Abbiamo visto “ Class Enemy- Nemico di classe “ diretto da Rok Bicek.
Potrebbe sembrare un film sulla scuola, sul suo degrado e sui rapporti ormai malati tra docenti, studenti, dirigente scolastico e genitori. Certo la storia si sviluppa quasi del tutto in un liceo sloveno in puro stile kammerspiel ( ma potrebbe essere un qualsiasi istituto superiore d’Europa, forse tranne che in Italia famosa per edifici fatiscenti e fuori dalle normali norme di sicurezza ) e pur parlando di un conflitto ( più che di classe o generazionale tra studenti ed il loro insegnante di Tedesco ) è in realtà un intelligente riflessione sui malesseri individuali e individualistici che sfociano in egoismo distruttivo in questa società post un po’ in tutto. Quasi una forma di dittatura della paura di vivere, pronta a far uscire tutti i peggiori luoghi comuni negli esseri umani pur di non guardarsi interiormente e fare un analisi critica sui propri limiti e sui propri dolori e quindi accusare sempre qualcun altro dei propri difetti e inadeguatezze. Per analisi lucida e complessa siamo dalle parti di un altro bel film ‘ sulla scuola ‘ come La classe-Entre les murs di Laurent Cantet ( vincitore della Palma d’oro come miglior film al 61º Festival di Cannes ) e come regia potremmo avvicinarlo ad Haneke e al suo Il nastro bianco. C’è l’ipocrisia della brava insegnante incinta e innamorata della sua pochezza che le fa dire col sorrisino stampato sul viso “ Sono vivaci “, alludendo ai suoi alunni che in realtà la sopportano solo perché non possono colpire un essere totalmente insignificante; l’accettazione della sconfitta fa invece dire al Dirigente scolastico, in un momento di verità, “ Prima loro temevano noi, ora noi temiamo loro ”. Tra i due lati del degrado dell’autorevolezza del mondo degli adulti, un’insegnante desiderosa solo di trovare un fidanzato, un professore che timidamente difende il collega sotto accusa più nel timore che la prossima volta possa toccare a lui che non per un principio etico e una serie di adulti talmente insignificanti da fare pura tappezzeria nel film. Ma chi fa la figura più meschina sono i genitori, in fondo identici ai figli nelle piccole vigliaccherie e pronti a difenderli comunque, perché hanno rinunciato a qualsiasi autorità e così facendo non rendono un gran servizio ai loro figli tantomeno a loro stessi. Insomma ci sono tutti gli ingredienti per un kammerspiel scolastico che si muove a slalom e con equilibrio in un crescendo psicologico di giovani e adulti, e in un conflitto sociologico che solo in apparenza riguarda la ribellione giovanile contro il mondo degli adulti e una presunta autorità. In realtà questa scuola liberal e progressista mostra tutti i limiti di una società non attrezzata al dramma e fragile nel suo autocompiacimento. E questa lezione ci viene da un Paese che ha vissuto, anche se lateralmente, il più grande dramma recente: la guerra civile slava.
In un confortevole istituto superiore giunge il professore di tedesco Robert Zupan ( Igor Samobor, il più importante e famoso attore sloveno ), deve sostituire per un semestre l’insegnante titolare che deve partorire. Robert si presenta in modo freddo e autorevole, senza un sorriso né una battuta scherzosa. Va alla lavagna e scrive Studiare non significa sapere, volere non significa potere, ( citando Ivan Cankar, una dei più importanti scrittori della letteratura slovena ) e chiede a degli stupiti studenti il significato. Ma di fronte ha i soliti ragazzi che conosciamo, annoiati, implosi, con difficoltà di compendere chi sono e quali possono essere i loro reali desideri. C’è la bionda sfrontata che smanetta il cellulare in classe, c’è quello che ascolta musica con le cuffie, quello che ha da poco perso la madre e sembra avercela col mondo intero, il secchione isolato dal gruppo che studia solo per avere dei voti alti. Scrivono male, balbettano rispondendo alle domande del professore, in fondo se ne fregano perché sanno che non ci saranno conseguenze per il loro comportamento e forse attraverso la loro indifferenza mostrano tutte le paure per il loro presente e quello futuro. Ma è anche una dimostrazione di sconfitta prima ancora di recarsi in battaglia. Il professore invece di adeguarsi allo standard della scuola, insegna impassibilmente, come una roccia in mezzo al mare in tempesta, richiedendo il dovuto ai ragazzi, e con grande freddezza gli sbatte contro la loro esibita ignoranza, quasi ad umiliarli. Tra loro c’è Sabina ( Daša Cupevski ), una ragazza in gamba, molto chiusa e fragile, quasi dimenticata dalla classe, che suona il piano in modo impeccabile: è l’unica che sembra distiguersi dagli altri e Robert si ferma ad ascoltarla suonare. L’uomo decide di aiutarla e spronarla come sa, anche con durezza. Ma il giorno dopo giunge la notizia che Sabine si è suicidata ed è il professore a comunicarlo alla classe che già lo mal sopporta. E’ la goccia, parecchi alunni accusano il docente di essere la causa del suicidio della ragazza a causa dei suoi modi freddi e duri. In realtà quel suicidio è preso da molti solo come pretesto per iniziare una contestazione, non studiare e cacciare il professore esigente, e non certo per un reale dolore che nessuno di loro vuole realmente affrontare e capire. E da qui gli studenti usano il distacco che il professor Zupan ostenta di fronte all’evento, per abbandonarsi a un’autoassolutoria bolla di insinuazioni contro di lui ( una classica evoluzione di comportamenti e atteggiamenti che ricorda il recente Il sospetto di Thomas Vinterberg ). Da un lato il professore usa la disgrazia come pretesto educativo e scrive sulla lavagna una frase di Thomas Mann, ( i cui figli, Michael e Klaus, si sono tolti la vita ) “ La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive “. Per gli studenti questo ulteriore modo di fare lo trasforma nel capro espiatorio perché rappresenta quell’algida autorevolezza che agli studenti crea disagio e rabbia, e giungono ad accusarlo di essere un nazista e ad abbandonare l’aula salutandolo con il saluto tedesco. Da questo momento inizia una lotta senza quartiere da parte degli studenti e in subordine anche dei genitori contro il professore che però non cede di un passo fino…
Un’ottima opera prima di un regista non ancora trentenne che costruisce un film bello, importante, reso ancora più potente da una fotografia dal taglio documentaristico, dall’uso di primi piani, inquadrature lunghe quasi quanto piani sequenza, sfondi molto chiari, e con dialoghi secchi, necessari, che non indugiano mai in frasi scontate o prevedibili. Probabilmente è nata un nuovo regista europeo che potrà diventare un autore importante.