Da Santiago a Temuco, i luoghi dell’infanzia dell’artista cileno. Il territorio dove ha tratto le prime ispirazioni per esprimere la sua arte. Nella stessa direzione seguita dai Mapuche che si concentrarono in questa terra, lottando contro il dominio Inca e, successivamente, quello spagnolo.
IN QUESTA TERRA o Far West della mia patria, nacqui alla vita, alla terra, alla poesia e alla pioggia…”. L’Araucanía che accoglie Pablo Neruda bambino è la terra dell’araucaria, l’albero del pinolo (pehuén), da cui i Mapuche Pehuence traggono la farina che li ha sfamati per secoli. La selva che il grande poeta racconta, australe e primigenia, pregna di pioggia, ammanta la regione dalle Ande al Pacifico.
Benchè sconvolta dal cataclisma del maremoto di cinquant’anni fa, l’Araucanía conserva caratteri forti, con i fiumi che scorrono liberi dalla Cordigliera al mare. Il poeta bambino e adolescente ne esplora gli scenari, l’estuario del Rio Imperial, il Lago Budi. Affascinato dai cavalli impara a cavalcare e si avventura sul litorale selvaggio, battuto senza tregua dalle onde. Sosta sulle alture per ammirare l’oceano, ne ascolta il canto. Scopre l’entroterra indagando sé stesso e l’amore. Il viaggio ci invita a conoscere il Cile delle radici di Neftalì, il territorio da cui ha tratto le prime ispirazioni per esprimere la sua arte. L’ambiente dov’è cresciuto e dal quale è partito per il cammino della vita.
Un’avventura vissuta fino in fondo, divenendo scrittore, console, direttore di giornale, amico di Federico García Lorca, diplomatico, senatore della Repubblica, poeta combattente e esiliato (così sosta a Capri, prima di tornare in Cile). Letterato di fama mondiale e politico impegnato civilmente per il paese, nel 1971 riceve il Premio Nobel per la Letteratura. Le preziose pagine di “Confieso que he vivido”, sono il suo irresistibile invito a partire per quel sud che ha cantato con amore, e l’ideale sentiero per avvicinare la sua opera.
L’autobiografia ha i dettagli per scoprire i luoghi cari alla sua infanzia d’artista e di amante della vita. Con le sue pagine partiamo sulle sue tracce. Da Santiago a Temuco in treno. Sarebbe il percorso migliore ma la ferrovia non è attualmente operativa e non resta che prendere il pulman. Nella stessa direzione seguita dai Mapuche, che si concentrarono in Araucanía, lottando prima contro il dominio inca, poi contro quello spagnolo, infine contro i cileni che continuarono la pacificazione. “Contro gli indios tutte le armi furono usate generosamente: il colpo di fucile, l’incendio delle capanne, e poi, più paternamente la legge e l’alcool… l’acquavite consumò l’annientamento di una razza superba…”.
A Temuco, capitale araucana i lineamenti dei Mapuche si mescolano ai criolli, agli europei latini. Nella Feria Libre ad ogni alba si incontrano campagna e città, voci e fragranze di terra e di mare: gli aromi della palta (avocado) e della chirimoya, del mais caldo, di carni e spezie australi tagliano l’aria. La Huellas del Ferrocarril porta in Barros Arana al Museo Nacional Ferroviario “Pablo Neruda”, con il Monumento Storico Nazionale della “Casa de Máquinas”: una sfilza di locomotive a vapore sembra partire dall’anfiteatro del binario girevole. Alcune le conduceva José del Carmen Reyes, padre del poeta, trainando il treno della ghiaia, il Tren Lastrero.
C’è anche il treno con la suite presidenziale d’epoca. Alla creazione del museo ha molto contribuito Andrès Salvadores Peña. Sua moglie Maria Luisa Ferrando Fuentes, coltivatrice di lavanda, prepara un’ottima Leche Nevada, il dolce caro al poeta del mundo. Il temucano Andrés ha recuperato l’Hotel Continental: vi soggiornava il presidente Allende e c’è la stanza n°9, la prediletta dello scrittore. Una fune ricorda come ci si poteva calare dalla finestra in caso di pericolo. Gabriela Mistral (1889- 1957), Premio Nobel per la Letteratura nel 1945, amava la stanza n°10.
La scrittrice giunta qui dalle nevi di Magallanes a dirigere il liceo femminile, iniziò lo studente Neruda a Tolstoy, Dostoievsky e Cekov. L’Ateneo Literario e il Liceo de Hombres de Temuco sono ai piedi del Monumento Naturale del Cerro Ñielol, ammantato dai boschi in cui giocava Pablito. Un viottolo sale al Mirador in cima all’altura: al rosso del tramonto le alte statue Mapuche – come totem – dominano la metropoli. I giovani s’incontrano sotto i bronzi del Monumento a la Araucanía, fra le palme di Plaza Anibal Pinto e la Galería de Arte della Municipalidad de Temuco. Nella vicina Calle Lautaro, ai piedi della stravagante cupola di Palazzo Marsano, omaggio alla Fondazione Nobel, una targa ricorda la casa paterna di Neftalì, sede della Ferreteria Lautaro: “La mia vecchia Temuco…la mia poesia era nata fra il colle e il fiume…”. Le vacanze estive, con il treno per Carahue, portavano il poeta a conoscere il mare. Oltre Labranza, il treno attraversava regioni selvagge. L’approdo alla città fluviale di Carahue avveniva fra i pennacchi di vapore del treno e il tintinnio di campane. Il navigabile Rio Imperial lasciava intuire l’arrivo dell’oceano.