempre pensato che fosse un uomo generoso. Dopo la morte di Camus, Sartre chiedeva spesso a Gallimard come stesse la sua famiglia. Non l’ho mai dimenticato. Personalmente sostengo che lui sia stato spinto nella querelle proprio dalla donna che gli stava a fianco. Mio padre, poi, era un uomo del Sud, e non ha mai perdonato quel tradimento, che provenne proprio da parte di un amico fraterno. Per di più in modalità assai discutibili, come l’attacco pubblico e personale…
Si potrebbe affermare che Sartre rimane agganciato alla filosofia occidentale in senso classico e accademico, Camus tramuta l’esistenzialismo in chiave pragmatica, rappresenta il primo vero esperimento che vede nella letteratura la sfida intellettuale, applicandola ad una nuova filosofia non fondazionale, attraverso un vitalismo narrativo radicale che antepone l’uomo a tutto. Dunque il romanzo è chiave di lettura e metafora della conoscenza, non necessariamente esposta allo storicismo. Oltre gli antichi e datati pregiudizi su Camus in quanto “scrittore che si occupa di filosofia” e non filosofo, risulta innegabile che in verità Camus sia un intellettuale, un trasversale dall’impostazione meno rigorosa, anticipatore di una serie di temi legati alla post-modernità…
Voilà! Potrei azzardare che gli intellettuali francesi non pensavano prima di avere un quadro nel quale esprimersi, mentre Camus pensava con la pancia. Sarà questo che lo rende così innegabilmente contemporaneo. Lui ha anticipato tutta una serie di cose, ha riconosciuto e accettato la debolezza dell’uomo come un valore, intimandoci che si è tanto più coraggiosi quanto più consapevoli di essere disarmati. Anche disarmati si può combattere e non si è soli in questo stato. Oggi i giovani dovrebbero tenere a mente questi insegnamenti. Siamo in tanti a non volere andare dove il sistema ci vuole spingere, ma non abbiamo la parola. Sa cosa penso a proposito delle giovane generazione del suo paese? Che rappresenta la prima vera generazione italiana, finalmente senza estremizzazioni di appartenenza regionale. Questo vi permetterà di essere più forti… quando vi faranno fare le cose!
Camus scrisse: “Reggetevi sulle vostre gambe e cercate di trovare ogni giorno, fra le vostre proprie contraddizioni e le contraddizioni che la vita vi oppone, un movimento”. E ancora: “è più facile morire per le proprie contraddizioni, che viverle”. L’unico partito a cui suo padre si è sempre sentito di aderire era il partito del dubbio, il partito di quelli che non sono mai sicuri di aver ragione. Che collegamento rintraccia tra queste affermazioni e le sue origini popolari?
In quegli anni, l’Algeria e l’Africa del Nord rappresentavano l’incrocio tra la cultura francese e quella orientale, e in quella orientale è molto presente il dubbio, proprio perché le certezze sono meno prorompenti. Camus scrisse che gli orientali sono il prodotto del tempo, gli occidentali vogliono imporre al tempo il loro pensiero e non lasciano che la vita proponga. Ils veulent maîtriser la vie. Il dubbio è di certo un’ispirazione per Camus di stampo orientale, tuttavia, penso anche che quando si è molto poveri non ci si possa permettere il lusso di aderire al partito del dubbio. Quindi è possibile che si sia avvalorato nella fase successiva, cioè quando visse in Francia. Il dubbio è la vita, la certezza è la morte. Il dubbio permette di non essere schiacciati dal sistema. Lui ha sempre detto che occorreva andare avanti passo dopo passo. Non c’è posto per le certezze.
Nella vita familiare una vita semplice al riparo della celebrità: non era un “papà in rivolta”, ma un papà che non riversava le “troublement de son âme” sui figli?
Sì, ci lasciava vivere. Ci lasciava liberi. Con delle regole: niente menzogne, no al superfluo. Sì ad un reale rispetto degli altri, un rispetto profondo e vero, non sul piano formale.
Dunque liberi, ma responsabili. E poi era pieno di vita ed energie. Divertente, anche.
Camus era profondamente mediterraneo. D’altronde, c’è un bel testo in cui dice che l’Europa ritornerà ad abbeverarsi alle sorgenti del Mediterraneo. Probabilmente questo sentimento è applicabile in virtù di una certa corrispondenza, se non simbiosi, tra natura e stato d’animo… Nei Taccuini Camus parla dell’Italia (“Vorrei ritornare a morire fra quegli italiani che amo”), forse in quanto riassunto di quell’orizzonte Mediterraneo…
Sì, oltre ad avere numerosi amici italiani, papà ha viaggiato molto per l’Italia, da Genova a Torino, da Venezia a Firenze e anche Napoli… in Sicilia mai. Lui l’avrebbe amata. Magari proprio qui avrebbe trovato quella famosa sintesi, tra oriente e occidente, ricercata tutta la vita.
La tenacia ricostruttiva che dedica a suo padre ormai da anni, mettendo da parte la sua carriera di avvocato, è frutto di una scelta?
In effetti, non ho scelto. Quando mia mamma è morta nessuno ha esitato: “ora tocca a te”. E così è stato. Siamo molto arabi in famiglia da questo punto di vista, se la famiglia ti dà un ordine, lo si esegue senza storie. Oggi posso soltanto essere onorata della mia attività. Intanto sono in ottima compagnia, quella di papà! E inoltre ho avuto la fortuna di incontrare tanta gente nel mondo che ama mio padre. Non sospettavo l’esistenza di tante belle anime che fanno della tolleranza una ragione di vita. Questo mi fa bene al cuore.
La trasposizione cinematografica di Camus non è un’attività semplice. Anzi, Lo straniero di Visconti e anche La peste di Luis Puenzo hanno avuto giudizi controversi. Il primo uomo di D’Amelio, uscito nel 2011, tuttavia, è stato un film apprezzatissimo dalla critica…
Il primo uomo è un gran bel film; ed era delicato, immagini di vedere la sua famiglia sullo schermo, interpretata da attori. Maya Sansa nei panni di mia nonna! Ebbene, all’inizio ero perplessa e invece il risultato è stato buono. Amelio mi aveva domandato di fare questo film già nel 1995. In un primo momento ho detto di no, perché il libro era appena uscito (Il primo uomo è uscito postumo, fu ritrovato nella macchina in cui Camus ebbe l’incidente, ndr), volevo che vivesse in quanto libro. Nel 2008, 13 anni dopo, Amelio l’ha richiesto. Lì ho capito che aveva grande volontà di realizzarlo. Questo conta molto per me, nella scelta di donare i diritti di un’opera a qualche produttore cinematografico: non è sufficiente, ma è la prima cosa. Il libro evidentemente lo coinvolgeva direttamente e lui ha compiuto delle scelte efficaci sia degli attori, sia nello sviluppo della storia.
A papà il cinema piaceva. Gli era anche stato proposto di interpretare dei ruoli, come in Moderato Cantabile con Jeanne Moreau, ma per i troppi impegni dovette rifiutare. Ci teneva che noi figli andassimo al cinema. Una volta, era via per lavoro, ma lasciò detto che dovevamo vedere A qualcuno piace caldo… Ci portarono, ma quel film era lì per far scandalo. Nessuno si capacitò di quella scelta!
Ne Il primo uomo sono presenti avventure godibili e malinconiche, quasi di stampo truffautiano. Camus e le donne di famiglia: la nonna, la madre, e oggi, lei, la figlia… Vien da pensare che la figura femminile è stata ed è pregnante nella continuità. Camus ne è circondato, prima e dopo…
(Catherine sorride commossa)
Quando è uscito “Il primo uomo”, ho curato io l’edizione, è stato molto particolare e anche difficile. Non certo per leggere la scrittura di papà che conoscevo, ma sul piano psicologico. Dopo che è uscito mi ha scritto una psichiatra tedesca, sostenendo che facendo pubblicare questo libro è come se io avessi “messo al mondo” mia nonna, che era analfabeta. In definitiva, questo libro ha dato la parola a qualcuno che non aveva gli strumenti per parlare adeguatamente. La psichiatra aveva ragione, io ho compiuto il percorso della nostra vita al rovescio, comprendendo dopo quanto mi siano costati in termini di “travaglio” psicologico due anni di analisi di certe dinamiche familiari.
Catherine Camus – ph. Alessandro Fucarini
Per il resto è vero… a partire da una nonna dispotica ma “formativa”, a una mamma che lo ha sorretto nella decisione di allontanarsi dalla periferia malfamata di Algeri (“Se tu sei felice, a me basta”), fino a me, che cerco di occuparmi al meglio della sua produzione. Sì, questo genio è stato cullato da queste donne. Ma aggiungerei in linea generale che siamo essenziali agli uomini! Noi donne siamo programmate per compiti subalterni, ma fondamentalmente siamo lì perché l’uomo possa camminare.
Probabilmente a Cannes 2014 sarà presentato Loin des hommes, il nuovo film di David Oelhoffen (al secondo lungometraggio dopo Nos retrouvailles, presentato a Cannes 2007 nella Semaine della Critique) ispirato a L’ospite, uno dei racconti di Albert Camus contenuti nella raccolta L’esilio e il regno (1957). Com’è stata quest’esperienza?
Io l’ho trovato un bellissimo film. Senza dubbio un film coraggioso, mi viene spontaneo definirlo non attuale… nel senso che non ha i ritmi di un film contemporaneo. Lavora sull’atmosfera, è lento ed emerge l’angoscia, probabilmente quella che viveva mio padre quando scriveva di questi argomenti. Il protagonista è Viggo Mortensen, un attore meticolosissimo, che ha finanche imparato l’arabo in 5 mesi.
Nello splendido romanzo Le Ventre de l’Atlantique la scrittrice franco-senegalese Fatou Diome rintraccia la difficoltà degli scrittori africani, naturalizzati in Francia, “d’être tojours l’autre” e “deracinée partout”. Era così che si sentiva Camus?
Sì. Era proprio così. A lungo ha vissuto un esilio culturale e sociale. Aveva nostalgia del sole.